2025-04-03
Trump quasi stufo di Putin e Zelensky. Mosca-Xi, il flirt non ferma i colloqui
Volodymyr Zelensky e Donald Trump (Getty Images)
Tycoon spazientito dalle lungaggini sulla pace poste da presidente ucraino e zar, quest’ultimo di nuovo vicino a Pechino. Nonostante ciò, il principale negoziatore del Cremlino vola a Washington per incontrare Witkoff.È una fase di parziale turbolenza quella in cui è entrato il processo diplomatico ucraino. Donald Trump si sta, infatti, spazientendo sia con Vladimir Putin sia con Volodymyr Zelensky. «Posso dirvi cosa ha detto ieri sera il presidente Donald Trump, ovvero che è frustrato da entrambi i leader in questa guerra. Vuole che questo conflitto finisca, le persone stanno morendo da entrambe le parti e va avanti da troppo tempo», ha dichiarato l’altro ieri la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt.Domenica, il presidente americano ha mostrato irritazione verso Zelensky, accusandolo di non voler firmare l’intesa sui minerali strategici fortemente voluta da Washington. «Vedo che sta cercando di tirarsi indietro dall’accordo sulle terre rare. E se lo fa, ha dei problemi. Grandi, grandi problemi», ha affermato Trump, riferendosi al presidente ucraino. Sempre domenica, l’inquilino della Casa Bianca si era anche detto «incavolato» con la Russia, accusandola di voler tergiversare. «Se la Russia e io non riusciremo a raggiungere un accordo per fermare lo spargimento di sangue in Ucraina e se penso che sia stata colpa della Russia, il che potrebbe non essere, ma se penso che sia stata colpa della Russia, applicherò tariffe secondarie sul petrolio, su tutto il petrolio che esce dalla Russia», ha dichiarato. Quando gli è stato, poi, chiesto se avesse imposto una deadline a Mosca per accettare un accordo sul cessate il fuoco, ha replicato: «È una deadline psicologica. Se penso che ci stiano prendendo in giro, non ne sarò felice». Una posizione, quella di Trump, che è stata accolta con freddezza da Mosca. «Prendiamo molto seriamente i modelli e le soluzioni proposti dagli americani, ma non possiamo accettarli tutti nella loro forma attuale», ha affermato il consigliere per la politica estera di Vladimir Putin, Sergei Ryabkov. «Tutto ciò che abbiamo oggi è un tentativo di trovare una sorta di quadro che permetta innanzitutto un cessate il fuoco, almeno come previsto dagli americani. Per quanto ne sappiamo, oggi non c’è posto per la nostra richiesta principale, vale a dire risolvere i problemi legati alle cause profonde di questo conflitto», ha aggiunto. Frattanto, almeno per ora, il Cremlino ha smentito la possibilità di un incontro tra Putin e Trump, durante il viaggio che il presidente americano dovrebbe effettuare in Arabia Saudita a maggio. Tutto questo, mentre martedì il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, si è recato a Mosca, per incontrare lo zar. Eppure, al netto delle fibrillazioni, il dialogo russo-americano non si è interrotto. La Cbs ha rivelato infatti che era previsto per ieri a Washington un incontro tra l’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e uno dei principali negoziatori di Mosca, Kirill Dmitriev. Il dipartimento del Tesoro avrebbe revocato temporaneamente le sanzioni contro quest’ultimo, per permettergli di ottenere un visto d’ingresso negli Stati Uniti.Come che sia, il quadro complessivo resta intricato. Trump non apprezza le lungaggini di Mosca. E ha, quindi, messo sotto pressione il Cremlino in due modi. Il riferimento alla «deadline psicologica» è probabilmente un modo per rispolverare la cosiddetta «teoria del pazzo», risalente a Richard Nixon: simulare, cioè, segnali di squilibrio mentale con il preciso scopo di intimorire l’avversario e spingerlo a trattare. In secondo luogo, la minaccia di tariffe secondarie al petrolio russo è significativa, visto che Trump l’ha, più o meno contemporaneamente, usata anche contro l’import di greggio dell’Iran: il principale alleato mediorientale di Mosca. Tra l’altro, proprio ieri, il dipartimento del Tesoro americano ha sanzionato un network di entità e persone che, con sede in Russia, forniva armamenti agli Huthi: organizzazione terroristica storicamente spalleggiata da Teheran.Mosca, dall’altra parte, ha voluto rimarcare i suoi stretti legami con Pechino: è in tal senso che va letto l’incontro tra Putin e Wang Yi. Lo zar, in altre parole, sta cercando di mettere in difficoltà Trump in quello che è il suo principale obiettivo: separare il più possibile la Russia dalla Cina. Sotto questo aspetto, Putin non è nelle condizioni di poter tirare troppo la corda. Trump sa bene che il presidente russo teme da tempo l’abbraccio soffocante con Xi Jinping. Inoltre, i dazi americani appena entrati in vigore rappresenteranno un duro colpo per Pechino e quindi, almeno indirettamente, anche per Mosca. Senza contare che le eventuali tariffe secondarie americane sul petrolio russo potrebbero spingere l’India e la stessa Cina a esortare lo zar ad avere un atteggiamento più conciliante sulla crisi ucraina. Tariffe secondarie, rispetto al cui uso Trump dovrà, tuttavia, fare attenzione perché tale strumento potrebbe alla lunga compromettere i suoi sforzi di recuperare influenza sul Sud globale e di tutelare il predominio internazionale del dollaro. L’inquilino della Casa Bianca può far leva, però, sul Medio Oriente: area in cui la Russia ha perso terreno nel corso del 2024 a causa sia della caduta di Bashar al Assad che dell’indebolimento dell’Iran.In cambio di un ammorbidimento di Mosca sull’Ucraina, Trump potrebbe aiutare lo zar a reinserirsi maggiormente in Siria, riconoscendogli anche il ruolo di mediatore nell’eventuale negoziazione di un nuovo accordo sul nucleare iraniano tra Washington e Teheran: ruolo che lo stesso Putin, a marzo, si era proposto di assumere. Una strategia, quella della Casa Bianca, che deve però fare i conti con la concorrenza cinese nella regione mediorientale. Senza contare le recenti tensioni tra Usa e Iran: tensioni di cui Putin potrebbe approfittare, correndo però al contempo il rischio di restarci pesantemente scottato. La partita a scacchi tra Trump e lo zar, insomma, prosegue serrata.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)