2025-02-13
Tra Trump e i vescovi c’è il Dragone
Donald Trump e Papa Francesco (Getty Images)
Bergoglio ha dichiarato guerra a Donald, ma i cattolici Usa sono spaccati: la linea filo cinese adottata dalla Santa Sede lascia perplessi molti prelati statunitensi.La lettera con cui papa Francesco, rivolgendosi all’episcopato statunitense, ha criticato le espulsioni di massa dei clandestini, condotte dall’amministrazione Trump, va inserita all’interno di un quadro politico e geopolitico particolarmente complesso. A livello immediato, non è un mistero che l’attuale Pontefice non sia mai andato d’accordo con Donald Trump sulla questione del contrasto all’immigrazione illegale. È dal 2016 che i due sono ai ferri corti su questo punto. Inoltre, alcune settimane fa, papa Francesco aveva definito le politiche migratorie della Casa Bianca una «disgrazia». A rispondere al pontefice era stato il responsabile delle frontiere statunitensi, Tom Homan, che, in un’intervista rilasciata su queste colonne, aveva replicato: «Noi gestiremo l’immigrazione illegale negli Stati Uniti. Il papa può occuparsi di gestire la Chiesa cattolica». Tuttavia attenzione: lo scontro sull’immigrazione cela in realtà punti di attrito molto più profondi. Innanzitutto, una parte delle alte sfere della Santa Sede non vede affatto di buon occhio le sforbiciate con cui l’amministrazione Trump sta colpendo Usaid. Domenica, il giorno prima cioè che il Papa inviasse la sua lettera, il cardinale Michael Czerny - gesuita e stretto alleato di Francesco - rilasciava un’intervista all’Associated Press, lamentandosi dei tagli ai programmi gestiti dall’agenzia. Un secondo aspetto da considerare è invece di natura prettamente geopolitica. Non è un mistero che l’attuale pontificato abbia spostato il baricentro della politica internazionale vaticana verso Oriente. Prova ne è il controverso accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi, che è stato rinnovato per altri quattro anni lo scorso ottobre: pochi giorni prima, cioè, che si tenessero le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Era inoltre il 2023, quando il Papa esortò i fedeli cinesi a essere «buoni cittadini». Sempre quell’anno, strizzò l’occhio a Pechino nella Laudate Deum e non esitò a tacciare la chiesa statunitense di «indietrismo». E qui veniamo a una questione duplice. In primis, è noto che, con Trump, le tensioni tra Washington e Pechino stanno aumentando: si pensi soltanto ai dazi o al fatto che, grazie alle pressioni della Casa Bianca, Panama ha deciso di non rinnovare la propria adesione alla Belt and Road Initiative. Negli ultimi quattro anni, la penetrazione economica (e politica) cinese era del resto notevolmente aumentata in America Latina: una dinamica, questa, che certo non era sfuggita al pontefice argentino. In secondo luogo, l’altro fattore da considerare riguarda proprio la Chiesa americana. La risposta alla lettera papale del presidente della Conferenza episcopale statunitense, Timothy Broglio, è stata molto stringata e generica. Broglio ha, sì, parlato di «inclusione e fraternità». Ha anche dichiarato di voler lavorare per migliorare la situazione dei migranti. Tuttavia, non ha minimamente citato le «espulsioni di massa», evitando di assumere il tono critico che il pontefice aveva, neanche troppo implicitamente, usato nei confronti di Trump. Questo significa che, con ogni probabilità, la conferenza episcopale d’Oltreatlantico si è spaccata sulla questione. Ricordiamoci che l’attuale amministrazione americana include numerosi cattolici. Tra l’altro, la linea dura sui clandestini Trump l’aveva invocata più volte in campagna elettorale. Ciò non gli ha impedito né di conquistare la maggioranza del voto cattoliconé di avere il cardinale Timothy Dolan alla sua inaugurazione presidenziale. Sarà un caso, ma Dolan è stato, in passato, tra i critici dell’accordo sino-vaticano. Quell’accordo che potrebbe rivelarsi dirimente al prossimo conclave. Ampi pezzi della chiesa americana non vedono di buon occhio la linea filocinese dell’attuale pontificato. Inoltre, è sempre Oltreatlantico che appaiono più strutturati gli ambienti «ratzingeriani». Il conclave, insomma, si avvia a rivelarsi un derby tra Washington e Pechino.
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