2025-02-04
I balzelli di Trump per far litigare Ue e Cina
Donald Trump (Getty Images)
La guerra commerciale punta a riportare produzioni chiave in casa e ad alzare i salari. Ma l’obiettivo è creare due fazioni: chi sta con gli Stati Uniti e chi con Pechino. Il fondo per acquistare Tik Tok altra arma di pressione. Scholz: risponderemo con le sanzioni.Dare giudizi su Donald Trump e limitarsi a valutare il suo ciuffo è da sconsiderati. Questo secondo governo è molto diverso dal primo. Trump non è più un corpo estraneo ai Palazzi del potere. Stavolta The Donald è stato eletto con i voti del popolo, ma soprattutto con quelli di Washington. E l’Amministrazione ha deciso di cambiare rotta archiviando il lungo secolo di Barack Obama iniziato nel 2009. Scusate la premessa, ma ci sembra fondamentale per leggere la guerra commerciale sui dazi. Gli Stati Uniti hanno deciso di riprendere politicamente il controllo del Sudamerica, di accorciare la catena produttiva e di riportare in Patria quella parte di produzione che ancora è spezzata e divisa in altri continenti. I dazi creano inflazione. Ni. Perché l’obiettivo Usa è alzare i margini delle aziende in Patria e far alzare i salari. E mitigare la spirale inflattiva tornando a gestire l’energia. Prezzi più alti all’estero e prezzi mitigati negli Usa grazie alla disponibilità di gas e petrolio. Addio rinnovabili, se non a completamento. In questa ottica Groenlandia e Panama sono due obiettivi geopolitici che ricordano la dottrina Monroe. Prenderne il controllo significa controllare i flussi commerciali tra Atlantico e Pacifico e lungo la rotta artica che tanto fa gola ai cinesi. Quindi, il modello dei dazi annunciato in questo ore serve a creare due grandi blocchi. Uno con gli Usa e contro la Cina. E l’altro con ciò che avanza nel mondo. Lo si vede anche dalle percentuali di aumento sulle tariffe fino a ora annunciate. Canada e Messico un bel 25% e Cina solo il 10; con una minaccia. Con i primi Trump punta all’azione di forza. Con Pechino ad avviare una maratona di confronto. Maratona annunciata ieri dichiarando di aver in agenda già oggi un colloquio con Xi Jinping. Tra gli argomenti ci sono ovviamente i dazi ma anche il fondo sovrano che Trump vorrebbe lanciare per gestire le pressioni su Pechino. A cominciare dalla soluzione di mediazione per Tik Tok. Il social media cinese è al momento in congelatore negli Usa. Bloccato il progetto di messa la bando totale, la Casa Bianca potrebbe costringere la società proprietaria a cedere una quota di maggioranza a una entità Usa. Perché no il fondo di neo costituzione segnando la strada per le prossime partite di business. In settori di peso tecnologico. Perché la Cina ha da offrire numero cose agli Usa. Diverso il discorso per le nazioni confinanti. Non a caso, sempre ieri, la presidenza messicana che certo non è di destra ha già offerto per la sola sospensione di un mese del provvedimento ben 10.000 soldati da mandare a presidiare i confini contro i migranti irregolari e il traffico di Fentanyl. I primi sono il problema che contribuisce alla svalutazione delle buste paga e il secondo è il male nero delle grandi città americane. È chiaro dunque che la guerra dei dazi è una questione di politica interna per Trump e una leva per riequilibrare le alleanze commerciali e tecnologiche. A questo punto la domanda spontanea è come si comporterà con l’Ue? Indiscrezioni - poi confermate - raccontano della possibilità di un 10% di dazi sui prodotti europei. Quali? Tutti? La speranza è che si apra una diatriba che permetterà ai singoli Stati Ue trattative parallele per cercare di non essere colpiti. Ancora presto per dirlo. D’altronde la Borsa ha reagito allineando a un prezzo più basso quei titoli il cui settore il mercato ritiene possa essere il più colpito. Un esempio su tutti l’automotive. Ma in queste ore la domanda più bollente è come si comporterà Bruxelles. Le prima dichiarazioni sono preoccupanti. Dopo l’uscita apparentemente muscolare dei francesi, ieri si è aggiunto Olaf Scholz al coro di chi vuol fare un muro contro gli Usa. «Se i dazi rendessero lo scambio di merci difficile», ha detto il cancelliere, «siamo pronti a rispondere con altri dazi. Possiamo gestire autonomamente i nostri affari». Una affermazione alquanto labile. Il surplus commerciale a favore di Berlino è stato di 65 miliardi nel 2024 e 63 nel 2023. Auto, macchinari e chimica sono tre settori che da soli valgono il 40% del surplus. Sono 65 miliardi fondamentali per tenere in piedi il Pil. Dunque Trump sa dove colpire e come affondare l’economia tedesca che già è finita sotto un treno per via delle sciagurate scelte energetiche. Tali debolezze suggeriscono una gestione più morbida e al tempo stesso la messa in campo della Bce la quale dovrebbe gestire la propria politica monetaria aggiornando il manuale a dopo il 20 gennaio. Data dell’insediamento di Trump. Giocare ancor di più sul rapporto euro-dollaro sarà un margine utile per muovere la trattativa. E l’altro margine utile sarà nel prendere coscienza del modello che gli Usa stanno applicando. Loro da un lato e Cina dall’altro. In fondo la domanda della Casa Bianca sarà molto semplice: con chi si schiera l’Europa? Inutile crede a chi sostiene che possiamo fare da soli. Basti pensare che il Green deal ha tagliato le gambe alle aziende e le rinnovabili ci hanno esposti alla tecnologia cinese e al gas liquido americano. Prima di ogni dichiarazione sui dazi, l’Ue dovrebbe dedicarsi a mettere in pensione la transizione green. Senza se e senza ma. Con tanto di lancio rapido della strategia sul nucleare. Con prezzi delle bollette così alti, una massa di obblighi burocratici che rallenta ogni scelta e l’incapacità di controllare militarmente le materie prime il rischio è quello di spararci sui piedi.
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