2025-07-18
Trump apre le porte a un’intesa sui dazi. Ma le bizze francesi ci costeranno care
The Donald avverte l’Europa: sarà un accordo molto diverso dai precedenti. Pronte tariffe tra il 10% e il 15% a 150 Paesi.Nel braccio di ferro con gli Stati Uniti, per sventare l’applicazione di dazi al 30% a partire dal 1° agosto, la Ue rilancia la minaccia di ritorsioni. Una linea caldeggiata dalla Francia che da sempre sostiene una strategia muscolare in contrasto con Germania e Italia che sono invece per la diplomazia della trattativa senza manifestazioni di forza, inutili e capaci solo di irrigidire il presidente Donald Trump. Lo si è visto qualche giorno fa, quando il negoziato sembrava ad un passo ma poi il tavolo è saltato probabilmente anche per l’insistenza di Parigi su Bruxelles per adottare una politica contundente. Di qui l’atteggiamento ondivago della Commissione europea, che dovendo dar voce alle diverse posizioni dei Paesi membri, finora non ha portato a casa nessun risultato. Non stupisce quindi che si continuino a formulare ipotetiche liste dei servizi statunitensi da colpire. Una notizia fatta uscire in modo palesemente strumentale sul Financial Times, che attribuisce l’indiscrezione a colloqui con funzionari vicini al dossier. È evidente che l’elenco dovrebbe passare l’approvazione dei Paesi membri ma il fatto che se ne parli, che sia ancora all’ordine del giorno della Commissione, non rasserena il clima del negoziato. Mentre il quotidiano britannico, lancia l’indiscrezione di Bruxelles pronta anche a ritorsioni, Trump sembra aprire ad un’intesa. In una intervista a Real America’s Voice, il presidente americano ha detto che un accordo con l’Europa «è probabile» ma che comunque «sarà molto diverso da quello che abbiamo avuto per anni». Insomma nulla sarà come prima. Trump ha quindi ribadito che l’Europa «è stata brutale con gli Stati Uniti». Poi ha aggiunto che sta valutando «tariffe tra il 10 e il 15% per 150 Paesi». Non è mancato l’ennesimo attacco al presidente della Fed, Jerome Powell, apostrofato col nomignolo di «Troppo tardi», che non si decide ad abbassare i tassi, nonostante i dati macroeconomici appena arrivati («ottimi» ha detto Trump) sulle richieste dei sussidi di disoccupazione e sulle vendite al dettaglio.Con questo clima, le minacce di ritorsioni che continuano a uscire da Bruxelles, anche solo a parole, appaiono un suicidio. Le grandi aziende digitali statunitensi come Google, Meta, Apple e Amazon hanno una forte presenza nella Ue e imporre dazi ai loro servizi porterebbe ad un aumento dei costi per le imprese e per i consumatori che dipendono fortemente da queste piattaforme. Bruxelles sa bene che una decisione del genere è impraticabile, e ha verificato che le minacce non portano ad alcun risultato, eppure insiste.La lista, che non si concentrerebbe solo sulle aziende tecnologiche, si aggiungerebbe a una proposta di ritorsione contro 72 miliardi di euro di importazioni annuali dagli Stati Uniti che i Paesi dell’Ue stanno già discutendo, inclusi i dazi su aerei Boeing, automobili e bourbon.Di segno contrario l’atteggiamento del governo Meloni che preferisce guardare con ottimismo alle parole di Trump. La premier, Giorgia Meloni, assicura che il governo è al lavoro per «scongiurare una guerra commerciale con gli Stati Uniti, che non avrebbe senso e impatterebbe soprattutto sui lavoratori». Adolfo Urso, ministro per le Imprese e il Made in Italy, è ottimista: «Ci avviamo alla fase conclusiva del negoziato. Dalla informazioni che ci arrivano sembra si sia in procinto di raggiungere un’intesa». Poi ha ricordato che il governo «ha sempre operato in modo costruttivo e collaborativo, in favore di un negoziato sia in termini bilaterali che della commissione, fin da quando altri auspicavano ritorsioni».Imprese e sindacati chiedono di fare presto. Alessandro Fontana, direttore del Centro Studi di Confindustria, ha presentato i primi dati sull’impatto potenziale delle tariffe Usa. Sono cifre che danno l’idea della posta in gioco. «Se l’aliquota salisse al 30%, stimiamo fino a 38 miliardi di euro in meno di export verso gli Stati Uniti, su 65 miliardi di esportazioni attuali» ha detto Fontana. «La svalutazione del dollaro del 13% da inizio anno rende il gap ancora più ampio», ha spiegato, «In pratica, con i dazi al 10% per molte imprese italiane vendere in America risulterebbe il 23% più costoso rispetto al 2023, che corrisponde a circa 20 miliardi di perdita verso gli Usa di export». Secondo Fontana, le regioni più colpite sarebbero quelle con il più alto valore aggiunto manifatturiero: Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. «Il 99% dell’export colpito riguarderebbe l’industria manifatturiera, a cominciare da quella meccanica che è la più esposta». Fontana poi ha sottolineato che «molti imprenditori avevano programmato ampliamenti produttivi per soddisfare la domanda Usa ma ora hanno congelato gli investimenti. A rischio c’è anche l’indotto occupazionale». Questa situazione «fa aumentare molto l’incertezza, ora superiore al periodo del lockdown» e anche per le famiglie «sta crescendo la propensione al risparmio». I dazi preoccupano anche il sindacato. Secondo le stime «interesserebbero circa 150.000 lavoratori», ha detto il segretario della Cisl, Daniela Fumarola, nel corso del XX Congresso confederale.
Margherita Agnelli (Ansa)
L’europarlamentare del Pd Irene Tinagli (Imagoeconomica)
John Elkann (Getty Images)