2020-10-28
Trump abbatte il mito del giudice militante
Amy Coney Barrett (Tasos Katopodis/Getty Images)
Terza nomina in 4 anni: con Amy Coney Barrett il presidente porta alla Corte suprema l'erede di Antonin Scalia, genio dell'originalismo giuridico È il modello opposto a quello della toga che asseconda e orienta la politica. Cioè quello sposato in toto dalla cultura italiana.Nella furia di contrapposizione a pochi giorni dal voto - furia di cui il trumpismo è più sintomo che causa - la nomina del giudice Amy Coney Barrett è finita confinata in una narrativa angusta e falsante. Quella per cui una giudice conservatrice cattolica è diventata la bandierina piantata dal presidente nel cuore della Corte suprema e in quello dell'elettorato moderato a ridosso del voto. La nomina è in realtà molto di più. Non solo perché, potenzialmente, con tre nomine in quattro anni Trump ha cambiato gli equilibri per decenni, garantendo una maggioranza di 6 a 3 per i nominati dai repubblicani. Ma soprattutto perché la linea di faglia non è riducibile a destra e sinistra. L'esaltante maratona degli hearings, le audizioni in cui i senatori hanno sezionato risposte, atteggiamento, passato, famiglia, idee e fede della Barrett hanno svelato un aspetto più profondo, di cui semmai progressismo e conservatorismo sono possibili conseguenze. In ballo c'è cosa sia un giudice, e in particolare alla Corte suprema. Le polemiche sulla Barrett, cattolica e contraria all'aborto, madre biologica e adottiva di sette figli, enfant prodige di Notre Dame, si sono concentrate sul possibile influsso delle convinzioni personali nell'esercizio del mandato poi conferitole nel giorno del compleanno di Hillary Clinton. Una riedizione, per certi versi, della battagliata consumatasi sulla pelle di Rocco Buttiglione, che fu costretto a spiegare invano al Parlamento Ue che un peccato non è un reato. Ecco, la Barrett, degna allieva di Antonin Scalia (1936-2016), incarna una tradizione giuridica per la quale alla toga spetta un grandioso e profondo lavoro di interpretazione del dettato costituzionale in senso «originalista». Al di là delle etichette di filosofia del diritto, il punto pratico è se un giudice debba adattare la Costituzione ai tempi, e quindi dedurre o avallare nuovi diritti, mutare indirizzi, assecondare le priorità politiche, o applicare la Carta deducendone le infinite conseguenze sui casi sottoposti. Può sembrare un problema accademico, ma è «la» questione del potere nella contemporaneità. Il pensiero cioè di cosa sia un giudice, del compito che esso abbia e di conseguenza del rapporto che instaura con la politica. Amy Barrett ha rimpiazzato Ruth Bader Ginsberg (1933-2020), icona progressista nominata da Bill Clinton. È difficile immaginare una concezione più agli antipodi. L'ha spiegato in modo molto efficace l'ex presidente della Corte costituzionale italiana, Marta Cartabia, che il Corriere della Sera ha voluto generosamente far ragionare sull'eredità della «collega»: «Le sue prime vittorie giuridiche», ha spiegato la fresca professoressa della Bocconi, «hanno riguardato casi di discriminazione a danno degli uomini, dove ha ottenuto l'annullamento di leggi che riservavano alcuni benefici sociali alle sole donne, sul presupposto che gli uomini non ne avessero bisogno in quanto titolari di un reddito proprio». La cultura italiana ha scelto in pieno, e la presidenza Cartabia ne è un esempio chiaro, il modello Ginsburg: un giudice protagonista, che ottiene «vittorie», guida e orienta la politica (come avvenuto sul fine vita in Italia) fino a sostituirla, in senso culturale e di carriere personali (cosa che per un giudice Usa non è possibile, qui sì).Scalia, Barrett, i due giudici «trumpiani» Gorsuch e Kavanaugh rappresentano la scuola opposta. L'idea che un giudice sia in posizione antagonista del potere, usi un'arma che segna una irrevocabile distanza critica dalla politica. Ovviamente è a sua volta un'opzione politica, ma di segno diverso: tanto che la Corte ha riservato, anche di recente, diverse delusioni al presidente in carica. Ma è conseguente al pensiero di Scalia, che in un celebre discorso spiegò: «Perché mai noi giudici dovremmo essere esperti? Cosa, di ciò che ho studiato ad Harvard, dovrebbe darmi più elementi per decidere se debba esistere o meno un diritto al suicidio assistito, o all'aborto, rispetto a quelli che ha un idraulico? Perché pensiamo di affidare le risposte a queste domande a dei giudici?». Di recente, il successore della Cartabia, Mario Morelli, ha spiegato così il suo breve mandato insediandosi alla guida della Consulta: «I diritti essenziali non sono solo quelli elencati ma tutti quelli che emergono ed emergeranno dalla coscienza sociale. Ci sono diritti che nascono dal basso, che sono richiesti dalla coscienza sociale. Il vostro ruolo di giornalisti è proprio quello di darci il polso della coscienza sociale». Chi è più libero, semplificando: Scalia o Morelli? Chi garantisce di più i cittadini? In Senato la Barrett ha scandito: «Un giudice non può alzarsi e dire: “Ho un'agenda sulle armi, o sull'aborto", entrare come una regina e imporre la sua volontà». La faccenda è tutta qui. E infatti appena si è capito che la Barrett sarebbe passata, Biden e i democratici hanno invocato la riforma della Corte, per ampliarla a più giudici e «riequilibrarla».