2024-03-09
Truffa sul Reddito di cittadinanza. L’ultimo testacoda di Riccardo Bossi
Il figlio pilota di rally del Senatùr è accusato di aver incassato 280 euro al mese per tre anni e mezzo ma senza averne diritto. Dai Rolex mai pagati alle figuracce per andare all’«Isola dei famosi»: una vita segnata dai guai.Eh sì, i furbetti del reddito di cittadinanza non sono solo al Sud. Oppure sarà che a Busto Arsizio i controlli sono più occhiuti che in Campania. In ogni caso, quando ti accusano di prendere a sbafo il famoso reddito di «nullafacenza» grillino e non sei un cugino di Luigi Di Maio, ma sei il figlio primogenito di Umberto Bossi, l’amarezza è profonda. Più che altro per l’anziano Senatùr che, dopo aver soprannominato un figlio «Trota» (Renzo), ora se ne trova un altro a cui non starebbe male il nomignolo di «Girino».I fatti sono di una miseria assoluta, anche come importi. Riccardo Bossi, figlio primogenito del fondatore della Lega Nord, è indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato perché avrebbe incassato indebitamente 12.800 euro di reddito di cittadinanza nel periodo che va dal 2020 al 2023. Il pm di Busto Arsizio, Nadia Alessandra Calcaterra, ha depositato l’avviso di chiusura indagini e ora si prepara a chiedere il processo.Nel corso delle indagini, Riccardo Bossi, difeso dall’avvocato Federico Magnante, ha preferito non rispondere e ora avrà 20 giorni per chiedere di essere ascoltato e depositare una memoria difensiva. Secondo gli inquirenti, avrebbe incassato 280 euro al mese per 43 mensilità fino, appunto, ad arrivare a un totale contestato di 12.800 euro. Bossi junior, nato nel 1979 dal primo matrimonio di Umberto con la commessa gallaratese Gigliola Guidali, avrebbe chiesto il reddito di cittadinanza collegandolo al canone di locazione di un appartamento come sostegno al pagamento.Ma secondo il pm, era già stato sfrattato in quanto moroso. Di qui, la contestazione del reato di truffa. Manca la versione dell’indagato, al momento, oltre a un primo vaglio di un giudice terzo, ma quando le agenzie di stampa hanno battuto la notizia non potevano che accendersi i riflettori su una faccenda che, senza il cognome Bossi di mezzo, sarebbe stata ignorata. Da un lato, negli anni Novanta, lo slogan «Roma ladrona» urlato ai raduni di Pontida ha segnato un’epoca; dall’altro, il reddito di cittadinanza del M5s è stato un simbolo di assistenzialismo che a Napoli e dintorni ha rasentato i limiti del voto di scambio (di massa). Ma questa storia ambientata nel Varesotto, se davvero è andata così, induce a non generalizzare.Certo, non sarebbe la prima volta che Riccardo Bossi dà un dispiacere a suo padre Umberto. Nel 2016, si è beccato una condanna per appropriazione indebita dal tribunale di Milano per le presunte spese personali con i fondi pubblici della Lega. Nel medesimo anno ha ricevuto una pena a dieci mesi, inflitta dal tribunale di Busto Arsizio che oggi lo indaga di nuovo, con l’accusa di aver truffato alcuni gioiellieri appropriandosi senza pagare di gioielli di Bulgari e di un orologio Rolex. Quattro anni fa, poi, è stato condannato a otto mesi per truffa, per essersi impossessato fraudolentemente di due moto d’acqua, del valore di 33.000 euro complessivi.Del resto, Riccardo Bossi ha la passione per i motori ed è stato pilota di rally, disciplina nella quale ha cercato di sfondare. Ha anche lavorato per qualche tempo, quindici anni fa, nella segreteria di Matteo Salvini, ma la politica non lo appassionava e ha preferito dedicarsi a varie attività imprenditoriali. Tutte evidentemente finite non benissimo, se si è spinto a chiedere il reddito di cittadinanza. Ora il problema è che la truffa ai danni dello Stato è punita con la reclusione da uno a cinque anni, perché è ritenuta più grave delle truffe a persone comuni (quelle a danno di soggetti fragili sono invece aggravate) e un’eventuale condanna, nel caso del figlio del Senatùr, sarebbe un bel pasticcio perché rischia di far scattare la tagliola delle recidive prevista dalla ex legge Cirielli.Al di là dei risvolti penali, quel che si sa di Riccardo Bossi è che ha variamente cercato di esorcizzare un cognome pesante. Spesso con risultati assai deludenti, tra matrimoni fastosi e apparizioni sui rotocalchi. Memorabile lo scambio a mezzo stampa con il padre andato in scena nell’estate del 2007. Riccardo si fa intervistare da Chi per lanciare un appello di un certo spessore: «Chiedo a mio padre, con educazione e rispetto, che mi lasci partecipare a L’Isola dei famosi. Ho rinunciato, per suo volere, alla politica, ma voglio che non mi ostacoli in questa scelta». Passano pochi giorni e il papà gli risponde con un’intervista su Gente: «Mio figlio Riccardo all’Isola dei famosi? Ma gli tiro un calcio nel sedere!». Provate a sostituire il programma Mediaset con la richiesta del reddito di cittadinanza e Dio solo sa che cosa avrebbe detto il fondatore del Carroccio.Nella stessa, ingenuissima intervista a Chi, Bossi junior assicurava: «Sono un ragazzo solare e a modo, non infangherò la reputazione di mio papà andando sull’isola». Chiunque, genitore o figlio, sa che purtroppo il concetto di reputazione è altamente soggettivo e l’infangamento, in famiglia, è spesso imparabile.
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)