2018-10-09
        I fustigatori europei dell'Italia presi a sberle dai loro elettori
    
 
L'elenco è lungo e comincia con un signore di nome Pierre Moscovici. In Francia il suo partito non esiste praticamente più, spazzato via dalle ultime elezioni e costretto a vendere la storica sede di Parigi per ripagare i debiti. Tuttavia, sebbene il Partito socialista francese sia in liquidazione o quasi, l'ex ministro dell'Economia di François Hollande in Europa detta ancora legge, stabilendo che cosa sia giusto fare e chi si debba mettere in castigo per non essersi comportato come dovrebbe. L'ultimo della serie di sconfitti eccellenti che non si rassegnano a farsi da parte, invece, risponde al nome di Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Ue. A casa sua, in Lettonia, sabato è stato battuto in malo modo: al suo partito (crollato dal 21 al 6 per cento) i lettoni hanno preferito quello filo russo. Sì, avete capito bene: pur non amando Mosca, a Riga se la sono fatta andar bene. Come dire: meglio essere amici di Vladimir Putin che di un tipo come Jean-Claude Juncker. Se c'era un modo di rappresentare il fallimento dell'attuale classe dirigente dell'Europa, diciamo che è stato scelto il migliore. Uno via l'altro cadono infatti tutti i partiti di coloro che hanno guidato la Ue negli ultimi anni, segno evidente che a casa loro, dove li conoscono da vicino, i politici europei sono bocciati senza appello. È ciò che è accaduto a Guy Verhofstadt, un campione dell'Europa del rigore. Dopo essere stato a lungo alla guida del proprio Paese, il Belgio, prima come ministro del bilancio e poi come premier, Verhofstadt è stato sbalzato di sella e ha dovuto cambiare cavallo. Così, dal Parlamento nazionale è stato catapultato in quello europeo, dove ancora però si atteggia a guardiano delle regole, quelle che dalle sue parti l'hanno costretto a fare le valigie. Il più clamoroso tonfo è però quello che ha riguardato Jeroen Dijsselbloem, un signore che per conto del Partito del lavoro olandese ha ricoperto l'incarico di presidente dell'Eurogruppo fino al gennaio scorso. Da ex ministro delle Finanze del suo Paese, ha imposto misure draconiane nei confronti della Grecia, tentando di riprodurre il modello anche in Italia e in Spagna, cioè impostando le politiche più restrittive. Il falco Dijsselbloem è stato ripagato in patria con un tracollo dei consensi. Il suo partito, che un tempo rappresentava un terzo dell'elettorato, alle ultime consultazioni ha racimolato un misero 5,7 per cento, perdendo il 19,1 per cento dei voti. Un successo.Nell'Europa dei trombati non si può dimenticare il nome di maggior spicco, ossia quello di Jean Claude Juncker. Costui è da quattro anni il presidente della Commissione europea. Tanto per intenderci, se l'Ue fosse equiparabile all'America, se cioè esistessero davvero gli Stati Uniti d'Europa come nelle intenzioni dei padri fondatori, l'avvocato lussemburghese che occupa la poltrona più importante sarebbe l'equivalente di Donald Trump. Ahinoi, purtroppo invece è solo Juncker, e dell'inquilino della Casa Bianca una pallidissima imitazione. Juncker è in politica da oltre quarant'anni e ha sempre militato nel Partito popolare cristiano sociale. Per quasi vent'anni è stato primo ministro del suo Paese, ma nel 2013 ha dovuto rassegnare le dimissioni per lo scandalo dei servizi segreti. Gli 007 del Granducato per anni avrebbero spiato e schedato illegalmente decine di migliaia di persone. Il suo partito fu bastonato dagli elettori e Juncker fu indotto a fare le valigie. Essendo stato sconfitto in casa propria, ovviamente gli fu subito offerta una poltrona in Europa. Il Partito popolare europeo, infatti, lo candidò alla guida della Ue. Così, una volta sconfitto in patria, Juncker si è ritrovato vincente a Bruxelles. Dell'elenco non può essere escluso neppure l'italiano Antonio Tajani, un tranquillo signore che ha percorso tutta la sua lunga carriera politica all'ombra di Silvio Berlusconi. Per anni l'esponente di Forza Italia si è occupato di Europa, facendo senza dare troppo fastidio a nessuno il commissario europeo ai trasporti e all'industria. Poi il grande salto: alla fine del 2017 divenne presidente del Parlamento europeo. Peccato che la nomina coincise con il tracollo del suo partito, di cui nel frattempo era divenuto vicepresidente.Insomma, oggi gli uomini che rappresentano l'Europa sono quasi tutti sconfitti in casa propria e alle prossime elezioni europee, che si terranno in primavera, rischiano il colpo finale. Se l'avanzata dei partiti sovranisti non sarà fermata, tutti loro dovranno fare le valigie e molto probabilmente senza avere un piano B. È questa la ragione dello scontro in atto. Dopo aver governato per decenni, l'élite europea si rende conto che è arrivata la resa dei conti. Non è l'Europa sotto accusa: è la classe dirigente che l'ha guidata. Tempo fa uno di costoro, tal Günther Oettinger, un tirapiedi di Angela Merkel, disse che i mercati avrebbero insegnato agli italiani a votare. Ecco, ciò che sta accadendo è ciò che Oettinger minacciò. Agli italiani, anzi agli europei che si ribellano, la nomenklatura sconfitta nelle urne, risponde con lo spread e le minacce. Gli italiani non hanno che da decidere a chi darla vinta.
        Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
    
        (Guardia di Finanza)
    
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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        Giorgia Meloni (Getty Images)