2020-06-25
Tripla beffa sulla cassa integrazione. Solo una settimana per richiederla
Nessuna estensione, scadenza inderogabile il 15 luglio. Chi resta fuori se la paga.La beffa della cassa integrazione non finisce mai. Dopo l'infinita (e per molti ancora vana) attesa del pagamento; dopo che un numero enorme di aziende sono state costrette ad anticipare il trattamento ai loro dipendenti; dopo che l'ineffabile presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, si è pure permesso il lusso di sbeffeggiare le imprese, tacciate di «pigrizia e opportunismo», arriva una tripla presa in giro sotto forma di emendamento governativo: per i feticisti dei numeri, si tratta dell'emendamento 68.137 presentato dallo stesso governo al decreto Rilancio, e dunque inevitabilmente destinato a passare, nonostante le difficoltà e le liti esplose nella maggioranza giallorossa. La prima presa in giro era già nota, ed è stata purtroppo pienamente confermata. Ne aveva scritto più volte La Verità, commentando l'annuncio dato una decina di giorni fa dai ministri Nunzia Catalfo e Roberto Gualtieri: la cassa integrazione non verrà affatto estesa nel tempo, ma solo anticipata per ciò che riguarda le quattro settimane che in teoria sarebbero dovute scattare a settembre. Ma, complessivamente, si tratta sempre delle stesse 14 settimane più quattro, e la coperta era e resta cortissima. Occorre fare un passo indietro. Esistono aziende che stanno per esaurire le settimane di cassa integrazione, e che dunque, scadendo i tempi, sarebbero costrette a reintegrare i lavoratori, a maggior ragione esistendo fino a metà agosto il divieto di licenziamento. Si ricorderà che la normativa prevede 14 settimane (nove più cinque) di cassa integrazione, più altre quattro per la cui domanda occorre però aspettare settembre. Morale: chi ha iniziato la cassa da tempo sta per esaurire le prime 14 settimane, e non può certo permettersi di attendere settembre. Da parte loro, i sindacati insistono affinché gli ammortizzatori abbiano copertura economica fino a fine anno, vista la situazione economica tutt'altro che rosea. E il governo che fa? Con l'emendamento 68.137, si limita a permettere di anticipare a subito le ulteriori quattro settimane teoricamente previste a settembre. Ma ognuno capisce che è la stessa coperta corta: la si sposta un po' più in su o più in giù, ma qualcosa resterà fatalmente scoperto. E la fine dell'estate - tra esaurimento degli ammortizzatori, fine dello stop ai licenziamenti, e massacro fiscale del 16 settembre, quando occorrerà pagare tutte le tasse rinviate da marzo - rischia di portare con sé uno tsunami di licenziamenti e fallimenti. Ma non basta, perché il Conte bis ha in serbo altri due sfregi. Ecco il secondo: nel quadro di una procedura particolarmente rigida e farraginosa, una volta trascorso inutilmente il termine per la presentazione della domanda, il governo specifica che «il pagamento della prestazione e gli oneri a essa connessi rimangono a carico del datore di lavoro inadempiente». Siamo davanti a un grande classico: lo Stato tratta i cittadini come sudditi. E dunque, per sé stesso, autorizza o perdona qualunque ritardo, fissando termini cosiddetti «ordinatori» (i giuristi li chiamano, non a caso: «canzonatori», nel senso che il loro mancato rispetto non produce alcuna conseguenza negativa per la macchina pubblica). Al contrario, quando invece si tratta di adempimenti a carico del cittadino, in questo caso dell'imprenditore, i termini diventano «perentori», cioè a pena di decadenza. E con la conseguenza che a pagare deve essere il datore di lavoro. Terzo e ultimo sfregio, e per molti versi si tratta del più clamoroso. Per le domande riferite ai periodi di sospensione o riduzione di attività che hanno avuto inizio nel periodo compreso tra il 23 febbraio e il 30 aprile scorsi, il termine perentorio per la domanda è fissato dall'emendamento governativo al 15 luglio prossimo. Avete capito bene: il 15 luglio, per un provvedimento che realisticamente, secondo le previsioni, sarà convertito in legge solo il 4 luglio prossimo. Morale: l'imprenditore non lo sa, ma, se la tempistica sarà davvero quella, avrà appena 11 giorni di calendario. Anzi, detratti i sabati e le domeniche, avrà - se tutto va bene - la miseria di sette giorni per provvedere. Se non riesce, resterà cornuto e mazziato.Ora, nonostante le rassicurazioni di Tridico («Abbiamo analizzato i numeri e le criticità con il premier Conte»), le imprese italiane sono impegnate in una battaglia campale: assenza di liquidità, ricavi crollati, prospettive difficilissime. In molti casi si sono pure fatte carico, come detto, di anticipare i trattamenti ai loro dipendenti. Adesso, in una corsa ossessiva, dovrebbero perfino impegnarsi in un monitoraggio parlamentare per sapere quando il provvedimento (di 256 articoli: un'autentica manovra!) diverrà legge, e quindi presentare le domande senza sgarrare di un minuto. Occorre altro per immaginare che la pazienza degli imprenditori sta per esaurirsi?
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