2020-04-28
Tribunali chiusi. Nessun cittadino può opporsi ai «decretini»
L'abuso di Dpcm sospende la democrazia ma presentare dei ricorsi è impossibile. Cari italiani, vi siete stancati delle norme che il governo giallorosso ci impone da mesi, grazie all'emergenza coronavirus? Vorreste essere difesi da una o più delle regole che da febbraio limitano a capriccio i vostri diritti costituzionali, o danneggiano i vostri interessi economici e la vostra vita? In attesa che il Parlamento abbandoni il torpore cui è stato obbligato (e magari di un voto che prima o poi verrà), non avete molte strade per opporvi, o più banalmente per chiedere tutela giudiziaria: potete presentare un'istanza a un Tribunale amministrativo regionale, oppure rivolgervi a un giudice civile, oppure ancora fare un ricorso straordinario al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Non è gran che, purtroppo. Anche perché ormai in tutta Italia i Tar non fanno più udienze, i Tribunali civili sono tutti praticamente chiusi (a parte pochi uffici di giudici eroici), e lo stesso capo dello Stato pare non voler fare ricorso alle sue potestà. Il risultato è sconfortante. Cittadini, negozianti, imprenditori, preti e studenti: tutti siamo senza difesa, in balìa dei capricci legislativi di Giuseppe Conte. Tutto questo avviene grazie a un trucco passato nella piena distrazione dell'opinione pubblica. Il trucco si chiama Dpcm. La sigla sta per «Decreto del presidente del Consiglio dei ministri»: i manuali di diritto lo definiscono come «fonte normativa secondaria», cioè un atto amministrativo che non ha forza di legge e serve tutt'al più per dare attuazione alle leggi «vere», quelle votate dal Parlamento, o per dotarle di regolamenti attuativi. Il Dpcm è insomma un «decretino» che il presidente del Consiglio produce in solitudine e senza controllo alcuno. Non c'è bisogno nemmeno della promulgazione del capo dello Stato. Quindi dovrebbe essere utilizzato per temi minimi, non per bloccare un Paese in casa (sia pure allo scopo sacrosanto di limitare una pandemia) o per imporre una serrata di mesi a negozi e fabbriche, o per chiudere chiese e scuole. Per passaggi drammatici come questi, che attengono a diritti fondamentali, le regole di una democrazia seria imporrebbero quanto meno l'uso di strumenti d'urgenza da sottoporre al controllo parlamentare, come il decreto-legge. Marco Di Tolle, tra i più noti amministrativisti italiani, è convinto che «l'abuso dei Dpcm stia diventando una forzatura preoccupante, che anestetizza il Parlamento».È così. Da quando a fine gennaio il governo ha deliberato lo stato d'emergenza per Covid-19, sono stati promulgati pochi decreti legge e invece è partito uno zibaldone di Dpcm. L'ultimo, quello che darà via alla Fase 2, è stato annunciato domenica 26 aprile da Conte, in una «finestra informativa» aperta d'autorità nei tg serali. Ma prima di quel «decretino» ce n'era stata almeno una decina: in febbraio ne sono stati varati due, in marzo sei, e in aprile Conte aveva già firmato altri due Dpcm. Tutti contenevano regole di comportamento, divieti gravi, sospensioni di diritti. Negli ultimi tre mesi, quasi tutto è divenuto legge attraverso i «decretini» dell'avvocato del popolo. E nessun parlamentare d'opposizione ha potuto nemmeno provare a emendarli, perché non li ha nemmeno visti. Una decina di giorni fa, il giurista Sabino Cassese ha contestato la pericolosa deriva: «Invece di abusare dei Dpcm» ha detto l'ex giudice costituzionale, «sarebbe stato meglio ricorrere, almeno per quelli più importanti, a decreti del presidente della Repubblica». A fine marzo anche il costituzionalista Giovanni Guzzetta si era pubblicamente appellato a Mattarella perché intervenisse sui «decretini» contiani, «che quasi quotidianamente si abbattono sui cittadini» senza controllo da parte del Parlamento. Reazioni? Risposte? Nessuna. L'unica speranza, dice oggi Guzzetta, è che un cittadino trovi un tribunale aperto e un giudice che gli dia retta. «Si potrebbe sollevare un'eccezione d'incostituzionalità», aggiunge, «che tra qualche mese arriverebbe alla Consulta». A quel punto, la suprema corte potrebbe dirci che con i «decretini» di Conte abbiamo vissuto qualche mese fuori dalla Costituzione. Magra consolazione. Sarà comunque troppo tardi.
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