Mentre i media sono costretti ad ammettere gli sbagli compiuti nel passato, premier, ministri e Bruxelles insistono per andare avanti con solare ed eolico. Con il risultato che i cittadini saranno sempre più poveri
Mentre i media sono costretti ad ammettere gli sbagli compiuti nel passato, premier, ministri e Bruxelles insistono per andare avanti con solare ed eolico. Con il risultato che i cittadini saranno sempre più poveriDa circa un mese non c’è talk show televisivo ove conduttore e ospiti non si chiedono se per caso abbiamo sbagliato qualcosa di fondamentale (qualcuno ha azzardato un «tutto») nella gestione della politica energetica degli ultimi 30 anni. La domanda sorge solo ora in conseguenza di vedute divergenti tra noi e il nostro principale fornitore di gas, che ha intrapreso una guerra contro il suo confinante. La cosa che trovo straordinaria è che fino a poco prima i più si dicevano entusiasti non solo delle scelte fatte, ma auspicavano una perseveranza sempre più intensa nel perseguire quella strada della quale stanno cominciando a dubitare.Le pietre miliari di quella strada verso il Paese dei balocchi sono state: 1 l’entusiasmo verso il neonato, prima movimento poi partito, dei Verdi, dall’ambizioso programma di voler salvare addirittura il mondo; 2 vari referendum anti nucleare (in Svezia, Belgio, Svizzera, Italia); 3 il Protocollo di Kyoto del 2003, il Pacchetto 20-20-20 del 2008, e il Green new deal di Ursula von der Leyen (tutti con il proposito di ridurre, rispetto ai livelli del 1990, rispettivamente, del 6% entro il 2012, del 20% entro il 2020, e del 100% entro il 2050, le emissioni dai combustibili fossili); 4 in casa nostra, la creazione del ministero della Transizione ecologica. Questo ministero, unico al mondo, avrebbe dovuto essere di esempio e monito per il mondo intero. Quanto ai Verdi, ci si accorge ora, che se mai il mondo fosse da salvare, possiamo tranquillamente dire che i loro programmi lo hanno vieppiù affossato.Perché il fatto è che, tutto a un tratto, il sogno di ridurre l’uso dei combustibili fossili è diventato un incubo non appena ci si è resi conto che quella riduzione potrebbe diventare realtà, visto che, con geniale perspicacia, abbiamo ben pensato di farci considerare, dal nostro principale fornitore di gas, alla guisa di fastidiosi moscerini che s’intrufolano nella sua bocca. Costui non ha (ancora?) ridotto le sue forniture, ma il solo timore che potrebbe farlo ha creato il panico nel governo che, da aspirante a una immaginifica free carbon economy, s’è rivelato essere, quanto a carbon, in crisi d’astinenza, e vi s’è messo alla ricerca frenetica e spasmodica.Effettivamente, i referendum anti nucleare in Svezia, Belgio o Svizzera non hanno avuto alcun effetto, o perché la gente confermò di volere il nucleare (Svizzera), o perché non è stato possibile rispettare il desiderio della gente che da esso vagheggiava l’uscita (Belgio e Svezia). Quanto all’Italia, essa ha chiuso ciò che non aveva e, comunque, ha fatto della elettricità da nucleare un altro bene d’importazione (ne importa il 15% del fabbisogno). Quanto poi alle promesse di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, queste, lungi dall’essersi ridotte del 6% sono invece, oggi, il 60% in più di quelle del 1990. Se nel 1990 il fabbisogno d’energia mondiale era soddisfatto per l’87% dai combustibili fossili e per lo 0,01% da eolico e fotovoltaico, oggi i combustibili fossili contribuiscono per l’84%, mentre eolico e fotovoltaico per il 3%. Il verdume vario si bea del fatto che eolico e fotovoltaico hanno goduto di un incremento di 300 volte, ma siccome ha seri problemi con l’aritmetica noi rinunciamo a fargli notare che 300 per 0 fa 0. Si potrebbe obiettare che bisogna osservare non il mondo intero, ma quella parte che s’è impegnato nella crociata, tanto più che è, questa parte di mondo, la più ricca ed energivora. E cosa scopriamo?Scopriamo che, esattamente come 30 anni fa, i combustibili fossili contribuiscono oggi, ovunque, per oltre l’80% al fabbisogno energetico. E scopriamo che i Paesi che hanno compiuto le tre scelte contemporanee di: 1 riduzione (anche se, alla fine, insignificante) del contributo dei combustibili fossili;2 riduzione del contributo del nucleare o suo mantenimento come bene d’importazione;3 incremento significativo, e con trilionari impegni economici del contributo di eolico e fotovoltaico (anche se, in termini assoluti d’energia, insignificante), sono i Paesi più vulnerabili. Essi risentono anche del solo rischio di una minore disponibilità di combustibili fossili. Questi Paesi sono la Germania e, massimamente, l’Italia. Il colmo dell’insipienza è che i politici cosiddetti responsabili della questione energetica - a casa nostra Mario Draghi e Roberto Cingolani - a onta del fallimento degli ultimi 30 anni, continuano a sostenere che la via d’uscita da quel fallimento è la stessa che è stata imboccata e che ci ha portato a esso. Come mai? Lo scopo ultimo di queste scelte è ottenere l’aumento vertiginoso del costo dell’energia. Ma mentre il minore uso di essa comporterà l’impoverimento degli utenti, i suoi alti costi renderanno sempre più miliardari gli oligarchi. Per esempio, la Arabian american oil company ha registrato nel 2021 un utile netto più che doppio di quello del 2020. Noi siamo più poveri, loro più ricchi. La guerra li farà vieppiù arricchire: in Italia, ringrazieranno Draghi e Cingolani, in Europa la von der Leyen e in America Joe Biden.
Ansa
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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