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2023-12-22
Evviva, Mes bocciato: stop al tormentone velenoso
Ansa
Un bel «no», la cui eco risuona da Montecitorio fino a Bruxelles: la Camera dei deputati boccia la ratifica della modifica del Mes, e l’Italia evita, almeno per il momento, di cascare in un trappolone dalle conseguenze potenzialmente devastanti. I voti a favore sono stati 72 (Pd, Italia viva e Azione), i contrari 184 (Fdi, Lega e M5s), gli astenuti 44 (Forza Italia, Noi Moderati, Avs). Un voto trasversale, con maggioranza e opposizione che si sono divise, per un motivo estremamente semplice: a parte il M5s, con Giuseppe Conte che negli ultimi anni ha cambiato posizione sul Mes a seconda che il suo ciuffo sventolasse verso destra o verso sinistra, gli altri partiti hanno votato in Aula in modo coerente. Parlare di spaccatura nella maggioranza per l’astensione dei berlusconiani è tecnicamente vero ma politicamente forzato: Forza Italia è l’unico partito di centrodestra che, facendo parte del Partito popolare europeo, sostiene l’attuale Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, esponente proprio del Ppe, a differenza di Ecr (gruppo europeo di Fdi) e Id (gruppo della Lega).
Particolarmente significativo, dal punto di vista politico, il «no» compatto di Fratelli d’Italia: Giorgia Meloni, come hanno fatto notare i suoi fedelissimi dopo il voto, ha sempre sostenuto di essere contraria alla ratifica, e ha mantenuto la posizione anche se, da presidente del Consiglio, è stata inevitabilmente sottoposta a pressioni inimmaginabili da parte di quel «salotto buono» di Bruxelles che tutto pensa di poter decidere. Se ne faranno una ragione, dalle parti della Commissione europea: in questi mesi l’Italia ha dovuto fare più volte buon viso a cattivo gioco, la Meloni ha dimostrato il suo europeismo e la sua fedeltà alle alleanze con i fatti e assumendosi responsabilità pesantissime, dal sostegno senza se e senza ma all’Ucraina e a Israele fino all’ok, sofferto, alla riforma del Patto di stabilità. A questo proposito: avevamo visto giusto, noi della Verità, quando avevamo spiegato la frase di Giorgia Meloni «non vedo link tra il Mes e il Patto di stabilità» con la volontà della premier, in caso di via libera al Patto, di tenersi le mani libere sul Mes. È esattamente quello che è accaduto.
«Il governo», ha fatto sapere ieri Palazzo Chigi pochi minuti dopo il voto, «che si era rimesso al Parlamento, prende atto del voto dell’Aula di Montecitorio sulla scelta di non ratificare la modifica al trattato Mes. Si tratta di un’integrazione di relativo interesse e attualità per l’Italia, visto che come elemento principale prevede l’estensione di salvaguardie a banche sistemiche in difficoltà, in un contesto che vede il sistema bancario italiano tra i più solidi in Europa e in Occidente. In ogni caso», hanno aggiunto le fonti della Presidenza del Consiglio, «il Mes è in piena funzione nella sua configurazione originaria, ossia di sostegno agli Stati membri in difficoltà finanziaria. La scelta del Parlamento italiano di non procedere alla ratifica può essere l’occasione per avviare una riflessione in sede europea su nuove ed eventuali modifiche al trattato, più utili all’intera Eurozona». Un concetto ribadito dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Attuazione del programma, Giovanbattista Fazzolari: «Il nostro sistema bancario è fra i più solidi dell’Europa e del mondo intero, e non abbiamo bisogno di modificarlo per salvare grandi banche in difficoltà di altri Stati».
Una valutazione che fa piazza pulita della narrazione tossica che ha accompagnato il dibattito sulla ratifica del nuovo Mes, e che La Verità ha frequentemente sbugiardato: un ok alla ratifica avrebbe significato che, nel caso di un fallimento di una banca straniera, anche i contribuenti italiani avrebbero dovuto partecipare al suo risanamento. Il Mes, per rendere l’idea degli ordini di grandezza di cui parliamo, ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi, di cui 80,5 sono stati versati; la sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. L’Italia ha sottoscritto il capitale del Mes per 125,3 miliardi, versandone oltre 14. Se per ipotesi una banca di una nazione europea fallisse, l’Italia, con l’entrata in vigore del nuovo trattato, poteva essere chiamata in linea teorica a versare 125,3 miliardi per contribuire al salvataggio. La realtà era stata, come spesso accade, diabolicamente capovolta: si tentava di convincere l’Italia ad approvare la riforma del Mes aggiungendo al via libera una formula che rendesse necessario per il nostro Paese un voto del Parlamento, magari addirittura a maggioranza qualificata, per accedere al prestito. Una ipotesi ventilata dal paladino del Mes Enzo Amendola, ex ministro e attuale deputato Pd, che per qualche giorno sembrava poter fare breccia anche tra i partiti di maggioranza. Un capovolgimento della realtà: la trappola del nuovo Mes non consisteva nella ipotesi di chiederne il sostegno, essendo il nostro sistema creditizio solido e i nostri titoli di Stato assai appetibili sui mercati, ma di dover pagare il crac di qualche banca straniera. Infine, va riconosciuto alla Lega, e in particolare al suo leader Matteo Salvini, di aver tenuto duro: quando qualcuno tra gli alleati e nel suo stesso partito sembrava barcollare, il vicepremier ha tenuto nervi saldi e barra dritta, così come gli consigliavano gli economisti del Carroccio, a partire da Claudio Borghi. L’European stability mechanism «si rammarica della decisione del Parlamento italiano di votare contro la ratifica del trattato Mes riveduto», ha commentato l’ad, Pierre Gramegna, in una nota. «Senza la ratifica di tutti gli Stati membri, il Mes non sarà in grado di fornire il sostegno comune al Fondo di risoluzione unico dell’unione bancaria, di cui beneficerebbero tutti i Paesi dell’area euro», ha aggiunto.
L’opposizione finisce in mille pezzi ma parla di centrodestra diviso
Dopo tanti rinvii, ieri il Parlamento ha bocciato la ratifica della riforma del Mes. L’Aula della Camera ha detto no a ratifica ed esecuzione dell’Accordo recante modifica del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità, con 72 voti a favore, 184 contrari e 44 astenuti. Hanno votato a favore della ratifica del Mes Pd, Più Europa, Iv e Azione. Hanno votato contro Lega, Fratelli d’Italia e M5s. Si sono astenuti Forza Italia, Noi moderati e Avs. Immediata la reazione dell’opposizione: «La maggioranza s’è spaccata. In frantumi la credibilità della Meloni». Quella che è andata a pezzi per la verità è la propaganda della sinistra che nelle settimane precedenti aveva sostenuto che Giorgia Meloni si sarebbe piegata all’Europa e avrebbe approvato il Mes. E invece la premier è rimasta coerente con quanto aveva sempre sostenuto, non lasciando peraltro una «bandiera» così identitaria alla Lega. Matteo Salvini, vicepremier leghista e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ha infatti commentato: «Il Parlamento boccia il Mes, pensionati e lavoratori italiani non rischieranno di pagare il salvataggio delle banche straniere. E pazienza se a sinistra si arrabbieranno. Una battaglia della Lega combattuta per anni e finalmente vinta. Avanti così, a testa alta e senza paura». Aggiungendo a proposito di spaccatura: «Non c’è nulla, mi sembra invece che si sia divisa l’opposizione, con il Pd che vota a favore e M5s contro». In mattinata in commissione Bilancio la maggioranza aveva dato parere contrario alla ratifica come proposto dalla relatrice di Fdi, Ylenja Lucaselli, ma Fi aveva già deciso di non esprimersi e una volta in Aula astenersi come annunciato dal deputato azzurro Andrea Orsini che ha definito la votazione «irresponsabile»: «L’opposizione ha voluto portare in Aula questa ratifica non perché sia importante o urgente ma con l’illusione di metter in imbarazzo il governo su un tema che si ritiene divisivo. I primi a essere divisi siete voi se è vero che il Pd è favorevole per motivi sbagliati e il M5s è contrario per motivi altrettanto sbagliati».
Da fonti di Palazzo Chigi il commento dell’esecutivo: «Il governo, che si era rimesso al Parlamento, prende atto del voto dell’Aula di Montecitorio. Si tratta di un’integrazione di relativo interesse e attualità per l’Italia, visto che come elemento principale prevede l’estensione di salvaguardie a banche sistemiche in difficoltà, in un contesto che vede il sistema bancario italiano tra i più solidi in Europa e in Occidente».
Attaccano le opposizioni che sottolineano il voto contrario arrivato all’indomani del via libera al nuovo Patto di stabilità. «Meloni, Salvini e Conte si confermano populisti e dicono no al Mes. Forza Italia sempre più imbarazzante si astiene come la sinistra radicale», ha scritto su X il leader di Italia viva, Matteo Renzi.
Solita richiesta della segretaria Pd Elly Schlein: «Giorgetti dovrebbe valutare le dimissioni perché quella che la maggioranza ha messo in evidenza in Parlamento è una clamorosa smentita di Giorgetti», mentre il leader di Azione Carlo Calenda scrive sui social: «Oggi la maggioranza si spacca sul Mes e così il campo largo. È la testimonianza che questo Paese non si può governare con un bipolarismo che produce solo contraddizioni e figuracce».
Durissimo l’intervento in Aula di Giuseppe Conte: «Giorgia Meloni ha mentito al Parlamento, solo oggi decidete sul Mes e vi assumete le vostre responsabilità: noi lo abbiamo rifiutato quando tutti lo volevano. Il Mes rimarrà un accordo intergovernativo e non comunitario. Noi siamo coerenti, votiamo no a causa della vostra incapacità, della vostra incompetenza, della vostra imperizia. Purtroppo, denunciamo questa vostra pantomima antipatriottica».
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Fdi e Lega votano contro (Fi astenuta) e il M5s dell’ondivago Giuseppe Conte si accoda: non pagheremo i crac di banche straniere.L’opposizione finisce in mille pezzi ma parla di centrodestra diviso.Lo speciale contiene due articoli.Un bel «no», la cui eco risuona da Montecitorio fino a Bruxelles: la Camera dei deputati boccia la ratifica della modifica del Mes, e l’Italia evita, almeno per il momento, di cascare in un trappolone dalle conseguenze potenzialmente devastanti. I voti a favore sono stati 72 (Pd, Italia viva e Azione), i contrari 184 (Fdi, Lega e M5s), gli astenuti 44 (Forza Italia, Noi Moderati, Avs). Un voto trasversale, con maggioranza e opposizione che si sono divise, per un motivo estremamente semplice: a parte il M5s, con Giuseppe Conte che negli ultimi anni ha cambiato posizione sul Mes a seconda che il suo ciuffo sventolasse verso destra o verso sinistra, gli altri partiti hanno votato in Aula in modo coerente. Parlare di spaccatura nella maggioranza per l’astensione dei berlusconiani è tecnicamente vero ma politicamente forzato: Forza Italia è l’unico partito di centrodestra che, facendo parte del Partito popolare europeo, sostiene l’attuale Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, esponente proprio del Ppe, a differenza di Ecr (gruppo europeo di Fdi) e Id (gruppo della Lega).Particolarmente significativo, dal punto di vista politico, il «no» compatto di Fratelli d’Italia: Giorgia Meloni, come hanno fatto notare i suoi fedelissimi dopo il voto, ha sempre sostenuto di essere contraria alla ratifica, e ha mantenuto la posizione anche se, da presidente del Consiglio, è stata inevitabilmente sottoposta a pressioni inimmaginabili da parte di quel «salotto buono» di Bruxelles che tutto pensa di poter decidere. Se ne faranno una ragione, dalle parti della Commissione europea: in questi mesi l’Italia ha dovuto fare più volte buon viso a cattivo gioco, la Meloni ha dimostrato il suo europeismo e la sua fedeltà alle alleanze con i fatti e assumendosi responsabilità pesantissime, dal sostegno senza se e senza ma all’Ucraina e a Israele fino all’ok, sofferto, alla riforma del Patto di stabilità. A questo proposito: avevamo visto giusto, noi della Verità, quando avevamo spiegato la frase di Giorgia Meloni «non vedo link tra il Mes e il Patto di stabilità» con la volontà della premier, in caso di via libera al Patto, di tenersi le mani libere sul Mes. È esattamente quello che è accaduto.«Il governo», ha fatto sapere ieri Palazzo Chigi pochi minuti dopo il voto, «che si era rimesso al Parlamento, prende atto del voto dell’Aula di Montecitorio sulla scelta di non ratificare la modifica al trattato Mes. Si tratta di un’integrazione di relativo interesse e attualità per l’Italia, visto che come elemento principale prevede l’estensione di salvaguardie a banche sistemiche in difficoltà, in un contesto che vede il sistema bancario italiano tra i più solidi in Europa e in Occidente. In ogni caso», hanno aggiunto le fonti della Presidenza del Consiglio, «il Mes è in piena funzione nella sua configurazione originaria, ossia di sostegno agli Stati membri in difficoltà finanziaria. La scelta del Parlamento italiano di non procedere alla ratifica può essere l’occasione per avviare una riflessione in sede europea su nuove ed eventuali modifiche al trattato, più utili all’intera Eurozona». Un concetto ribadito dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Attuazione del programma, Giovanbattista Fazzolari: «Il nostro sistema bancario è fra i più solidi dell’Europa e del mondo intero, e non abbiamo bisogno di modificarlo per salvare grandi banche in difficoltà di altri Stati». Una valutazione che fa piazza pulita della narrazione tossica che ha accompagnato il dibattito sulla ratifica del nuovo Mes, e che La Verità ha frequentemente sbugiardato: un ok alla ratifica avrebbe significato che, nel caso di un fallimento di una banca straniera, anche i contribuenti italiani avrebbero dovuto partecipare al suo risanamento. Il Mes, per rendere l’idea degli ordini di grandezza di cui parliamo, ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi, di cui 80,5 sono stati versati; la sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. L’Italia ha sottoscritto il capitale del Mes per 125,3 miliardi, versandone oltre 14. Se per ipotesi una banca di una nazione europea fallisse, l’Italia, con l’entrata in vigore del nuovo trattato, poteva essere chiamata in linea teorica a versare 125,3 miliardi per contribuire al salvataggio. La realtà era stata, come spesso accade, diabolicamente capovolta: si tentava di convincere l’Italia ad approvare la riforma del Mes aggiungendo al via libera una formula che rendesse necessario per il nostro Paese un voto del Parlamento, magari addirittura a maggioranza qualificata, per accedere al prestito. Una ipotesi ventilata dal paladino del Mes Enzo Amendola, ex ministro e attuale deputato Pd, che per qualche giorno sembrava poter fare breccia anche tra i partiti di maggioranza. Un capovolgimento della realtà: la trappola del nuovo Mes non consisteva nella ipotesi di chiederne il sostegno, essendo il nostro sistema creditizio solido e i nostri titoli di Stato assai appetibili sui mercati, ma di dover pagare il crac di qualche banca straniera. Infine, va riconosciuto alla Lega, e in particolare al suo leader Matteo Salvini, di aver tenuto duro: quando qualcuno tra gli alleati e nel suo stesso partito sembrava barcollare, il vicepremier ha tenuto nervi saldi e barra dritta, così come gli consigliavano gli economisti del Carroccio, a partire da Claudio Borghi. L’European stability mechanism «si rammarica della decisione del Parlamento italiano di votare contro la ratifica del trattato Mes riveduto», ha commentato l’ad, Pierre Gramegna, in una nota. «Senza la ratifica di tutti gli Stati membri, il Mes non sarà in grado di fornire il sostegno comune al Fondo di risoluzione unico dell’unione bancaria, di cui beneficerebbero tutti i Paesi dell’area euro», ha aggiunto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trappolone-respinto-aula-boccia-mes-2666748613.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lopposizione-finisce-in-mille-pezzi-ma-parla-di-centrodestra-diviso" data-post-id="2666748613" data-published-at="1703189092" data-use-pagination="False"> L’opposizione finisce in mille pezzi ma parla di centrodestra diviso Dopo tanti rinvii, ieri il Parlamento ha bocciato la ratifica della riforma del Mes. L’Aula della Camera ha detto no a ratifica ed esecuzione dell’Accordo recante modifica del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità, con 72 voti a favore, 184 contrari e 44 astenuti. Hanno votato a favore della ratifica del Mes Pd, Più Europa, Iv e Azione. Hanno votato contro Lega, Fratelli d’Italia e M5s. Si sono astenuti Forza Italia, Noi moderati e Avs. Immediata la reazione dell’opposizione: «La maggioranza s’è spaccata. In frantumi la credibilità della Meloni». Quella che è andata a pezzi per la verità è la propaganda della sinistra che nelle settimane precedenti aveva sostenuto che Giorgia Meloni si sarebbe piegata all’Europa e avrebbe approvato il Mes. E invece la premier è rimasta coerente con quanto aveva sempre sostenuto, non lasciando peraltro una «bandiera» così identitaria alla Lega. Matteo Salvini, vicepremier leghista e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ha infatti commentato: «Il Parlamento boccia il Mes, pensionati e lavoratori italiani non rischieranno di pagare il salvataggio delle banche straniere. E pazienza se a sinistra si arrabbieranno. Una battaglia della Lega combattuta per anni e finalmente vinta. Avanti così, a testa alta e senza paura». Aggiungendo a proposito di spaccatura: «Non c’è nulla, mi sembra invece che si sia divisa l’opposizione, con il Pd che vota a favore e M5s contro». In mattinata in commissione Bilancio la maggioranza aveva dato parere contrario alla ratifica come proposto dalla relatrice di Fdi, Ylenja Lucaselli, ma Fi aveva già deciso di non esprimersi e una volta in Aula astenersi come annunciato dal deputato azzurro Andrea Orsini che ha definito la votazione «irresponsabile»: «L’opposizione ha voluto portare in Aula questa ratifica non perché sia importante o urgente ma con l’illusione di metter in imbarazzo il governo su un tema che si ritiene divisivo. I primi a essere divisi siete voi se è vero che il Pd è favorevole per motivi sbagliati e il M5s è contrario per motivi altrettanto sbagliati». Da fonti di Palazzo Chigi il commento dell’esecutivo: «Il governo, che si era rimesso al Parlamento, prende atto del voto dell’Aula di Montecitorio. Si tratta di un’integrazione di relativo interesse e attualità per l’Italia, visto che come elemento principale prevede l’estensione di salvaguardie a banche sistemiche in difficoltà, in un contesto che vede il sistema bancario italiano tra i più solidi in Europa e in Occidente». Attaccano le opposizioni che sottolineano il voto contrario arrivato all’indomani del via libera al nuovo Patto di stabilità. «Meloni, Salvini e Conte si confermano populisti e dicono no al Mes. Forza Italia sempre più imbarazzante si astiene come la sinistra radicale», ha scritto su X il leader di Italia viva, Matteo Renzi. Solita richiesta della segretaria Pd Elly Schlein: «Giorgetti dovrebbe valutare le dimissioni perché quella che la maggioranza ha messo in evidenza in Parlamento è una clamorosa smentita di Giorgetti», mentre il leader di Azione Carlo Calenda scrive sui social: «Oggi la maggioranza si spacca sul Mes e così il campo largo. È la testimonianza che questo Paese non si può governare con un bipolarismo che produce solo contraddizioni e figuracce». Durissimo l’intervento in Aula di Giuseppe Conte: «Giorgia Meloni ha mentito al Parlamento, solo oggi decidete sul Mes e vi assumete le vostre responsabilità: noi lo abbiamo rifiutato quando tutti lo volevano. Il Mes rimarrà un accordo intergovernativo e non comunitario. Noi siamo coerenti, votiamo no a causa della vostra incapacità, della vostra incompetenza, della vostra imperizia. Purtroppo, denunciamo questa vostra pantomima antipatriottica».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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