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2022-12-09
Tra un’impiccagione e l’altra i gerarchi iraniani studiano la fuga dorata in Venezuela
Ali Khamenei, Nicolas Maduro e Hassan Rowhani (Ansa)
Mentre la tensione cresce in Iran a causa delle proteste, le alte sfere del regime starebbero cercando un’eventuale via di fuga. A rivelarlo è stata la testata Iran International, secondo cui i vertici della Repubblica islamica avrebbero avviato delle trattative con il governo di Caracas, con l’obiettivo di ottenere diritto d’asilo in terra venezuelana, qualora le turbolenze in corso dovessero portare a un abbattimento del potere degli ayatollah. In particolare, già a metà ottobre una delegazione di quattro funzionari iraniani avrebbe effettuato una visita in Venezuela proprio per negoziare una possibile fuga. La stessa testata ha inoltre riferito che, all’inizio di novembre, sono decollati molti aerei carichi di merci dall’aeroporto Internazionale di Teheran-Imam Khomeini verso il Venezuela. Dal canto suo, il Daily Express ha riportato che vari alti funzionari iraniani avrebbero cercato di ottenere passaporti britannici per lasciare il Paese.
Ricordiamo che le proteste infiammano l’Iran ormai da settembre, a seguito della morte di Mahsa Amini: la giovane di origine curda che ha perso la vita in circostanze molto sospette, dopo essere stata arrestata dalla polizia morale del regime khomeinista per aver indossato «impropriamente» l’hijab. Nel frattempo, proprio ieri la magistratura iraniana ha reso noto di aver eseguito la prima condanna a morte di un manifestante: si tratta del ventitreenne Mohsen Shekari, arrestato durante le proteste con l’accusa di aver ferito un paramilitare e giustiziato tramite impiccagione, dopo essere stato dichiarato colpevole di «inimicizia contro Dio». L’organizzazione Iran Human Rights ha denunciato che il giovane è stato sottoposto a un processo farsa, mentre la magistratura iraniana ha annunciato di aver condannato a morte finora undici persone in relazione alle manifestazioni in corso.
Sempre ieri, il Guardian riferiva che le forze di sicurezza del regime stanno conducendo una durissima repressione, sparando colpi d’arma da fuoco contro le manifestanti e, in particolare, mirando ai «loro volti, seni e genitali». La medesima fonte ha riportato che il regime ha attuato misure intimidatorie anche nei confronti del personale medico che si sta occupando di curare i feriti. Tutto questo, mentre la stessa Iran Human Rights ha riportato che, dall’inizio delle proteste, almeno 458 persone sono rimaste uccise. Infine, i paramilitari sono stati incaricati di tenere a distanza gli studenti che protestavano, mentre mercoledì il presidente iraniano Ebrahim Raisi pronunciava un discorso all’università d Teheran.
La situazione sta diventando sempre più instabile. Le stesse indiscrezioni trapelate sui piani di fuga in Venezuela evidenziano come le alte sfere della Repubblica islamica siano probabilmente turbate da timori significativi. Non a caso, l’ex presidente iraniano, Mohammad Khatami, ha invitato le autorità ad ascoltare i manifestanti «prima che sia troppo tardi», mentre la sorella dell’ayatollah Ali Khamenei, Badri Hossein Khamenei, ha appoggiato le proteste contro la «tirannia al potere».
Ovviamente non mancano i riflessi internazionali. La Russia è uno storico alleato dell’Iran, mentre Pechino ha rafforzato i suoi legami con Teheran negli ultimi due anni. Per parte sua, la commissione Esteri del Senato statunitense ha approvato una risoluzione bipartisan di sostegno alle proteste, mentre l’amministrazione Biden non può celare un certo imbarazzo. Pur di sconfessare il predecessore, l’attuale presidente americano ha cercato di ripristinare il controverso accordo sul nucleare con l’Iran: un’intesa che, qualora fosse rilanciata, rafforzerebbe politicamente il regime khomeinista, rappresentando al contempo una minaccia alla sicurezza di Israele. Non solo. Joe Biden ha anche allentato le sanzioni al Venezuela, sperando di ottenere così dei benefici sul fronte petrolifero. Peccato che, oltre ad essere una dittatura, il governo di Nicolas Maduro intrattenga stretti legami con Russia, Cina e Iran.
Tuttavia, al di là dei cortocircuiti geopolitici dell’attuale presidente americano, si scorge anche un convitato di pietra in queste proteste iraniane: la Turchia. Ankara e Teheran si stanno facendo sempre più vicine (anche) a causa di una comune ostilità nei confronti dei curdi. Il regime iraniano sostiene infatti che proprio i curdi starebbero contribuendo a fomentare le proteste in atto e, in tal senso, le Guardie della rivoluzione islamica hanno lanciato un attacco contro le loro postazioni nella parte settentrionale dell’Iraq alla fine di novembre. Dall’altra parte, non è un mistero che Recep Tayyip Erdogan abbia recentemente condotto dei raid contro i curdi nel Nord della Siria. Quello stesso Erdogan che, oltre a strizzare continuamente l’occhio al Cremlino, ha ricevuto Maduro ad Ankara lo scorso giugno, criticando le sanzioni contro il Venezuela. Non va inoltre trascurato che, il mese successivo, il sultano ha avuto un incontro con Raisi a Teheran: un incontro che ha rilanciato le relazioni tra Turchia e Iran soprattutto sul fronte economico ed energetico.
Truppe Usa in pericolo per i raid. La Cia bacchetta Erdogan in Siria
Crescono le tensioni tra Stati Uniti e Turchia. Secondo quanto rivelato dal sito Axios, il direttore della Cia, William Burns, ha protestato con il suo omologo turco Hakan Fidan, per gli attacchi lanciati da Ankara contro i curdi nella parte settentrionale della Siria. In particolare, il capo dell’agenzia d’intelligence statunitense ha posto in evidenza che questi raid metterebbero in pericolo le truppe americane presenti in loco. Un attacco aereo di Ankara, avvenuto la scorsa settimana, si sarebbe infatti verificato e meno di un miglio dai soldati statunitensi stanziati nell’area. Già martedì il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, aveva reso noto che Washington si oppone fermamente a un’incursione militare turca nella parte settentrionale della Siria. «Restiamo preoccupati per l’escalation dell’azione nel nord della Siria, compresi i recenti attacchi aerei, alcuni dei quali minacciano direttamente la sicurezza del personale statunitense che sta lavorando per sconfiggere l’Isis», aveva dichiarato.
Va da sé come questa situazione stia significativamente guastando le relazioni tra Washington e Ankara. Nonostante in campagna elettorale avesse promesso severità nei suoi confronti, ultimamente Joe Biden si è mostrato piuttosto arrendevole nei confronti del presidente turco: ha di fatto accettato il suo ricatto sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, mostrandosi anche piuttosto aperto sulla spinosa questione degli F-16. È del resto in un tale quadro che il governo di Stoccolma ha recentemente estradato in Turchia un uomo considerato vicino al Pkk, innescando le critiche della locale comunità curda. Adesso tuttavia lo stato dei rapporti tra Washington e Ankara sta peggiorando: un elemento, questo, che potrebbe avere delle ripercussioni anche sugli equilibri interni all’Alleanza atlantica.
Non va tra l’altro trascurato che le mire militari di Erdogan in Siria hanno lasciato piuttosto inquieto anche il Cremlino. «Chiederemo ai nostri colleghi turchi una moderazione, volta a prevenire l’escalation delle tensioni, non solo nelle regioni settentrionali e nord-orientali della Siria, ma su tutto il suo territorio», aveva detto a fine novembre l’inviato speciale di Vladimir Putin, Alexander Lavrentyev. Pochi giorni fa, il presidente siriano, Bashar al Assad, ha comunque rifiutato di partecipare a un incontro, proposto dal Cremlino, tra lui e lo stesso Erdogan. In particolare, Assad ha affermato che un tale vertice fornirebbe al leader turco un assist per essere riconfermato alle elezioni presidenziali del prossimo anno. «Perché dare a Erdogan una vittoria gratis? Nessun riavvicinamento avverrà prima delle elezioni», ha affermato il presidente siriano.
Insomma, le mosse del sultano sul fronte siriano stanno complicando significativamente la situazione internazionale. Un comportamento, quello di Erdogan, che, pur a causa di ragioni differenti, pone in una posizione scomoda tanto la Casa Bianca quanto il Cremlino. D’altronde, il presidente turco punta proprio a mettere sotto pressione entrambi: sa bene di risultare cruciale in seno alla Nato, così come sa altrettanto bene che, nel pieno della crisi ucraina, Putin vuole a tutti i costi mantenere buoni rapporti con Ankara. Una specie di ricatto incrociato quindi, con cui il sultano mira ad accrescere la propria centralità. E intanto la tensione nel Nord della Siria continua drammaticamente a crescere.
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Riduci
Mentre la protesta continua, iniziano le prime esecuzioni. I piani alti del regime, però, si tutelano in caso di golpe: crescono i contatti con l’alleato Nicolas Maduro e i voli verso Caracas.Gli attacchi anti curdi con i droni si moltiplicano. E la Svezia consegna un uomo del Pkk.Lo speciale contiene due articoli.Mentre la tensione cresce in Iran a causa delle proteste, le alte sfere del regime starebbero cercando un’eventuale via di fuga. A rivelarlo è stata la testata Iran International, secondo cui i vertici della Repubblica islamica avrebbero avviato delle trattative con il governo di Caracas, con l’obiettivo di ottenere diritto d’asilo in terra venezuelana, qualora le turbolenze in corso dovessero portare a un abbattimento del potere degli ayatollah. In particolare, già a metà ottobre una delegazione di quattro funzionari iraniani avrebbe effettuato una visita in Venezuela proprio per negoziare una possibile fuga. La stessa testata ha inoltre riferito che, all’inizio di novembre, sono decollati molti aerei carichi di merci dall’aeroporto Internazionale di Teheran-Imam Khomeini verso il Venezuela. Dal canto suo, il Daily Express ha riportato che vari alti funzionari iraniani avrebbero cercato di ottenere passaporti britannici per lasciare il Paese. Ricordiamo che le proteste infiammano l’Iran ormai da settembre, a seguito della morte di Mahsa Amini: la giovane di origine curda che ha perso la vita in circostanze molto sospette, dopo essere stata arrestata dalla polizia morale del regime khomeinista per aver indossato «impropriamente» l’hijab. Nel frattempo, proprio ieri la magistratura iraniana ha reso noto di aver eseguito la prima condanna a morte di un manifestante: si tratta del ventitreenne Mohsen Shekari, arrestato durante le proteste con l’accusa di aver ferito un paramilitare e giustiziato tramite impiccagione, dopo essere stato dichiarato colpevole di «inimicizia contro Dio». L’organizzazione Iran Human Rights ha denunciato che il giovane è stato sottoposto a un processo farsa, mentre la magistratura iraniana ha annunciato di aver condannato a morte finora undici persone in relazione alle manifestazioni in corso.Sempre ieri, il Guardian riferiva che le forze di sicurezza del regime stanno conducendo una durissima repressione, sparando colpi d’arma da fuoco contro le manifestanti e, in particolare, mirando ai «loro volti, seni e genitali». La medesima fonte ha riportato che il regime ha attuato misure intimidatorie anche nei confronti del personale medico che si sta occupando di curare i feriti. Tutto questo, mentre la stessa Iran Human Rights ha riportato che, dall’inizio delle proteste, almeno 458 persone sono rimaste uccise. Infine, i paramilitari sono stati incaricati di tenere a distanza gli studenti che protestavano, mentre mercoledì il presidente iraniano Ebrahim Raisi pronunciava un discorso all’università d Teheran.La situazione sta diventando sempre più instabile. Le stesse indiscrezioni trapelate sui piani di fuga in Venezuela evidenziano come le alte sfere della Repubblica islamica siano probabilmente turbate da timori significativi. Non a caso, l’ex presidente iraniano, Mohammad Khatami, ha invitato le autorità ad ascoltare i manifestanti «prima che sia troppo tardi», mentre la sorella dell’ayatollah Ali Khamenei, Badri Hossein Khamenei, ha appoggiato le proteste contro la «tirannia al potere».Ovviamente non mancano i riflessi internazionali. La Russia è uno storico alleato dell’Iran, mentre Pechino ha rafforzato i suoi legami con Teheran negli ultimi due anni. Per parte sua, la commissione Esteri del Senato statunitense ha approvato una risoluzione bipartisan di sostegno alle proteste, mentre l’amministrazione Biden non può celare un certo imbarazzo. Pur di sconfessare il predecessore, l’attuale presidente americano ha cercato di ripristinare il controverso accordo sul nucleare con l’Iran: un’intesa che, qualora fosse rilanciata, rafforzerebbe politicamente il regime khomeinista, rappresentando al contempo una minaccia alla sicurezza di Israele. Non solo. Joe Biden ha anche allentato le sanzioni al Venezuela, sperando di ottenere così dei benefici sul fronte petrolifero. Peccato che, oltre ad essere una dittatura, il governo di Nicolas Maduro intrattenga stretti legami con Russia, Cina e Iran.Tuttavia, al di là dei cortocircuiti geopolitici dell’attuale presidente americano, si scorge anche un convitato di pietra in queste proteste iraniane: la Turchia. Ankara e Teheran si stanno facendo sempre più vicine (anche) a causa di una comune ostilità nei confronti dei curdi. Il regime iraniano sostiene infatti che proprio i curdi starebbero contribuendo a fomentare le proteste in atto e, in tal senso, le Guardie della rivoluzione islamica hanno lanciato un attacco contro le loro postazioni nella parte settentrionale dell’Iraq alla fine di novembre. Dall’altra parte, non è un mistero che Recep Tayyip Erdogan abbia recentemente condotto dei raid contro i curdi nel Nord della Siria. Quello stesso Erdogan che, oltre a strizzare continuamente l’occhio al Cremlino, ha ricevuto Maduro ad Ankara lo scorso giugno, criticando le sanzioni contro il Venezuela. Non va inoltre trascurato che, il mese successivo, il sultano ha avuto un incontro con Raisi a Teheran: un incontro che ha rilanciato le relazioni tra Turchia e Iran soprattutto sul fronte economico ed energetico. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tra-unimpiccagione-e-laltra-i-gerarchi-iraniani-studiano-la-fuga-dorata-in-venezuela-2658903821.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="truppe-usa-in-pericolo-per-i-raid-la-cia-bacchetta-erdogan-in-siria" data-post-id="2658903821" data-published-at="1670556794" data-use-pagination="False"> Truppe Usa in pericolo per i raid. La Cia bacchetta Erdogan in Siria Crescono le tensioni tra Stati Uniti e Turchia. Secondo quanto rivelato dal sito Axios, il direttore della Cia, William Burns, ha protestato con il suo omologo turco Hakan Fidan, per gli attacchi lanciati da Ankara contro i curdi nella parte settentrionale della Siria. In particolare, il capo dell’agenzia d’intelligence statunitense ha posto in evidenza che questi raid metterebbero in pericolo le truppe americane presenti in loco. Un attacco aereo di Ankara, avvenuto la scorsa settimana, si sarebbe infatti verificato e meno di un miglio dai soldati statunitensi stanziati nell’area. Già martedì il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, aveva reso noto che Washington si oppone fermamente a un’incursione militare turca nella parte settentrionale della Siria. «Restiamo preoccupati per l’escalation dell’azione nel nord della Siria, compresi i recenti attacchi aerei, alcuni dei quali minacciano direttamente la sicurezza del personale statunitense che sta lavorando per sconfiggere l’Isis», aveva dichiarato. Va da sé come questa situazione stia significativamente guastando le relazioni tra Washington e Ankara. Nonostante in campagna elettorale avesse promesso severità nei suoi confronti, ultimamente Joe Biden si è mostrato piuttosto arrendevole nei confronti del presidente turco: ha di fatto accettato il suo ricatto sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, mostrandosi anche piuttosto aperto sulla spinosa questione degli F-16. È del resto in un tale quadro che il governo di Stoccolma ha recentemente estradato in Turchia un uomo considerato vicino al Pkk, innescando le critiche della locale comunità curda. Adesso tuttavia lo stato dei rapporti tra Washington e Ankara sta peggiorando: un elemento, questo, che potrebbe avere delle ripercussioni anche sugli equilibri interni all’Alleanza atlantica. Non va tra l’altro trascurato che le mire militari di Erdogan in Siria hanno lasciato piuttosto inquieto anche il Cremlino. «Chiederemo ai nostri colleghi turchi una moderazione, volta a prevenire l’escalation delle tensioni, non solo nelle regioni settentrionali e nord-orientali della Siria, ma su tutto il suo territorio», aveva detto a fine novembre l’inviato speciale di Vladimir Putin, Alexander Lavrentyev. Pochi giorni fa, il presidente siriano, Bashar al Assad, ha comunque rifiutato di partecipare a un incontro, proposto dal Cremlino, tra lui e lo stesso Erdogan. In particolare, Assad ha affermato che un tale vertice fornirebbe al leader turco un assist per essere riconfermato alle elezioni presidenziali del prossimo anno. «Perché dare a Erdogan una vittoria gratis? Nessun riavvicinamento avverrà prima delle elezioni», ha affermato il presidente siriano. Insomma, le mosse del sultano sul fronte siriano stanno complicando significativamente la situazione internazionale. Un comportamento, quello di Erdogan, che, pur a causa di ragioni differenti, pone in una posizione scomoda tanto la Casa Bianca quanto il Cremlino. D’altronde, il presidente turco punta proprio a mettere sotto pressione entrambi: sa bene di risultare cruciale in seno alla Nato, così come sa altrettanto bene che, nel pieno della crisi ucraina, Putin vuole a tutti i costi mantenere buoni rapporti con Ankara. Una specie di ricatto incrociato quindi, con cui il sultano mira ad accrescere la propria centralità. E intanto la tensione nel Nord della Siria continua drammaticamente a crescere.
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.