
Le relazioni tra Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno partecipato a traballare. Si tratta di un fattore significativo, soprattutto se letto alla luce delle crescenti turbolenze che stanno sempre più caratterizzando lo scacchiere mediorientale.A livello generale, i rapporti di forza tra i due Stati sono indubitabilmente a favore di Riad. L'Arabia Saudita è attualmente al secondo posto a livello mondiale in termini di riserve petrolifere, rispetto alla posizione occupata dagli Emirati. Inoltre - secondo il Fondo Monetario Internazionale - se la prima nel 2018 ha registrato un prodotto interno lordo di oltre 782 miliardi di dollari, i secondi non hanno ottenuto la soglia dei 433 miliardi. Del resto, non bisogna trascurare la differenza territoriale tra i due Paesi, con l'Arabia Saudita che può vantare oltre due milioni di chilometri quadrati, contro i circa 80 degli Emirati Arabi Uniti.Soprattutto negli ultimi anni i due Stati hanno mostrato una progressiva convergenza, principalmente dettata da una visione comune su alcune domande specifiche. Non solo entrambi hanno infatti perseguito una strategia geopolitica profondamente avversa all'Iran ma sono anche orientati verso un atteggiamento decisamente ostile nei confronti dell'Islam politico, sempre più inteso come una pericolosa fonte di destabilizzazione. Una linea, controllata, su cui ha esercitato un peso considerevole il cambio di strategia sulla questione, adottato negli Stati Uniti da Donald Trump rispetto all'amministrazione Obama. Tale condivisione d'intenti non è poi rimasta nella vaga astrattezza ma, anzi, ha avuto modo di concretizzarsi in una serie di scelte ben precise.Nel 2014, per esempio, Riad e Abu Dhabi hanno appoggiato l'ascesa al potere, in Egitto, del generale al-Sisi, condividendo la sua avversione nei confronti dell'islamismo e - in particolare - della Fratellanza Musulmana: quella stessa Fratellanza Musulmana che , spalleggiato di fatto da Obama ai tempi delle Primavere Arabe, aveva non un caso espresso il precedente presidente egiziano, Mohamed Morsi. Questa è stata la volta del riad di Abu Dhabi e di un peggioramento delle relazioni con la Turchia di Erdogan, da sempre sostenitore dei Fratelli Musulmani. Un contesto aggiunto peggiorato negli anni successivi, visto che il Sultano ha per esempio accusato gli Emirati di avere un colpo di responsabilità in Turchia nel 2016. Anche sul fronte iraniano, poi, Riad e Abu Dhabi hanno la medesima linea. Nel 2015 gli emiratini sono entrati in una parte della coalizione a guida saudita nel conflitto dello Yemen contro i ribelli Huthi (spalleggiati da Teheran), occupandosi prevalentemente delle operazioni di terra. Inoltre, nel 2017, i due Stati hanno mostrato una piena convergenza nel rompere i rapporti diplomatici con il Qatar, da parte loro accusato di eccessiva accondiscendenza con l'Iran, oltre che da finanziare gruppi islamisti come la stessa Fratellanza Musulmana. Non a caso, quell'atto rinfocolò le tensioni tra Abu Dhabi e Ankara. da loro accusato di eccessiva accondiscendenza con l'Iran, oltre che da gruppi di islamisti come la stessa Fratellanza Musulmana. Non a caso, quell'atto rinfocolò le tensioni tra Abu Dhabi e Ankara. da loro accusato di eccessiva accondiscendenza con l'Iran, oltre che da gruppi di islamisti come la stessa Fratellanza Musulmana. Non a caso, quell'atto rinfocolò le tensioni tra Abu Dhabi e Ankara.Ciononostante quella che appariva a tutti gli effetti come un'alleanza di ferro ha iniziato a scricchiolare negli ultimi tempi. In primo luogo, pur essendo formalmente una posizione critica verso l'Iran, Abu Dhabi ha iniziato a smorzare i toni, mostrando di aver fatto una linea più morbida. In occasione degli attacchi alle petroliere dello scorso 12 maggio, per esempio, gli Emirati hanno evitato di usare una retorica bellicosa contro Teheran e - con il prosieguo della crisi nel Golfo Persico - sono mostrati propensi più alla soluzione diplomatica che non alla postura aggressiva, assunta da Riad.Tuttavia, il problema più significativo della questione risiede probabilmente nel disimpegno che Abu Dhabi ha iniziato ad attuare proprio nello scenario yemenita. Lo scorso luglio, ha effettivamente annunciato un parziale ritiro delle truppe attualmente impegnate sul territorio, invocando - non a caso - l'assunzione di un approccio incentrato sulla diplomazia. Una scelta che - secondo indiscrezioni riportate dal New York Times - Riad non segnalato più di tanto. D'altronde, alla base della mossa di Abu Dhabi possono essere ravvisate svariate motivazioni. Innanzitutto, nonostante le stime di crescita positive per il futuro elaborate dal Fondo monetario internazionale, il Paese sta riscontrando un rallentamento economico che ha determinato un aumento del tasso di disoccupazione: un tasso che, a partire dal 2015, ha riscontrato un aumento sempre più , raggiungendo il suo livello massimo proprio negli ultimi mesi. Una simile situazione potrebbe aver spinto Abu Dhabi a un passo indietro. Più che mai, se si arriva a una divisione dello Yemen (con gli Huthi a Nord e le forze filo-saudite a Sud), per gli Emirati si prospetterà una situazione tutt'altro che negativa. Un'ulteriore sfida potrebbe poi risiedere nel crescente timore di Abu Dhabi nei confronti di Teheran. La crisi del Golfo Persico sta diventando sempre più intensa, mentre la Casa Bianca ha mostrato una certa riluttanza al coinvolgimento diretto americano nello scacchiere iraniano. Un elemento che potrebbe aver spinto gli Emirati a richiamare i propri soldati anche a uno scopo difensivo.Bisognerà ovviamente vedere in che modo si svilupperà la situazione. Tuttavia alcune di quelle che potrebbero essere delle ripercussioni per gli americani è già possibile intravederle. A livello di rapporti tra Stati le cose potrebbero mutare poco, qualora si consumasse una rottura tra Riad e Abu Dhabi. Nonostante Trump intrattenga con i sauditi una forte alleanza, questo non gli ha comunque impedito di rinsaldare pragmaticamente i propri rapporti per esempio con il Qatar (che con loro è attualmente ai ferri corti). Il problema maggiore per il quadrilatero della Casa Bianca potrebbe sorgere nella guerra dello Yemen. Il parziale disimpegno degli emiratini potrebbe indebolire non poco la coalizione militare a guida saudita. Una notizia non troppo positiva per Trump che, negli scorsi mesi, ha difeso l'intervento che l'America ha fornito questa coalizione dagli "attacchi" del Congresso. Trump punta infatti a mantenere in piedi un fronte di pressione sull'Iran, senza tuttavia un coinvolgimento militare coinvolto nel conflitto. Un modo, quindi, per spingere Teheran a trattare per la rinegoziazione registrata sul nucleare, altrimenti - il rischio - restare impelagato nell'ennesimo scenario caldo mediorientale. Infine, con la mossa di Abu Dhabi, Trump teme probabilmente anche problemi sul fronte economico. Gli Emirati Arabi Uniti hanno sempre acquistato considerevoli quantità di armamenti dagli Stati Uniti: soltanto lo scorso febbraio, lo Stato ha concesso appalti per quasi due miliardi di dollari a colossi americani come Lockheed Martin e Raytheon.
La Philarmonie (Getty). Nel riquadro, l'assalto dei pro Pal
A Parigi i pro Pal interrompono con i fumogeni il concerto alla Philarmonie e creano il caos. Boicottato un cantante pop per lo stesso motivo. E l’estrema sinistra applaude.
In Francia l’avanzata dell’antisemitismo non si ferma. Giovedì sera un concerto di musica classica è stato interrotto da militanti pro Pal e, quasi nello stesso momento, un altro concerto, quello di un celebre cantante di origine ebraica, è stato minacciato di boicottaggio. In entrambi i casi, il partito di estrema sinistra La France Insoumise (Lfi) ha svolto un ruolo non indifferente.
Guido Crosetto (Cristian Castelnuovo)
Il ministro della Difesa interviene all’evento organizzato dalla «Verità» dedicato al tema della sicurezza con i vertici del comparto. Roberto Cingolani (Leonardo) e Nunzia Ciardi (Acn): bisogna prevenire le minacce con l’Ia.
Mai, come nel periodo storico nel quale stiamo vivendo, il mondo è stato più insicuro. Attualmente ci sono 61 conflitti armati attivi, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale, che coinvolgono oltre 92 Paesi. Ieri, a Roma, La Verità ha organizzato un evento dal titolo «Sicurezza, Difesa, Infrastrutture intelligenti», che ha analizzato punto per punto i temi caldi della questione con esponenti di spicco quali il ministro della Difesa Guido Crosetto intervistato dal direttore della Verità, Maurizio Belpietro.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Il premier ungherese è stato ricevuto a pranzo dall’inquilino della Casa Bianca. In agenda anche petrolio russo e guerra in Ucraina. Mosca contro l’Ue sui visti.
Ieri Viktor Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump, che ha definito il premier ungherese «un grande leader». Di più: tessendo le sue lodi, il tycoon ci ha tenuto a sottolineare che «sull’immigrazione l’Europa ha fatto errori enormi, mentre Orbán non li ha fatti». Durante la visita, in particolare, è stato firmato un nuovo accordo di cooperazione nucleare tra Stati Uniti e Ungheria, destinato a rafforzare i legami energetici e tecnologici fra i due Paesi. In proposito, il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, ha sottolineato che la partnership con Washington non preclude il diritto di Budapest a mantenere rapporti con Mosca sul piano energetico. «Considerata la nostra realtà geografica, mantenere la possibilità di acquistare energia dalla Russia senza sanzioni o restrizioni legali è essenziale per la sicurezza energetica dell’Ungheria», ha dichiarato il ministro.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.






