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2025-07-27
Tour de France 2025: Pogacar immenso, Milan fa la storia
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Jonathan Milan e Tadej Pogacar durante la cerimonia finale del podio del 112° Tour de France (Getty Images)
L’ultima tappa del Tour de France 2025, con arrivo a Parigi dopo 132 chilometri e il circuito finale di Montmartre, non è stata la consueta passerella per la maglia gialla. Sul pavé della Butte, infatti, è andata in scena una battaglia vera: Tadej Pogacar, già certo della vittoria finale, ha provato a coronare il trionfo con un ultimo acuto. Lo sloveno della Uae Emirates-Xrg ha accelerato a più riprese, ma a sei chilometri dal traguardo Wout van Aert ha risposto di forza e lo ha staccato, andando a prendersi in solitaria la vittoria di giornata. Pogacar, senza più energie, si è arreso e ha chiuso quarto, alle spalle di Davide Ballerini e Matej Mohoric.
Per il campione del mondo resta comunque un Tour da incorniciare. A 27 anni ancora da compiere, Pogacar ha conquistato la quarta maglia gialla della carriera e ha chiuso questa edizione con quattro successi di tappa e 104 vittorie complessive. Sul podio di Parigi è salito da dominatore, vincendo anche la classifica degli scalatori, e confermando paragoni sempre più insistenti con Eddy Merckx. «È incredibile - ha commentato - ho vinto il Tour per la quarta volta ed è sempre più bello. Adesso voglio solo riposarmi e godermi qualche giorno a casa».
La festa di Parigi, però, ha avuto anche colori italiani. Jonathan Milan si è preso la maglia verde della classifica a punti, riportando il nostro ciclismo sul podio dopo quindici anni di digiuno. L’ultimo a riuscirci era stato Alessandro Petacchi nel 2010, prima ancora Franco Bitossi nel 1968. Il friulano della Lidl-Trek è riuscito a completare un Tour che non era certo disegnato per i velocisti, conquistando due vittorie di tappa, due secondi posti e una lunga serie di piazzamenti nei traguardi volanti che gli hanno permesso di costruire un vantaggio incolmabile.
Per Jonathan Milan, 24 anni, il successo è arrivato al termine di una corsa gestita con maturità e potenza. Il «toro di Buja», come viene chiamato nel suo paese, ha portato a casa la terza maglia a punti della carriera dopo le due ottenute al Giro d’Italia. «Solo nei prossimi giorni capirò davvero quello che ho fatto», ha detto con un filo di emozione. Intanto, a casa sua, parenti e amici si sono radunati per festeggiare il suo trionfo davanti a uno striscione verde con il suo volto.
In una Grande Boucle che ha visto Pogacar dominare in lungo e in largo, l’Italia si gode così il ritorno alla ribalta di un velocista capace di battere i rivali negli sprint più importanti. E mentre il fenomeno sloveno continua a scrivere la sua leggenda, Jonathan Milan è riuscito a ritagliarsi un posto nella storia, tingendo di verde il podio sugli Champs-Élysées.
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La Grande Boucle si è conclusa con la quarta vittoria per lo sloveno e la maglia verde della classifica a punti sulle spalle del 24enne friulano della Lidl-Trek, che riporta il nostro ciclismo sul podio degli Champs-Élysées 15 anni dopo Petacchi.L’ultima tappa del Tour de France 2025, con arrivo a Parigi dopo 132 chilometri e il circuito finale di Montmartre, non è stata la consueta passerella per la maglia gialla. Sul pavé della Butte, infatti, è andata in scena una battaglia vera: Tadej Pogacar, già certo della vittoria finale, ha provato a coronare il trionfo con un ultimo acuto. Lo sloveno della Uae Emirates-Xrg ha accelerato a più riprese, ma a sei chilometri dal traguardo Wout van Aert ha risposto di forza e lo ha staccato, andando a prendersi in solitaria la vittoria di giornata. Pogacar, senza più energie, si è arreso e ha chiuso quarto, alle spalle di Davide Ballerini e Matej Mohoric.Per il campione del mondo resta comunque un Tour da incorniciare. A 27 anni ancora da compiere, Pogacar ha conquistato la quarta maglia gialla della carriera e ha chiuso questa edizione con quattro successi di tappa e 104 vittorie complessive. Sul podio di Parigi è salito da dominatore, vincendo anche la classifica degli scalatori, e confermando paragoni sempre più insistenti con Eddy Merckx. «È incredibile - ha commentato - ho vinto il Tour per la quarta volta ed è sempre più bello. Adesso voglio solo riposarmi e godermi qualche giorno a casa».La festa di Parigi, però, ha avuto anche colori italiani. Jonathan Milan si è preso la maglia verde della classifica a punti, riportando il nostro ciclismo sul podio dopo quindici anni di digiuno. L’ultimo a riuscirci era stato Alessandro Petacchi nel 2010, prima ancora Franco Bitossi nel 1968. Il friulano della Lidl-Trek è riuscito a completare un Tour che non era certo disegnato per i velocisti, conquistando due vittorie di tappa, due secondi posti e una lunga serie di piazzamenti nei traguardi volanti che gli hanno permesso di costruire un vantaggio incolmabile.Per Jonathan Milan, 24 anni, il successo è arrivato al termine di una corsa gestita con maturità e potenza. Il «toro di Buja», come viene chiamato nel suo paese, ha portato a casa la terza maglia a punti della carriera dopo le due ottenute al Giro d’Italia. «Solo nei prossimi giorni capirò davvero quello che ho fatto», ha detto con un filo di emozione. Intanto, a casa sua, parenti e amici si sono radunati per festeggiare il suo trionfo davanti a uno striscione verde con il suo volto.In una Grande Boucle che ha visto Pogacar dominare in lungo e in largo, l’Italia si gode così il ritorno alla ribalta di un velocista capace di battere i rivali negli sprint più importanti. E mentre il fenomeno sloveno continua a scrivere la sua leggenda, Jonathan Milan è riuscito a ritagliarsi un posto nella storia, tingendo di verde il podio sugli Champs-Élysées.
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Meloni ha poi lanciato un altro attacco all’opposizione a proposito di Abu Mazen, presidente della Palestina: «La sua bella presenza qui ad Atreju fa giustizia delle accuse vergognose di complicità in genocidio che una sinistra imbarazzante ci ha rivolto per mesi». E ancora contro la sinistra: «La buona notizia è che ogni volta che loro parlano male di qualcosa va benissimo. Cioè parlano male di Atreju ed è l’edizione migliore di sempre, parlano male del governo, il governo sale nei sondaggi, hanno tentato di boicottare una casa editrice, è diventata famosissima. Cioè si portano da soli una sfiga che manco quando capita la carta della Pagoda al Mercante in fiera, visto che siamo in clima natalizio. E allora grazie a tutti quelli che hanno fatto le macumbe». L’altra stilettata ironica a proposito del premio dell’Unesco che riconosce la cucina italiana come bene immateriale dell’umanità: «A sinistra non è andato bene manco questo. Loro non sono riusciti a gioire per un riconoscimento che non è al governo ma alle nostre mamme e nonne, alle nostre filiere, alla nostra tradizione, alla nostra identità. Hanno rosicato così tanto che è una settimana che mangiano tutti dal kebabbaro. Veramente roba da matti». Ricordando l’unità della coalizione, Meloni ha sottolineato che questa destra «non è un incidente della storia» rivendicando le iniziative adottate in tre anni di esecutivo. Il premier ha poi toccato i temi di attualità e a proposito dell’equità fiscale rivendicata dall’opposizione ha scandito: «Non accettiamo lezioni da chi fa il comunista con il ceto medio e il turbo capitalista a favore dei potenti. Oggi il Pd si indigna perché gli Elkann vogliono vendere il gruppo Gedi e non ci sarebbero garanzie per i lavoratori però quando chiudevano gli stabilimenti di Stellantis ed erano gli operai a perdere il posto di lavoro, tutti muti. Anche Landini sul tema fischiettava». Non sono mancati i riferimenti ai temi caldi del centrodestra: immigrazione, riforma della giustizia, guerra in Ucraina ed Ue con il disimpegno di Trump e il Green Deal.
Sul palco anche i due vicepremier. «La mia non vuole essere solo una presenza formale, ma una presenza per riconfermare un impegno che tutti noi abbiamo preso nel 1994» ha detto il leader di Fi Antonio Tajani. «Ma gli accordi di alleanze fatte soprattutto di lealtà e impegno, devono essere rinnovati ogni giorno. La ragione di esistere di questa coalizione è fare l’interesse di ciascuno dei 60 milioni di cittadini italiani. E lo possiamo fare garantendo, grazie all’unità di questa coalizione, stabilità politica a questo Paese». Per il leader leghista Matteo Salvini “c’è innanzitutto l’orgoglio di esserci dopo tanti anni. Ci provano in tutti i modi a far litigare me e Giorgia. Ma amici giornalisti, mettetevi l’anima in pace: non ci riuscirete mai». Poi il ministro dei Trasporti ha assicurato che farà «di tutto» per avviare i lavori per il Ponte sullo Stretto, ha rilanciato sull’innalzamento del tetto del contante e sull’impegno anti maranza e infine ricordato come il governo stia facendo un buon lavoro nella tassazione delle banche.
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C'è un'invenzione che si deve agli aviatori, anzi, a un minuto personaggio brasiliano stanco di dover cercare l'orologio nel suo taschino mentre pilotava l'aeroplano.
Getty Images
Se a causa degli scandali, il supporto alla resistenza ucraina mostra vistose crepe, con più della metà degli italiani che non è intenzionata a sostenere militarmente le truppe che cercano di respingere l’armata russa, non è che i soldati che da quasi quattro anni combattono sembrano poi pensarla in modo molto diverso. Sul Corriere della Sera ieri è stata pubblicata un’immagine in cui si vedono militari in divisa sfatti dalla fatica. Tuttavia, a colpire non è la stanchezza dei soldati, ma la loro età. Si capisce chiaramente che non si tratta di giovani bensì di anziani, considerando che comunque l’età media dei militari è superiore ai 40 anni. Uomini esausti, ma soprattutto anagraficamente lontani da un’immagine di agilità e forza. Intendiamoci, a volte gli anni portano esperienza e competenza, soprattutto al fronte, dove serve sangue freddo per non rischiare la pelle. Ma non è questo il punto: non si tratta di pensionare i militari più vecchi, ma di reclutare i giovani e questo è un problema che la fotografia pubblicata sul quotidiano di via Solferino ben rappresenta. Il giornale, infatti, ci informa che 235.000 militari non si sono presentati ai loro reparti e quasi 54.000 sono già stati ufficialmente dichiarati disertori. In pratica, un soldato su quattro del milione mobilitato pare non avere alcuna intenzione di imbracciare un fucile. Per quanto le guerre moderne si combattano con l’Intelligenza artificiale, con i satelliti e i droni, poi alla fine la differenza la fanno sempre gli uomini. A Pokrovsk, la città che da un anno resiste agli assalti delle truppe russe, impedendo agli uomini di Putin di dilagare nel Donbass, se non ci fossero reparti coraggiosi che continuano a respingere gli invasori, Mosca avrebbe già visto sventolare la sua bandiera sui tetti delle poche costruzioni rimaste in piedi dopo mesi di bombardamenti devastanti.
Il tema delle diserzioni, della fuga all’estero di centinaia di migliaia di giovani che non vogliono morire sotto le bombe, è tale che in Polonia e Germania, ma anche in altri Paesi confinanti, si sta facendo pressione per impedire l’arrivo di ulteriori fuggiaschi. Se si guarda al numero di chi non ha intenzione di combattere si capisce perché è necessario raggiungere una tregua. Quanto ancora potrà resistere l’Ucraina in queste condizioni? A marzo comincerà il quinto anno di guerra. Un conflitto che rischia di non avere precedenti, per numero di morti e per la devastazione. E soprattutto uno scontro che minaccia di trascinare in un buco nero l’intera Europa, che invece di cogliere il pericolo sembra scommettere ancora sulle armi piuttosto che sulla tregua. C’è chi continua a invocare una pace giusta, ma la pace giusta appartiene alle aspirazioni, non alla realtà.
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