2019-10-10
Torna il Vangelo secondo Scalfari. E il Vaticano lo smentisce di nuovo
Il fondatore di «Repubblica», come da sei anni a questa parte, attribuisce eresie al Papa: «Gesù, una volta diventato uomo, non era affatto un Dio». La Santa Sede costretta a intervenire: «Interpretazione libera».Ieri mattina i lettori di Repubblica si sono trovati davanti a un editoriale di Eugenio Scalfari che per l'ennesima volta metteva papa Francesco tra gli eretici. Era già successo altre volte, per esempio quando Scalfari aveva virgolettato le parole del Papa per fargli dire che «non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici». Una discreta enormità che mandava in frantumi tutta l'escatologia cattolica.Questa volta il Barbapapà del giornalismo italiano è andato oltre: ha fatto del Papa una specie di seguace dell'arianesimo, eresia del IV secolo che relegava Gesù solamente nella sua natura umana. Scalfari, che ha avuto la fortuna di incontrare «più volte» Francesco, e di «parlargli con la massima confidenza culturale», scrive che quando ha discusso con lui delle parole di Gesù nel Getsemani e sulla Croce, Francesco avrebbe tranquillamente convenuto che queste sono «la prova provata che Gesù di Nazareth una volta diventato uomo, sia pure un uomo di eccezionali virtù, non era affatto un Dio». Se il Papa avesse effettivamente detto queste parole si potrebbe anche pensare di chiudere le chiese, perché in questo modo del cristianesimo non resterebbe nulla.Dopo che anche La Verità ha domandato alla Sala stampa vaticana il modo in cui interpretare questo virgolettato attributo al Papa, nel pomeriggio di ieri il direttore, Matteo Bruni, ha rilasciato una dichiarazione ai giornalisti. I virgolettati attribuiti a Francesco da Scalfari, si legge nel comunicato, non sono da intendersi come «un resoconto fedele di quanto effettivamente detto» durante gli incontri tra i due, «ma rappresentano piuttosto una personale e libera interpretazione di ciò che ha ascoltato» il fondatore di Repubblica. Con la postilla che ciò «appare del tutto evidente da quanto scritto oggi in merito alla divinità di Gesù Cristo».A questo punto dispiace un po' per i lettori di Repubblica, che dovrebbero essere quantomeno avvisati quando stanno per leggere Scalfari che riporta i suoi colloqui a Santa Marta. Si dovrebbe mettere un distico che introduca alla lettura e spieghi che il pezzo che segue è frutto della fantasia dell'autore, un genere tra la soap opera e il docu-fiction. Si farebbe così un servizio per un giornalismo autentico e di lotta alle fake news.Così, mentre l'apostolo Pietro, di fronte all'incalzare delle domande di Gesù agli apostoli su chi pensavano che fosse, risponde dicendo «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», ecco che Francesco, successore di Pietro, secondo Scalfari abbassa l'asticella fino al livello terreno. Perché evidentemente il fondatore di Repubblica non sopporta quella faccenda di Gesù che è Dio, vero Dio e vero uomo, e non solo un virtuoso, un asceta, un profeta. Se è vero quello che dice la Sala stampa vaticana, questo fastidio è talmente insuperabile che provoca a Scalfari qualche problema di udito, allucinazioni forse, al punto che finisce per capire fischi per fiaschi e fa dire al Papa quello che non ha detto.A meno che Francesco, nel tentativo di dialogare con il decano dei giornalisti italiani, tanto anticlericale, quanto ben introdotto negli ambienti che contano, le provi proprio tutte e si arrampichi su terreni scivolosi. Al punto da risultare ambiguo e interpretabile, così da dover aprire l'ennesimo filone di ermeneutica, questa volta dedicato ai dialoghi tra il Papa e Scalfari. Già nel 2013, al primo colloquio tra i due, l'allora direttore della Sala stampa, padre Federico Lombardi, spiegò, infatti, che «l'intervista è attendibile in senso generale, ma non nelle singole valutazioni: per questo si è ritenuto di non farne un testo consultabile sul sito della Santa Sede. In sostanza, togliendola si è fatta una messa a punto della natura di quel testo. C'era qualche equivoco e dibattito sul suo valore».Successivamente però qualcuno deve aver ritenuto che, pur tra gli equivoci, quei dialoghi meritassero di essere pubblicati all'interno di un libro edito direttamente dalla Libreria editrice vaticana e che raccoglieva le interviste del Papa ai giornalisti. A questo punto quello delle ricostruzioni di Scalfari e delle successive smentite della Santa sede è un balletto che prosegue ormai da sei anni e la cosa assume sempre di più i contorni della farsa. Fino allo sfondone di ieri, si pensava che il passaggio in cui Scalfari spiegava che il Papa era «gesuita al punto d'aver canonizzato pochi giorni fa Ignazio di Loyola» (morto nel 1500 e canonizzato nel 1622) fosse inarrivabile. Il giornalista si nascose con un straordinaria nonchalance dietro le scuse per la «imprecisione lessicale». E invece con un Papa - vicario di Cristo - convinto della natura solo umana di Gesù «dopo la nascita» (e prima, chi era? Chissà) si stabilisce un nuovo primato. Un record che porta con sé un auspicio umano, molto umano: tutti i protagonisti sulla scena potrebbero chiudere lo spettacolo, sarebbe un'opera di bene. Per il Papa, ma anche per la storia di Eugenio Scalfari.