True
2022-04-13
Torna il giallo delle armi chimiche mentre Mariupol prova a resistere
Ansa
Mariupol è in piena agonia, anche se tenta un’ultima, disperata difesa. Le forze russe spingono per prenderne il controllo totale e già hanno in mente di catturare, subito dopo, Popasna e lanciare l’offensiva in direzione di Kurakhove per raggiungere i confini amministrativi della regione di Donetsk. La battaglia si combatte con ogni mezzo e la preoccupazione è che i russi possano fare ricorso alle armi chimiche. Anzi, secondo qualcuno, lo avrebbero già fatto.
La fonte della notizia è però il famigerato battaglione neonazista Azov: a dire dei suoi componenti, a Mariupol un drone avrebbe lanciato delle sostanze tossiche sui difensori della città. Tre persone avrebbero evidenziato «chiari segni di avvelenamento chimico» ma per nessuno di loro, a quanto risulta, ci sarebbero «gravi conseguenze» per la salute. Il timore per un possibile attacco con armi chimiche è stato espresso anche dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, secondo il quale Vladimir Putin vorrebbe aprire proprio con questa tipologia di armi «la nuova fase del terrore». Zelensky non ha però confermato il loro utilizzo a Mariupol da parte dei russi.
La questione era stata sollevata anche dal portavoce del Pentagono, John Kirby. «Non siamo in grado di confermare queste notizie ma il dipartimento della Difesa Usa continua a monitorare. Sono notizie che riflettono i timori che abbiamo da tempo», il parere di Kirby. Più diretto il segretario di Stato americano, Antony Blinken: «Abbiamo informazioni credibili che i russi possano usare lacrimogeni, o altri strumenti anti sommossa, mescolati ad agenti chimici».
Intanto sul campo, come si diceva, Mariupol tenta il tutto per tutto, anche se ormai l’80-90% del suo territorio, il cuore della città e la maggior parte dei quartieri, sono sotto stretto controllo dell’esercito russo. Pur in una situazione di netta prevalenza dei russi, un reparto di Marines ucraini della Brigata n. 36 (stando a fonti ucraine) avrebbe rotto l’assedio delle forze occupanti e sarebbe riuscito a connettersi con il reggimento Azov, a sua volta accerchiato nella zona del porto. Le ultime sacche della resistenza ucraina che proprio ieri hanno perso il possesso della zona portuale, conquistata dai russi, si concentrano nell’Azovstal - l’acciaieria più grande d’Europa che si trova proprio a ridosso del porto - e nella zona vicina allo stadio a meno di 300 metri dall’ospedale pediatrico numero 3, reso tristemente famoso dal bombardamento di metà marzo.
Le difficoltà che sta incontrando l’esercito russo a sopraffare i combattenti dell’acciaieria le ha raccontate Vittorio Rangeloni, trentenne italiano che da sette anni vive a Donetsk ed è al fronte a Mariupol. «L’acciaieria presenta una fitta rete di tunnel sotterranei di epoca sovietica costruiti per far fronte a eventuali attacchi con bombe atomiche che rendono difficile l’operazione russa».
Un altro evento ha funestato la città di Mariupol e, anche se la notizia si è avuta solo ora, è avvenuto intorno al 15 marzo. La sede della Caritas ucraina è stata distrutta e ci sono vittime. L’edificio è stato colpito da un carro armato russo, come confermato dalla presidente dell’organizzazione, Tetiana Stawnychy. In quel momento, c’erano persone che si nascondevano dai bombardamenti: sette di loro sono morte, due erano membri dello staff. Con la città sotto assedio, al di là di questi singoli fatti denunciati in cui c’è stata la conta dei morti, diventa difficile pronunciarsi sul numero complessivo delle vittime. «Al momento stiamo parlando di 20-22.000 morti a Mariupol», ha detto il governatore della regione di Donetsk, Pavlo Kyrylenko. Lo stesso numero è stato confermato dal sindaco.
Secondo Kyrylenko c’è poi un altro fattore che rende ancora più complesso il tentativo di fare dei calcoli. La Russia, a suo dire, starebbe utilizzando crematori mobili per smaltire i corpi. «Li stanno portando nel territorio non controllato dall’Ucraina e stanno distruggendo i corpi lì», ha affermato. Altre vittime potrebbero esserci invece in futuro per la presenza di mine. Secondo Zelensky «le truppe russe hanno lasciato mine ovunque. Nelle case, nelle strade, nelle auto: hanno fatto di tutto per rendere il più pericoloso possibile il ritorno in queste aree, hanno fatto di tutto per uccidere o mutilare il maggior numero possibile della nostra gente». A Nord di Kiev sarebbero stati disseminati migliaia gli oggetti pericolosi, soprattutto mine e proiettili inesplosi.
Insomma, una lunga lista è stata stilata dagli ucraini su quanto commesso dai russi. Per quel che riguarda i crimini di guerra, a detta della procuratrice generale dell’Ucraina, Iryna Venediktova, al momento sono oltre «5.800 i casi» di comportamenti da parte dei russi che rientrerebbero nella fattispecie. «Qui stiamo ancora riesumando cadaveri dalle fosse comuni per quelli che non sono solo crimini di guerra ma anche crimini contro l’umanità», sostiene Venediktova. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, ha dichiarato che «se le prove ci diranno che Putin è responsabile di crimini di guerra, sarà perseguito per questo».
«Chi non torna a Kiev è un disertore»
Il progetto di legge n. 7265 presentato lo scorso 8 aprile alla Verkhovna Rada, il Parlamento di Kiev, obbliga i cittadini ucraini residenti all’estero a ritornare in patria per prestare il servizio militare, e prevede di introdurre una pena da cinque a dieci anni di carcere per chi si sottrarrà a questo dovere. La legge riguarda tutti i cittadini ucraini sottoposti alla coscrizione obbligatoria durante la legge marziale, ovvero gli uomini tra i 18 e i 60 anni, la stessa fascia di età di chi non ha il permesso di lasciare il Paese (non a caso dei circa 4,5 milioni di profughi che hanno lasciato il Paese dall’inizio della guerra la stragrande maggioranza sono donne e minori). Sono circa 2.200 gli uomini in età di obbligo militare che dall’inizio della guerra hanno tentato di lasciare il Paese e sono stati bloccati alla frontiera. Molti hanno tentato di scappare mostrando documenti falsi. Alcuni uomini che presumibilmente tentavano di fuggire per sottrarsi all’obbligo militare sono stati rinvenuti senza vita sui Carpazi, uccisi molto probabilmente dalle avverse condizioni meteorologiche.
Chi non è tornato in Ucraina dopo la promulgazione della legge marziale, in sostanza, se questo progetto di legge verrà approvato, rischia di finire in galera. La legge marziale in Ucraina è stata promulgata lo scorso 24 febbraio, il giorno dell’invasione da parte della Russia, per la durata di 30 giorni, ed è stata poi prorogata per altri 30 giorni a partire dal 26 marzo.
«I cittadini che possono e sono obbligati a proteggere la patria e che sono all’estero», si legge nella nota esplicativa del progetto di legge, «non sempre vogliono tornare per adempiere ai loro poteri e ai loro obblighi costituzionali. Pertanto, si propone di introdurre un dovere di tornare in Ucraina» e per chi trasgredisce, «si introduce una responsabilità criminale. Le modifiche proposte sono finalizzate a garantire il pieno funzionamento delle forze di difesa dell’Ucraina». «Si propone», si legge ancora, «di introdurre un nuovo articolo al codice penale dell’Ucraina, stabilendo una responsabilità penale dei cittadini ucraini per il non adempimento dei requisiti della legge sul ritorno in Ucraina dopo l’introduzione di uno stato militare (la legge marziale, ndr)».
Sono esentati da questo obbligo i cittadini ucraini sottoposti al divieto di lasciare il Paese di residenza, chi non può tornare a causa di disastri naturali, catastrofi, incidenti, ospedalizzazione o altre circostanze, che impediscono loro di lasciare il Paese di residenza. La legge riguarda anche «i membri del Gabinetto dei ministri dell’Ucraina, i capi delle autorità statali e i loro deputati, parlamentari ucraini, capi villaggio, capi città, forze dell’ordine dell’Ucraina, giudici, giudici della Corte costituzionale dell’Ucraina, procuratori che si trovano fuori dall’Ucraina».
Questo progetto di legge, come è ben chiaro, dimostra che in attesa del previsto attacco massiccio della Russia nel Sudest dell’Ucraina, il governo di Kiev ha bisogno di rafforzare le proprie truppe in ogni modo. Non è altrettanto chiaro, però, come possa un cittadino ucraino in età di obbligo militare che risiede in un altro Paese del mondo far ritorno nella madre patria, considerato lo stato di guerra. Un cittadino ucraino residente in altre parti del mondo, magari da 20 anni, dovrebbe lasciare famiglia e lavoro e tornare a Kiev per sottostare alla legge marziale. Non è neanche chiaro come farà il governo ucraino a punire chi si rifiuterà di far ritorno in patria: probabilmente la pena detentiva scatterà solo quando, in futuro, questi cittadini per un motivo o un altro torneranno in Ucraina. È evidente però che siamo di fronte a una proposta di legge di difficilissima applicazione.
Continua a leggereRiduci
Il battaglione Azov accusa: «Sostanze tossiche lanciate dai droni». Washington conferma: «Informazioni credibili». Blitz dei Marines ucraini rompe l’assedio, ma i rapporti di forza non cambiano. Colpita la Caritas.Presentata al Parlamento ucraino la proposta di una stretta alla legge marziale. Da 5 a 10 anni di carcere per tutti gli uomini che vivono all’estero e si negano alla patria.Lo speciale contiene due articoliMariupol è in piena agonia, anche se tenta un’ultima, disperata difesa. Le forze russe spingono per prenderne il controllo totale e già hanno in mente di catturare, subito dopo, Popasna e lanciare l’offensiva in direzione di Kurakhove per raggiungere i confini amministrativi della regione di Donetsk. La battaglia si combatte con ogni mezzo e la preoccupazione è che i russi possano fare ricorso alle armi chimiche. Anzi, secondo qualcuno, lo avrebbero già fatto. La fonte della notizia è però il famigerato battaglione neonazista Azov: a dire dei suoi componenti, a Mariupol un drone avrebbe lanciato delle sostanze tossiche sui difensori della città. Tre persone avrebbero evidenziato «chiari segni di avvelenamento chimico» ma per nessuno di loro, a quanto risulta, ci sarebbero «gravi conseguenze» per la salute. Il timore per un possibile attacco con armi chimiche è stato espresso anche dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, secondo il quale Vladimir Putin vorrebbe aprire proprio con questa tipologia di armi «la nuova fase del terrore». Zelensky non ha però confermato il loro utilizzo a Mariupol da parte dei russi. La questione era stata sollevata anche dal portavoce del Pentagono, John Kirby. «Non siamo in grado di confermare queste notizie ma il dipartimento della Difesa Usa continua a monitorare. Sono notizie che riflettono i timori che abbiamo da tempo», il parere di Kirby. Più diretto il segretario di Stato americano, Antony Blinken: «Abbiamo informazioni credibili che i russi possano usare lacrimogeni, o altri strumenti anti sommossa, mescolati ad agenti chimici». Intanto sul campo, come si diceva, Mariupol tenta il tutto per tutto, anche se ormai l’80-90% del suo territorio, il cuore della città e la maggior parte dei quartieri, sono sotto stretto controllo dell’esercito russo. Pur in una situazione di netta prevalenza dei russi, un reparto di Marines ucraini della Brigata n. 36 (stando a fonti ucraine) avrebbe rotto l’assedio delle forze occupanti e sarebbe riuscito a connettersi con il reggimento Azov, a sua volta accerchiato nella zona del porto. Le ultime sacche della resistenza ucraina che proprio ieri hanno perso il possesso della zona portuale, conquistata dai russi, si concentrano nell’Azovstal - l’acciaieria più grande d’Europa che si trova proprio a ridosso del porto - e nella zona vicina allo stadio a meno di 300 metri dall’ospedale pediatrico numero 3, reso tristemente famoso dal bombardamento di metà marzo. Le difficoltà che sta incontrando l’esercito russo a sopraffare i combattenti dell’acciaieria le ha raccontate Vittorio Rangeloni, trentenne italiano che da sette anni vive a Donetsk ed è al fronte a Mariupol. «L’acciaieria presenta una fitta rete di tunnel sotterranei di epoca sovietica costruiti per far fronte a eventuali attacchi con bombe atomiche che rendono difficile l’operazione russa». Un altro evento ha funestato la città di Mariupol e, anche se la notizia si è avuta solo ora, è avvenuto intorno al 15 marzo. La sede della Caritas ucraina è stata distrutta e ci sono vittime. L’edificio è stato colpito da un carro armato russo, come confermato dalla presidente dell’organizzazione, Tetiana Stawnychy. In quel momento, c’erano persone che si nascondevano dai bombardamenti: sette di loro sono morte, due erano membri dello staff. Con la città sotto assedio, al di là di questi singoli fatti denunciati in cui c’è stata la conta dei morti, diventa difficile pronunciarsi sul numero complessivo delle vittime. «Al momento stiamo parlando di 20-22.000 morti a Mariupol», ha detto il governatore della regione di Donetsk, Pavlo Kyrylenko. Lo stesso numero è stato confermato dal sindaco. Secondo Kyrylenko c’è poi un altro fattore che rende ancora più complesso il tentativo di fare dei calcoli. La Russia, a suo dire, starebbe utilizzando crematori mobili per smaltire i corpi. «Li stanno portando nel territorio non controllato dall’Ucraina e stanno distruggendo i corpi lì», ha affermato. Altre vittime potrebbero esserci invece in futuro per la presenza di mine. Secondo Zelensky «le truppe russe hanno lasciato mine ovunque. Nelle case, nelle strade, nelle auto: hanno fatto di tutto per rendere il più pericoloso possibile il ritorno in queste aree, hanno fatto di tutto per uccidere o mutilare il maggior numero possibile della nostra gente». A Nord di Kiev sarebbero stati disseminati migliaia gli oggetti pericolosi, soprattutto mine e proiettili inesplosi. Insomma, una lunga lista è stata stilata dagli ucraini su quanto commesso dai russi. Per quel che riguarda i crimini di guerra, a detta della procuratrice generale dell’Ucraina, Iryna Venediktova, al momento sono oltre «5.800 i casi» di comportamenti da parte dei russi che rientrerebbero nella fattispecie. «Qui stiamo ancora riesumando cadaveri dalle fosse comuni per quelli che non sono solo crimini di guerra ma anche crimini contro l’umanità», sostiene Venediktova. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, ha dichiarato che «se le prove ci diranno che Putin è responsabile di crimini di guerra, sarà perseguito per questo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/torna-il-giallo-delle-armi-chimiche-mentre-mariupol-prova-a-resistere-2657144253.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="chi-non-torna-a-kiev-e-un-disertore" data-post-id="2657144253" data-published-at="1649788403" data-use-pagination="False"> «Chi non torna a Kiev è un disertore» Il progetto di legge n. 7265 presentato lo scorso 8 aprile alla Verkhovna Rada, il Parlamento di Kiev, obbliga i cittadini ucraini residenti all’estero a ritornare in patria per prestare il servizio militare, e prevede di introdurre una pena da cinque a dieci anni di carcere per chi si sottrarrà a questo dovere. La legge riguarda tutti i cittadini ucraini sottoposti alla coscrizione obbligatoria durante la legge marziale, ovvero gli uomini tra i 18 e i 60 anni, la stessa fascia di età di chi non ha il permesso di lasciare il Paese (non a caso dei circa 4,5 milioni di profughi che hanno lasciato il Paese dall’inizio della guerra la stragrande maggioranza sono donne e minori). Sono circa 2.200 gli uomini in età di obbligo militare che dall’inizio della guerra hanno tentato di lasciare il Paese e sono stati bloccati alla frontiera. Molti hanno tentato di scappare mostrando documenti falsi. Alcuni uomini che presumibilmente tentavano di fuggire per sottrarsi all’obbligo militare sono stati rinvenuti senza vita sui Carpazi, uccisi molto probabilmente dalle avverse condizioni meteorologiche. Chi non è tornato in Ucraina dopo la promulgazione della legge marziale, in sostanza, se questo progetto di legge verrà approvato, rischia di finire in galera. La legge marziale in Ucraina è stata promulgata lo scorso 24 febbraio, il giorno dell’invasione da parte della Russia, per la durata di 30 giorni, ed è stata poi prorogata per altri 30 giorni a partire dal 26 marzo. «I cittadini che possono e sono obbligati a proteggere la patria e che sono all’estero», si legge nella nota esplicativa del progetto di legge, «non sempre vogliono tornare per adempiere ai loro poteri e ai loro obblighi costituzionali. Pertanto, si propone di introdurre un dovere di tornare in Ucraina» e per chi trasgredisce, «si introduce una responsabilità criminale. Le modifiche proposte sono finalizzate a garantire il pieno funzionamento delle forze di difesa dell’Ucraina». «Si propone», si legge ancora, «di introdurre un nuovo articolo al codice penale dell’Ucraina, stabilendo una responsabilità penale dei cittadini ucraini per il non adempimento dei requisiti della legge sul ritorno in Ucraina dopo l’introduzione di uno stato militare (la legge marziale, ndr)». Sono esentati da questo obbligo i cittadini ucraini sottoposti al divieto di lasciare il Paese di residenza, chi non può tornare a causa di disastri naturali, catastrofi, incidenti, ospedalizzazione o altre circostanze, che impediscono loro di lasciare il Paese di residenza. La legge riguarda anche «i membri del Gabinetto dei ministri dell’Ucraina, i capi delle autorità statali e i loro deputati, parlamentari ucraini, capi villaggio, capi città, forze dell’ordine dell’Ucraina, giudici, giudici della Corte costituzionale dell’Ucraina, procuratori che si trovano fuori dall’Ucraina». Questo progetto di legge, come è ben chiaro, dimostra che in attesa del previsto attacco massiccio della Russia nel Sudest dell’Ucraina, il governo di Kiev ha bisogno di rafforzare le proprie truppe in ogni modo. Non è altrettanto chiaro, però, come possa un cittadino ucraino in età di obbligo militare che risiede in un altro Paese del mondo far ritorno nella madre patria, considerato lo stato di guerra. Un cittadino ucraino residente in altre parti del mondo, magari da 20 anni, dovrebbe lasciare famiglia e lavoro e tornare a Kiev per sottostare alla legge marziale. Non è neanche chiaro come farà il governo ucraino a punire chi si rifiuterà di far ritorno in patria: probabilmente la pena detentiva scatterà solo quando, in futuro, questi cittadini per un motivo o un altro torneranno in Ucraina. È evidente però che siamo di fronte a una proposta di legge di difficilissima applicazione.
Ansa
L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
Continua a leggereRiduci
Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
Continua a leggereRiduci
«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
Continua a leggereRiduci
iStock
La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
Continua a leggereRiduci