2024-01-19
Bus elettrico fuori strada a Mestre. È il terzo incidente con i mezzi cinesi
Mestre. Il bus elettrico dopo l'incidente del 17 gennaio 2024
Stesso modello di quello della strage. L’assessore: «Possibile un blocco allo sterzo».Gli autobus cinesi non perdonano. Se come diceva Agatha Christie un indizio è un indizio, due sono una coincidenza ma tre sono una prova, è difficile trovare la giustificazione in un errore del guidatore per l’ennesimo incidente che ha coinvolto un bus elettrico.È successo ancora a Mestre, con un mezzo della società La Linea finito fuori strada, salendo con la ruota anteriore sul marciapiedi, all’altezza della fermata. Le persone in attesa sotto la pensilina hanno rischiato di essere travolte se non fosse che sono riuscite a scansarsi grazie alla moderata velocità del bus. Ma si è sfiorata un’altra tragedia. È il terzo incidente in tre mesi, sempre a Mestre, ed è lo stesso modello, della casa produttrice cinese Yutong, di quello che il 3 ottobre scorso è precipitato dal cavalcavia, causando 21 morti e 15 feriti, e di quello che una decina di giorni dopo si è schiantato contro la colonna del sottoportico di via Carducci, ferendo una quindicina di persone, anche se in quest’ultimo caso fu accertato che l’autista ebbe un malore. C’è anche un altro incidente, che risale allo scorso 16 giugno e quindi il conto salirebbe a quattro.Si tratta di un tamponamento lungo la strada statale Romea. L’autista era da solo alla guida del bus, che era uscito dal deposito aziendale e si stava recando al capolinea per prendere servizio. L’incidente non aveva causato feriti ed era stato archiviato dalla Polizia locale. Ma l’autista riferì di un problema al sistema di frenata assistita del mezzo, sostenendo che invece di frenare, l’autobus avrebbe accelerato causando così la collisione. Coincidenze? L’amministratore delegato de La Linea, Massimo Fiorese, ha cercato di ridimensionare quest’ultimo incidente come una piccola disattenzione del conducente. «L’autista ha accostato alla fermata, probabilmente non riuscendo a tenersi a debita distanza dal marciapiede, e inavvertitamente ci è salito sopra con una ruota anteriore. Alla guida era un conducente giovane, assunto da poco ma molto esperto. Ogni giorno in centro a Mestre percorriamo con i nostri veicoli oltre 10.000 chilometri e queste sono cose che succedono». Già in precedenza Fiorese aveva difeso a spada tratta i mezzi made in China sottolineando che «prima di essere immessi sulle strade di qualsiasi paese dell’Ue, hanno ottenuto l’omologazione in conformità ai nostri rigidi standard di sicurezza».L’assessore alla Mobilità del Comune di Venezia, Renato Boraso, però, vuole vederci chiaro. Qualcosa non torna ed è stato l’autista stesso a fornire un indizio. «A quanto mi risulta, l’autista avrebbe dichiarato che si sarebbe bloccato lo sterzo all’improvviso. Non è un dettaglio ininfluente. Dobbiamo conoscere la verità. Sono molto preoccupato» ha affermato Boraso, che ha convocato per oggi una riunione di tecnici per andare a fondo nella vicenda. Il Comune vuole capire se questi incidenti sono legati all’affidabilità e alla sicurezza dei mezzi. Sulla tragedia del 3 ottobre l’inchiesta è ancora in corso. Deve arrivare la relazione conclusiva delle perizie del 25 o ottobre e del 9 novembre condotte dal perito, Placido Migliorino, incaricato dalla Procura di Venezia.A oggi in Italia circolano oltre 70 autobus elettrici Yutong di varie lunghezze (9, 12 e 13 metri). Una decina di questi sono in servizio nella flotta di Bergamo e almeno tre fanno parte della flotta di Udine e Padova. Un articolo di Science Times descrive con chiarezza i rischi dei motori elettrici: »Se una batteria Li-ion viene esposta a temperature estremamente alte, subisce un guasto, viene sovraccaricata o subisce un impatto fisico, le sue celle interne possono cortocircuitare, producendo un calore eccessivo. Quando ciò accade, la batteria surriscaldata può incendiarsi, esplodere o emettere gas tossico». Pensate se ciò dovesse accadere in un mezzo con decine di persone a bordo.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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