2020-12-26
La teleferica Massaua-Asmara era da guinness
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La teleferica Massaua Asmara era lunga 75 chilometri e fu costruita in soli due anni tra il 1935 e il 1937 (Courtesy Stefano Pettini/ferroviaeritrea.it)
Con i suoi 75 chilometri di linea era la più lunga al mondo. Fu costruita dagli Italiani tra il 1935 e il 1937 per garantire il flusso di merci tra il porto di Massaua e i 2.400 metri di altitudine dell'altipiano di Asmara.L'Eritrea era diventata ufficialmente la prima colonia italiana d'Africa il 1 gennaio 1890. I suoi confini, limitati dopo il primo tentativo italiano di conquistare anche l'Etiopia fallito dopo la sconfitta di Adua erano rimasti tali fino alla definitiva conquista del 1935-36 che sancì la fondazione dell'Impero coloniale italiano.L'annessione del territorio che andò a completare l'entità amministrativa dell'Africa Orientale Italiana segnò un forte aumento della popolazione proveniente dalla penisola e la impellente necessità di una rapida realizzazione di importanti infrastrutture che potessero garantire la crescita economica e demografica della colonia divenuta territorialmente molto più estesa. Il porto principale, quello di Massaua, divenne il centro di raccolta delle merci e dei materiali di ogni genere provenienti dalla madrepatria e destinati alla costruzione delle infrastrutture nonché al trasporto di beni necessari alla produzione industriale e agricola della colonia. Le caratteristiche geografiche dell'Eritrea non venivano certamente incontro alle esigenze italiane, essendo da un punto di vista orografico una zona particolarmente ostica. La nuova capitale Asmara si trovava infatti 2.400 metri più in alto del porto di Massaua sull'altipiano abissino, per raggiungere il quale era necessario inerpicarsi e attraversare una zona montuosa ed inospitale con un clima che lungo il percorso aveva caratteristiche totalmente diverse, dall'arida piana dell'entroterra di Massaua alla zona umida e piovosa delle montagne fino al clima temperato di Asmara. Se da un lato le autorità italiane provvidero sin dai primi anni del Ventesimo secolo alla costruzione di una strada tra le due città e di una piccola ferrovia a scartamento ridotto, dall'altro alla metà degli anni trenta entrambe si rivelavano totalmente inadeguate per fare fronte alle necessità di trasporto di una quantità di merci cresciuta esponenzialmente. La ferrovia seguiva, come del resto la camionabile, un percorso tortuosissimo ed era dotata di un materiale rotabile dalla trazione limitata, considerando le forti pendenze di buona parte del percorso. Gli autocarri (che oltretutto scarseggiavano) ugualmente faticavano a portare i loro carichi fino all'altipiano, senza contare che il percorso ricco di tornanti e strapiombi si rivelava particolarmente pericoloso sia in salita che in discesa.La soluzione al problema sempre più urgente arrivò mentre le truppe italiane erano impegnate nella conquista dell'Etiopia nel 1935. Il suggerimento venne da un gruppo di ingegneri italiani che convinsero sia Benito Mussolini che il Ministro delle colonie Alessandro Lessona a risolvere il problema con un progetto ambizioso: quello di una teleferica per il trasporto di merci che avrebbe unito il porto all'altipiano che, con un volo lungo 75 chilometri di funi d'acciaio, sarebbe diventato l'impianto a fune più lungo del mondo. Gli studi di fattibilità dell'impianto resero subito evidenti i vantaggi sia economici che logistici della teleferica. Questi vennero ben sintetizzati da una conferenza tenuta di fronte alle corporazioni dall'ingegnere Pasquale Belloni. In sostanza, dati alla mano, risultava chiaro quanto il pur impegnativo costo di realizzazione dell'impianto fosse rapidamente ammortizzabile per capacità di carico e economicità di esercizio sia rispetto alla camionabile che alla ferrovia, che per essere potenziata avrebbe dovuto essere sottoposta a un ammodernamento dai costi molto elevati. Anche il consumo di energia necessario all'esercizio risultava molto inferiore rispetto al consumo di combustibile dei camion, mentre la capacità di carico era altamente superiore al trasporto su gomma. Un altro insuperabile vantaggio del trasporto a fune rispetto alla ferrovia e alla strada risiedeva nella possibilità di operare il trasporto contemporaneo delle merci sia in salita che in discesa senza incidere sui costi di esercizio, tenendo anche presente che la lunghezza del percorso stradale con decine di tornanti era quasi doppia rispetto alla linea aerea della teleferica. Il progetto e la realizzazione del grande impianto della Massaua-Asmara fu affidato ad un'azienda leader nel settore, la Ceretti & Tanfani di Milano, mentre la fornitura delle funi fu appaltata alla Redaelli (sempre di Milano). Per quanto riguarda i motori diesel (non essendo possibile un'immediata elettrificazione della linea) questi furono affidati alla Franco Tosi di Legnano. I lavori iniziarono già alla metà di ottobre del 1935 coordinati da 40 tecnici della casa costruttrice. Tutto il materiale giunse via nave dall'Italia e fu smistato al porto di Massaua. Le strutture erano unicamente in ferro, in quanto la abbondante presenza di voraci termiti lungo il percorso avrebbe significato vita breve per ogni elemento ligneo. Il personale impiegato nella costruzione era misto. Molti erano gli italiani, ma altrettanto numerosi furono i manovali eritrei e yemeniti impiegati per i lavori più gravosi come il trasporto a spalla dei pesantissimi componenti. Le condizioni climatiche erano pressoché proibitive, in particolare modo nella piana da Massaua verso l'altipiano dove le ore di lavoro giornaliere erano limitate a causa del clima torrido che arroventava il ferro dei piloni. Altrettanto gravoso risultava il lavoro man mano che la quota saliva, poiché i materiali portati per ferrovia o camionabile nel punto più vicino al cantiere, dovevano essere poi trasportati a mano nella fitta vegetazione tra i rovi e le rocce appuntite, lungo tratte che potevano raggiungere anche i 4-5 chilometri. In alcuni tratti, per alleviare le fatiche umane, furono utilizzate carovane di dromedari. La teleferica naturalmente era divisa in più tronchi, dal momento che non era tecnicamente possibile garantire la corretta tensione di tratte uniche di funi per un percorso così lungo a cui corrispondevano altrettante stazioni, alcune di semplice trasbordo, altre di carico e scarico merci; alcuni terminali fungevano da motrici per uno o più tratte tra le stazioni con coperture miste in ondulato e, nelle zone più calde, in Eternit (allora considerato un isolante economico e innocuo). I lavori procedettero con tempi da record, considerando i mezzi dell'epoca. La prima tratta tra Asmara e Ghinda entrò in esercizio già alla fine del 1936 e nella prima metà del 1937 l'impianto fu completato e collegato dall'altipiano al mare.Passando a descrivere le caratteristiche di questo impianto unico, la teleferica era del tipo trifune (vale a dire con due funi portanti ancorate e una traente chiusa ad anello in moto continuo) con un sistema di agganciamento automatico con morsa brevettata tipo "Ideale" che per peso e gravità sganciava e riagganciava il vagoncino alla fune traente di ogni tratta. La linea era formata da 24 spezzoni dove avveniva il cambio della fune portante opportunamente contrappesata, mentre i cavalletti di sostegno erano ben 453. Da Massaua la linea partiva doppia, dalla dogana portuale di Campo di Marte e dal vecchio forte Vittorio Emanuele con la stazione chiamata Deposito Munizioni. Pochi chilometri dopo, la linea diveniva unica nella stazione di Zaga pronta ad affrontare la torrida piana dell'entroterra di Massaua prima di affrontare la salita verso l'altopiano. Per dare l'idea della lunghezza complessiva della tratta e del dislivello superato, la sequenza delle stazioni, la lunghezza e la quota altimetrica parlano da sole: Dalla stazione di Campo di Marte a Massaua fino a Zaga: 6.241 metri, da Deposito munizioni a Zaga altri 3.202; da Zaga a Dogali 17.528 metri; da Dogali a Ghinda 21.536 metri e da Ghinda alla stazione terminale di Godaif (poco a sud dell'abitato di Asmara) altri 14.578. Per quanto riguarda le quote altimetriche, una prima lunga tratta rimaneva praticamente alla quota di partenza fino alla stazione intermedia Mai Atal superando soltanto una bassa catena sino a Ghinda. Da qui alla stazione di scarico e manutenzione di Nefasit e in seguito all'Asmara la tratta supera 1.431 metri di dislivello prima di tornare di nuovo pianeggiante dopo il superamento del costone dell'altipiano etiopico. Rilevante fu anche il numero di carrelli impiegati sulla linea, ben 1.538 in moto continuo e 82 di riserva. Tutti prevedevano una copertura in tela cerata nel caso di trasporto di materiale deperibile per le forti piogge che caratterizzavano alcune zone attraversate dalla teleferica. Contando che l'impianto aveva un'operatività giornaliera di 20 ore la capacità di carico quotidiana raggiungeva a pieno regime le 600 tonnellate sia in salita che in discesa alla velocità di esercizio di 2,5 metri/secondo (circa 9 chilometri orari).Tutte le stazioni erano collegate da una linea telefonica a chiamata selettiva che permetteva la comunicazione tra tutte le stazioni o tra stazioni specifiche, compresa la possibilità di collegamento in aperta linea con telefoni campali. Ciò fu molto utile al servizio di sorveglianza della teleferica, perché durante gli anni di funzionamento il carico prezioso dei vagoncini fu spesso preso di mira dai predoni eritrei, i famigerati Sciftà, i quali con ardite acrobazie montavano sui piloni per saltare quindi pericolosamente sui carrelli in movimento e lanciare infine il bottino ai complici che aspettavano a terra. L' uso improprio dei carrelli fu praticato (e spesso tollerato) anche dal personale di servizio dell'impianto, per accorciare il viaggio altrimenti praticabile solo attraverso le tortuose linee della ferrovia e della camionabile.La meraviglia della meccanica, la teleferica più lunga al mondo, ebbe purtroppo vita breve. Dall'entrata in guerra dell'Italia alla caduta di Massaua passò infatti meno di un anno. Dopo la sanguinosa e lunga battaglia di Cheren, le forze britanniche occuparono la città portuale l'8 aprile 1941. La fine della colonia italiana di Eritrea significò anche quella della teleferica Massaua-Asmara, che smise di funzionare per sempre. Negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra, la British Military Administration non aveva alcuna intenzione di favorire l'economia eritrea pensando già ad un futuro dominio etiope con il ritorno del negus Hailé Selassié ad Addis Abeba avvenuto appena tre giorni prima della caduta di Massaua. Proprio l'amministrazione militare inglese, che vedeva negativamente la sintonia e lo sviluppo che gli Eritrei avevano avuto sotto gli Italiani, decise che l'impianto fosse da considerare preda bellica (anche se non fu mai utilizzato per scopi militari) e iniziò a cannibalizzarlo a partire dai motori Franco Tosi, dalla linea telefonica e dalle funi di riserva che presero la via di altre colonie dell'impero di Sua Maestà (India e Kenya). Rimasta senza trazione e priva di ogni tipo di manutenzione a causa dell'estromissione dei costruttori italiani le cui fabbriche erano state gravemente danneggiate dai bombardamenti, il fantasma della teleferica rimase per anni con le sue centinaia di carrelli ad arrugginire appesi nel vuoto. Soltanto a partire dagli anni '60 iniziò lo smantellamento progressivo dei 75 chilometri di linea anche per iniziativa dell' imprenditore minerario italiano Mario Venturi al quale gli inglesi avevano venduto il rottame dell'impianto e che progressivamente fu demolito per essere riciclato. Dal ferro della teleferica, venduto all'Asmara ma anche in Arabia Saudita, furono ricavati molti degli aratri tipici dell'agricoltura locale (i marascià) ed altri utensili. Chilometri di funi Redaelli furono fusi e trasformati in chiodi e tondini.Oggi, chi viaggia sulla ferrovia tra Massaua e Asmara (dove sono in servizio ancora le littorine) o lungo la strada asfaltata può notare che in alcuni punti, dove un tempo la teleferica le sorvolava o dove l'impianto scambiava il carico con la strada ferrata, rimangono i plinti in cemento di alcuni piloni. Vestigia di quell'opera italiana da record, dalla vita stroncata precocemente dagli esiti della guerra.
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