2023-04-27
Il 27 aprile 1941 i tedeschi entrano ad Atene: per i nazisti era un «ritorno a casa»
True
Atene, 1941. Dornier Do.17 della Luftwaffe in volo sull'Acropoli (Getty Images)
Il Blitzkrieg che portò la Wehrmacht a conquistare la Grecia venne vissuto dagli ideologi del Terzo Reich come la riconquista di una terra con un passato profondamente «nordico».Il 27 aprile 1941, 82 anni fa esatti, la 2ª e la 5ª divisioni corazzate della Wehrmacht facevano il loro ingresso ad Atene, innalzando la bandiera tedesca con la croce uncinata sull'Acropoli. Era la conclusione dell'operazione Marita, portata a termine in tre settimane con perdite modeste, resasi necessaria in seguito alla disastrosa spedizione italiana in terra ellenica. Per l'invasione della Grecia il 6 aprile 1941 la Germania aveva schierato le forze precedentemente inviate in Bulgaria in previsione dell'attacco all'Unione sovietica, che sarà ritardato per portare soccorso all'alleato, cosa che influirà anche nell'esito della stessa operazione Barbarossa.Al di là degli eventi strettamente bellici, è comunque interessante notare come questi fatti vennero elaborati nell'ambito dell'ideologia nazionalsocialista. Da tempo, infatti, nel mondo culturale tedesco esisteva una speciale attenzione verso la grecia. Pensiamo solo alla illustre tradizione filologica. La scoperta dell'unità delle civiltà indoeuropee aveva inoltre portato alla luce una parentela profonda tra l'antica civiltà germanica e quelle di Roma e Grecia. Man mano che maturava l'ambiente culturale che avrebbe dato vita al nazionalsocialismo, questi discorsi assumevano una connotazione sempre più marcatamente razziale.Lo studioso francese Johann Chapoutot, nel suo saggio Il nazismo e l’antichità, ha efficacemente riassunto l'insieme dei discorsi ideologici nazisti sul mondo classico. Discorsi che ovviamente ripresero potentemente vita in occasione dell'ingresso delle truppe tedesche ad Atene, con tanto di immagini evocative della svastica che sventola al di sopra dell'Acropoli. «Il Blitzkrieg tedesco in Grecia», ricorda Chapoutot, «viene presentato e interpretato come una quarta discesa nordica verso una terra greca da difendere e rigenerare dopo una lunga decadenza razziale. L’annessione simbolica delle civiltà del mondo antico alla storia della razza indogermanica viene dunque a legittimare e a giustificare l’annessione territoriale: la conquista della Grecia nel 1941 è sostenuta da un discorso che fa riferimento al passato della razza indogermanica in Grecia».Si consideri, del resto, che dal 22 al 25 aprile 1941, la Wehrmacht e le Waffen-SS avevano messo in fuga i britannici in prossimità del passo delle Termopili. Inutile sottolineare quanto una simile circostanza solleticasse l'immaginario nazionalsocialista. Il giornale del partito, il Völkischer Beobachter, scriveva il 28 aprile 1941: «Il cerchio della storia universale è chiuso, oggi, alle Termopili. 2500 anni fa, il popolo greco ha resistito con Leonida a un nemico numericamente superiore. In seguito si è arreso agli inglesi. Oggi, con i nostri colpi potenti, noi scacciamo gli inglesi fuori dall’Europa e fuori dalla Grecia».Non solo. Per i nazisti, il popolo greco contemporaneo, l'abitante della penisola ellenica degli anni Quaranta, era di fatto decaduto razzialmente. Con il risultato paradossale che, alla fine, mentre i tedeschi sentivano di star ritornando «a casa», contemporaneamente ritenevano che i greci della loro epoca fossero degli occupanti abusivi di quelle terre. Scrive ancora Chapoutot, riassumendo il ragionamento nazionalsocialista: «Il popolo greco è dunque, in Grecia, molto meno a casa sua di quanto lo siano le truppe tedesche, degne e pure discendenti della razza indogermanica venuta dal Nord che, per prima, ha donato alla terra greca la sua vera civiltà. Se il comunicato ufficiale del comando supremo della Wehrmacht (Okw) precisa e sottolinea con insistenza e con fierezza che “il drappo con la croce uncinata è stato issato sull’Acropoli”, è perché questa presa di possesso, in fondo, non è altro che un ritorno alla normalità razziale e storica».Ciò non toglie che, osservando la tenace resistenza del popolo greco all'invasione italiana, lo stesso Adolf Hitler abbia confidato a Joseph Goebbels che «forse in loro c’è ancora qualcosa della vecchia natura ellenica».
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
Continua a leggereRiduci
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)