Tasse e trasparenza in Vaticano. Consorti e Nuzzi a confronto sull’eredità finanziaria lasciata da Francesco

Nel giorno della seconda edizione de Il giorno della Verità, a Palazzo Brancaccio si è tenuto un confronto dedicato a uno dei temi più delicati del rapporto tra Stato e Chiesa: la trasparenza finanziaria vaticana. A discuterne, il professor Pierluigi Consorti, ordinario dell’Università di Pisa ed esperto di diritto ecclesiastico e relazioni tra ordinamenti, e il giornalista e saggista Gianluigi Nuzzi, che da anni indaga le finanze della Santa Sede attraverso libri-inchiesta che hanno fatto molto discutere.
Con l’elezione del nuovo pontefice, Leone XIV, si apre una fase nuova per il Vaticano, ma anche per l’Italia, unico Paese al mondo ad avere una teocrazia come vicino di casa. «Storicamente - ha spiegato Consorti - la Chiesa cattolica è l’unica religione ad aver sempre mantenuto uno Stato, con l’unica parentesi tra il 1870 e il 1929. Questo rende il nostro rapporto unico e carico di implicazioni».
Sulla questione del baricentro geopolitico del pontificato, Consorti ha osservato che «l’Italia continua a guardare con forte attenzione a quanto accade in Vaticano. Anche se da Giovanni Paolo II in poi i pontefici non sono più italiani, Roma resta il centro fisico e simbolico del cattolicesimo». Tuttavia, ha sottolineato, il dualismo tra Santa Sede e Conferenza Episcopale Italiana è sempre più marcato, e non del tutto metabolizzato a livello culturale.
Il nodo centrale dell’incontro è stato però l’eredità lasciata da Francesco in termini economico-finanziari. «Dobbiamo guardare lontano - ha affermato Consorti – perché è stato Benedetto XVI a iniziare il percorso di trasparenza, poi proseguito con Francesco. Oggi i bilanci sono disponibili online, ma resta un punto opaco: non è noto quanto sia l’intero patrimonio della Chiesa». La «trasparenza a metà», secondo Consorti, nasce da un’abitudine antica: «La Chiesa ha una grande capacità di dire e non dire».
Il calo delle offerte è un altro dato che non può essere ignorato. «In Italia - ha spiegato il docente - pesa molto la sfiducia: i fedeli danno meno perché non capiscono come vengono usate le risorse. Ma anche il calo della partecipazione alla messa ha un peso. In altri Paesi, come gli Stati Uniti, il discorso è diverso: lì molte diocesi hanno visto prosciugarsi le casse per pagare risarcimenti legati agli abusi». Non poteva mancare un accenno ai rapporti tra Stato italiano e Vaticano, in particolare sul nodo fiscale. «L’Italia ha siglato un concordato nel 1929 che le riconosceva poteri di controllo anche sulla moneta. Il Vaticano è stato abile a svincolarsene, consolidando lo Ior e adottando standard europei». Sull’Imu, Consorti ha ricordato che «la Chiesa svolge molte attività non religiose, che secondo la normativa europea dovrebbero essere tassate. Ma l’Italia ha scelto di non farlo, anche per preservare il valore culturale di molti beni ecclesiastici».
In conclusione, sulla figura del nuovo papa, Leone XIV, il giudizio è cauto ma aperto: «È presto per dire che direzione prenderà, ma la prima impressione nel mondo cattolico è positiva».