2025-01-07
Arriva la tassa sugli aiuti Covid
I bonus dati a chi era in difficoltà a causa delle chiusure sono stati mal calcolati dal Fisco e inclusi nell’imponibile. Il risultato è una beffa: molti pensionati con quella somma hanno sforato gli scaglioni di reddito e ora l’Inps manda lettere per riavere i soldi.Una grana in più per l’Inps e un onere inaspettato per i pensionati. Dopo il super bonus che ha aperto una voragine nei conti pubblici, l’eredità lasciata dall’ex premier, Giuseppe Conte, si arricchisce di un nuovo capitolo. La vicenda è surreale. Stiamo parlando del bonus Covid, l’elargizione versata, una tantum, ai pensionati nel 2022. Ebbene a distanza di tre anni, quando i diretti interessati magari hanno già speso la somma che variava dai 150 ai 200 euro, ecco che alla loro porta bussa l’Inps. E i malcapitati, è il caso di dirlo, scoprono che quei quattro soldi sono tassati, ovvero devono restituirli. Le lettere stanno arrivando a pioggia un po’ in tutta Italia ma a sollevare il caso è stato il quotidiano La Nuova Ferrara che ha intercettato le prime comunicazioni nella città romagnola. L’estensione della platea ancora non è nota e l’Inps, mittente delle missive, a stretto giro ci darà qualche ragguaglio su quella che si prefigura per l’istituto di previdenza come una vera e propria gatta da pelare. I pensionati vengono avvisati che i loro prossimi assegni saranno decurtati delle somme corrispondenti al «bonus indennità una tantum» del periodo Covid «che risulta non dovuta». Che è successo? Questa volta non c’è alcun furbetto da sanzionare, gli anziani non hanno alcuna colpa, se non quella di aver creduto all’ex premier e intascato in buona fede, contenti ma ora beffati, un po’ di soldi che avrebbero arrotondato le loro pensioni. L’indennità versata nel 2022 era agganciata al reddito ed era di 200 euro per i redditi fino a 35.000 euro e di 150 euro fino a 20.000 euro. Questa una tantum è stata elargita a tutti in via provvisoria, in attesa del confronto tra i redditi soggetti a Irpef presenti negli archivi e quelli accertati dall’Inps per l’anno d’imposta 2021. Ora sono scattati i controlli sui redditi ed è emerso che erano stati superati i limiti di reddito complessivi previsti per aver accesso al bonus Covid. Altre voci non prese in considerazione allora o addirittura il conteggio del bonus. Si è messa quindi in moto la macchina dell’amministrazione pubblica per recuperare le somme e il primo passo, dopo le verifiche a tappeto, è l’invio delle raccomandate con la «lieta novella» della trattenuta sulla pensione. L’importo è di 50 euro per le mensilità necessarie. Nelle lettere si dice che qualora non fosse possibile recuperare le somme direttamente dalla pensione, il pagamento dovrà comunque essere effettuato con un avviso PagoPa da inviare successivamente. La Nuova Ferrara riporta un chiarimento fornito dalla direttrice Inps provinciale, Annalisa D’Angelo che spiega come le verifiche siano state effettuate dall’Agenzia delle Entrate incrociando le varie banche dati della pubblica amministrazione per verificare altre fonti di reddito oltre alla pensione come può essere la proprietà di un immobile. Le raccomandate come era prevedibile hanno scatenato la reazione degli interessati che hanno cominciato ad affollare gli uffici per avere delucidazioni come conferma D’Angelo. «Già nei giorni corsi abbiamo cominciato a ricevere richieste di chiarimento dai pensionati» ha detto sottolineando che gli sportelli sono pronti a fornire consulenze sui calcoli e sulla documentazione. La cifra in senso assoluto, 50 euro, non è una somma rilevante ma comunque impatta sulla pensione e costringe chi pensava di poter contare su quei soldi, a rifare i conti. Nella platea dei beneficiari del bonus non ci sono solo gli anziani. I destinatari erano anche altre categorie ma sempre con il limite di reddito di 20.000 euro. Quindi siamo davanti solo alla punta di un iceberg. È probabile che le prossime verifiche facciano emergere altri soggetti sui quali i decreti Aiuti hanno fatto piovere soldi a non finire. Alcune categorie sono già state intercettate. È il caso dei collaboratori sportivi beneficiari dell’indennità, ex articolo 27 del decreto Cura Italia. Nel 2021, dopo i controlli dell’Inps, questi beneficiari dell’indennità di Sport e Salute, sono risultati non avere i requisiti legislativamente previsti per l’erogazione da parte dell’istituto di previdenza. Di qui l’avvio del recupero delle somme. Ai collaboratori sportivi era stata inviata una mail con le istruzioni per la conferma dei requisiti delle mensilità che non erano state erogate a causa dell’incoerenza con i dati comunicati dall’Inps. In alcuni casi i percettori dell’indennità di Sport e Salute avevano anche avuto l’indennità Inps e c’era stato quindi una sorta di cumulo non ammissibile. Anche allora ne era nato un caso per la confusione tra le varie indennità e i soldi elargiti in modo indebito. La soluzione trovata era che chi già riceveva il bonus dell’istituto di previdenza, al momento della presentazione della domanda nella piattaforma di Sport e Salute, aveva la revoca dei benefici già erogati. Ora come allora tutto ha origine dalla scarsa chiarezza normativa e dall’abitudine di posticipare la verifica sulle condizioni reddituali per avere diritto al beneficio. Il che non fa altro che incrinare il rapporto tra il cittadino e la pubblica amministrazione. L’Inps dovrà correre ai ripari di una situazione che non farà altro che sovraccaricare gli uffici di pratiche e richieste. E ai pensionati non resta altro che stringere ancora di più la cinghia.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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