Si pensava servissero mesi e invece in poche sedute il Ftse Mib ha recuperato più dell’80% delle perdite. Così come i listini Usa.Ricordate il 2 aprile? No? Beh, c’era il sole, era la vigilia del Liberation Day e le Borse galleggiavano molto vicine ai massimi annuali. La partenza dell’anno era stata sprint: Milano in meno di tre mesi aveva guadagnato il 15% e si trovava sui massimi ventennali. Poi, come sempre in questi casi bisognava trovare una ragione per fare po’ di pulizia nei mercati troppo «tirati». La scusa? I dazi, naturalmente. Lo spauracchio preferito della stagione.Il 2 aprile, mezzo pomeriggio Usa quasi notte in Europa, il presidente americano annunciò tariffe punitive nei confronti di tutto l’import Usa (particolarmente quello cinese), e immediatamente si scatenò il panico. Si parlò di crisi commerciale globale, di rischio di recessione, e qualcuno – come al solito – riesumò la parola «stagflazione», tanto per far colpo. Un antica definizione che risale agli anni Settanta quando la crisi petrolifera provocò un mostro a due teste: alta inflazione e recessione. Un fenomeno che, per fortuna, non si è mai più ripetuto. Almeno in quelle dimensioni. Tuttavia tirarlo fuori ogni tanto è un abito adatto per chi vuole usare toni apocalittici. I mercati reagirono come da manuale: crolli generalizzati, vendite di panico, grafici che sembravano montagne russe in tilt.Eppure, eccoci qui: è passata qualche settimana, e le Borse hanno praticamente azzerato le perdite. Il Ftse Mib di Milano, che era sprofondato come un sasso nei giorni post-dazi, oggi viaggia a 37.348 punti, a solo il 2,8% sotto i livelli del 2 aprile. Non male per un mercato che doveva soccombere. Ma rispetto ai minimi del 9 aprile almeno l’80% delle perdite è stato recuperato. Tutto questo sotto il peso della guerra commerciale, vero?Anche l’EuroStoxx 600 si è messo in forma: il ritardo rispetto al pre-dazi è anch’esso di un «catastrofico» 2,8%. Insomma, se questa era l’apocalisse, il mercato ha portato l’ombrello giusto.E gli Stati Uniti? Beh, lì il sentimento della tragedia è stato ancora più accentuato, come sempre. L’S&P 500 è salito di oltre il 10%, il Nasdaq addirittura +12% dai minimi di aprile. Certo, l’indice americano è ancora in ritardo rispetto all’inizio dell’anno (-6,7%) ma la retorica del disastro imminente si è un po’ sgonfiata, diciamolo.Nel frattempo, l’Europa si prende la scena. Il Vecchio continente, solitamente snobbato dagli investitori internazionali come un ospite noioso a un party di Wall Street, quest’anno sta facendo la parte del figo: EuroStoxx 50 +4,5%, Dax +13,7%, Ftse Mib +7,7%. Certo, tutto in valuta locale, ma se convertiamo in euro la performance americana, ci viene voglia di mandare ai cugini d’oltreoceano una guida Lonely Planet con titolo: «Come si investe in Europa senza drammi».E mentre i titoli finanziari si riprendono, i listini si rimettono il rossetto, e la Federal Reserve improvvisamente torna amichevole, un’idea serpeggia tra gli osservatori più maliziosi: e se tutta questa storia dei dazi fosse stata una gigantesca scusa per far raffreddare i mercati che correvano troppo?Trump ha minacciato, agitato le acque, poi è tornato sui suoi passi con la solita leggerezza di chi ha solo buttato lì un’idea, tipo «e se stasera ordinassimo cinese?». Dazi ritirati, o quantomeno «rimandati». Minacce alla Fed? Rinviate. E al centro della scena spunta Scott Bessent, ex gestore di hedge fund e nuovo ministro dell’Economia: «È uno di noi», sussurra compiaciuto il mercato. Una frase che in altri tempi avrebbe fatto tremare le vene dei polsi, ma che oggi suona come una dolce ninna nanna per gli operatori finanziari.Come se non bastasse, la Cina ammicca, Pechino fa la voce morbida, si parla di piccoli passi verso la distensione, e pure la Fed, che fino a ieri sembrava voler strangolare l’economia col tasso di interesse, oggi valuta un bel taglietto estivo, così, per gradire. Il Vix (l’indice della paura)? Calato. I rendimenti dei Treasury? Scivolati. L’umore? In netta ripresa.Insomma, tutto bene quel che finisce bene? Forse. Oppure è solo il primo atto della commedia ciclica dei mercati: si alza la tensione, si simula il panico, poi arriva la distensione e - sorpresa - il rally. Funziona sempre. Gli investitori ci cascano ogni volta, con la stessa espressione del turista che fotografa il Colosseo da sotto l’obiettivo del venditore ambulante.Certo, nessun accordo è stato ancora firmato, la volatilità è lì che aspetta il prossimo tweet, e la visibilità degli utili è come un parabrezza appannato. Ma tanto basta. I mercati hanno deciso che la tempesta è passata, che si può tornare a salire, con la stessa sicurezza con cui si ordina un Negroni dopo una giornata storta: perché in fondo, anche stavolta, era solo paura di perdere un po’ di profitti.
Mattia Furlani (Ansa)
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Giancarlo Tancredi (Ansa)
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