2024-06-09
Antonio Tanza: «Salviamo la dieta del made in Italy»
Nel riquadro, Antonio Tanza (IStock)
Adusbef: «Con “Mediterranea” (Confagricoltura e multinazionali) la filiera è a rischio».La dieta mediterranea da patrimonio immateriale dell’umanità a paravento di marketing per vendere cibi iper-processati. Il tentativo a livello globale lo ha già fatto la Food Fundation, finanziata dai colossi del cibo sintetico e dell’energia, che vuole imporre col sostegno dell’Oms, la dieta mondiale copiando alcuni alimenti della nostra. Ora con la nascita di «Mediterranea» la faccenda diventa seria anche a livello nazionale. Se ne sono accorti agricoltori e consumatori che si stanno mobilitando e se ne è accorta la politica perfino dai banchi dell’opposizione. Stefano Vaccari (Pd commissione agricoltura di Montecitorio) vuol sapere dal ministro della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida se Mediterranea – costituita da Confagricoltura, UnionFood presieduta da Paolo Barilla, l’uomo del Mulino bianco per capirci, e quattro big tra le multinazionali: Nestlè, Mondelez, Lactalis e Unilever – «non sta usando il marchio della nostra dieta per accreditare la strada commerciale del cibo omologato». Siamo passati dalle fake news al fake food? Per capirlo ecco l’opinione di Antonio Tanza, Presidente dell’Associazione Adusbef Aps da sempre impegnata sulla difesa della dieta mediterranea. «C’è il rischio», sostiene Tanza, «di minare le fondamenta del concetto di dieta mediterranea e con essa dell’intera filiera agroalimentare veramente italiana. Non è un caso che l’agroalimentare sia uno dei settori del made in Italy più protetto proprio perché gli attacchi sono continue e potenti. Uno lo denuncia l’onorevole Vaccari che sostiene che Mediterranea sia un’operazione di puro marketing che tenderebbe a distorcere il significato di dieta mediterranea associandolo a produttori la cui storia va in tutt’altra direzione. E peraltro una multinazionale ha poco o nulla a che vedere con la dieta mediterranea e il made in Italy». Perché una multinazionale non può produrre alimenti come dieta mediterranea comanda?«Sono anni che in Europa e non solo attaccano il cibo italiano. Vogliono togliere di mezzo gli agricoltori. Basta vedere chi c’è dietro il Nutriscore (l’etichetta a semaforo che piace alle multinazionali e alla grande distribuzione: premia le patatine e boccia l’olio extravergine di oliva ndr). Lactalis è stata sanzionata con 700.000 euro di multa per comportamenti sleali verso gli allevatori, Mendelez, che fa merendine, è stata condannata dalla Commissione europea per 330 milioni di euro, Nestlè è persino sotto indagine per aver sottoposto alcune acque a trattamenti non consentiti dalla legislazione europea. Credo che questo possa bastare per capire la distanza esistente rispetto ai valori della dieta mediterranea e dei produttori e dei consumatori italiani».E dunque la Barilla che c’entra?«Sinceramente non si comprende la scelta di questo grande marchio italiano, e saremmo curiosi di conoscerne le ragioni. Al di là, però, di questa scelta imprenditoriale, ciò che ci chiediamo è che esigenza hanno gli industriali italiani di creare una rappresentanza ad hoc insieme a multinazionali straniere che corre il serio rischio di favorire le politiche dei grandi blocchi multinazionali, così attente ai principi del nutriscore? Risposte?«Credo che ciò possa rappresentare una sconfitta per gli industriali italiani dell’agroalimentare che vi aderiscono, che invece potrebbero muoversi insieme a tutti coloro che da sempre, convintamente e con impegno quotidiano credono nel made in Italy, nell’agroalimentare italiano, e nella tutela, valorizzazione, salvaguardia e promozione dei produttori e dei consumatori italiani. Temiamo che con strutture come UnionFood (non essa in quanto tale ovviamente) si possa rischiare di aprire la porta all’espropriazione del made in Italy da parte di multinazionali e soggetti stranieri probabilmente con l’inconsapevolezza di molti soci aderenti. Perciò l’invito a Barilla e a Confagricoltura a fare un passo indietro chiaro e rapido».Insomma «Mediterranea» non la convince proprio...«Il primo problema è la trasparenza. Già il nome “Mediterranea”, associazione dove ci sono multinazionali che a detta delle autorità di controllo hanno violato diverse norme Ue, specie per come è declinato può sviare i consumatori e non solo loro. Ci batteremo affinché il concetto di dieta mediterranea rimanga quello tipico e proprio del regime alimentare più equilibrato e invidiato al mondo e bandiera del made in Italy. Va ricordato che la legislazione italiana tutela non solo il made in Italy, ma contrasta anche l’italian sounding, cioè i prodotti a imitazione i che si richiamano ai nostri. Per analogia questa protezione si può estendere anche alla dieta mediterranea». Cosa farete?«Di certo non consentiremo che vi sia anche il solo “sounding” su questo nostro patrimonio alimentare e culturale, perché la dieta mediterranea non è solo un regime alimentare, ma è uno stile di vita. Serve un fronte largo che difendendo la dieta mediterranea difenda i consumatori dai cibi prodotti in laboratorio, da quelli ultra-processati, dalle pratiche sleali dal Nutriscore. Il fronte è bello ampio: con noi si battono Acu – Adusbef Aps – Associazione utenti servizi radiotelevisivi – Assoutenti Aps – Codacons – Codici – Lega Dei Consumatori – Movimento Consumatori – Movimento Difesa Cittadino – Udicon. Sono i cittadini che si ribellano al fake food».
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