2020-12-28
Tante chiacchiere, pochi vaccini
Le 9.750 dosi di vaccino anti Covid arrivate in Italia il giorno di Natale servivano per lo show. Scortate dal Brennero alla Capitale da pattuglie di carabinieri e polizia, consegnate in pompa magna allo Spallanzani di Roma e dopo di che usate per vaccinare in diretta tv un po' di medici e infermieri, tra i quali i soliti esperti più un imbucato di nome Vincenzo De Luca, le fiale sono già esaurite. Come previsto, le sei scatole sei di vaccino Pfizer hanno consentito una distribuzione con il contagocce a scopo propagandistico. Mentre in altri Paesi si sono già accaparrati decine, quando non centinaia di migliaia di fiale e dispongono di piani per vaccinare la popolazione, da noi il grosso della fornitura, «in dosi non simboliche», avrebbe dovuto arrivare ieri, ma per motivi sconosciuti la consegna forse avverrà oggi, con un ritardo di 24 ore. Ammesso e non concesso che i tempi vengano rispettati, poi però bisognerà provvedere a inoculare il farmaco al personale sanitario e a quello delle residenze per anziani e quindi si dovrà direttamente passare alle persone dai 70 anni in su, ossia agli italiani ritenuti più a rischio. Ed è proprio questo il problema. Non c'entra quando il vaccino sarà materialmente consegnato allo Spallanzani o ai militari di Pratica di Mare che lo dovranno distribuire. Non c'entra neppure il fatto che la Germania, infischiandosene di tutti e del patto che assegnava la regia degli acquisti a Bruxelles, abbia già deciso di rompere il fronte, comprando direttamente da Pfizer 30 milioni di dosi, ossia un terzo di ciò di cui i tedeschi hanno bisogno. Non c'entra nemmeno che, viste le poche fiale ottenute, il ministro della Salute abbia annunciato intese con altre industrie farmaceutiche, aprendo la strada a farmaci alternativi a quello del gruppo americano. No, l'unica cosa che conta è che, se anche avessimo a disposizione milioni di dosi, come tra poco avrà Berlino e prima ancora hanno avuto Londra e Washington, noi non sapremmo che cosa fare. Già, perché al di là del numero di vaccini finora arrivati nel nostro Paese, a fare la differenza è il fatto che al momento non disponiamo di un piano per inoculare le dosi, ma siamo ancora alle buone intenzioni. Del resto, per una vaccinazione di massa non è sufficiente la volontà, ma servono persone che garantiscano il servizio e noi solo ieri abbiamo chiuso il bando per selezionare le cinque agenzie interinali che, al modico prezzo di 25 milioni di euro, a loro volta dovranno selezionare 3.000 medici e 12.000 infermieri, che in pochi mesi siano disposti a fare milioni di iniezioni. Il ministro della Salute ha assicurato in un'intervista alla Stampa di aver già assunto 15.000 persone, ma al momento l'annuncio pare avere la stessa fondatezza di quello di metà giugno, quando nel mezzo degli Stati generali, Speranza fece sapere di aver raggiunto un'intesa con Astrazeneca per l'acquisto del farmaco anti Covid, accordo che, si scoprì mesi dopo, semplicemente non esisteva. Sì, insomma, siamo alla vigilia di un grande programma di vaccinazione di massa ma, piccolo dettaglio, ancora non sappiamo a chi mettere in mano la siringa. Non solo, al momento non abbiamo neppure le siringhe, perché i bandi per ottenerle sono stati fatti in ritardo e poi perché il super commissario alle emergenze ha scelto le più costose e le meno facili da reperire sul mercato. Basta per capire che siamo e saremo in ritardo e che le cifre fatte girare nei tg della sera, servono per ora solo a dare l'impressione che sia in corso una grande mobilitazione? No? E allora diamo un'occhiata a quello che ci aspetta, ossia ai gazebo a forma di primula, geniale idea partorita gratis dall'architetto Stefano Boeri. Le tendopoli dovrebbero spuntare come fiori nelle vie cittadine, non si sa se in prossimità del centro o degli ospedali. Sta di fatto che per ora non è noto quanto costino questi benedetti gazebo, chi li produca e quando verranno consegnati. Ma soprattutto non si sa se la struttura sia adatta a somministrare farmaci da conservare a 80 gradi sottozero e se sia previsto un ambulatorio in grado di far fronte a eventuali reazioni allergiche dei pazienti. No, nulla è definito, nemmeno quando settantenni o ottantenni si dovranno sottoporre a vaccinazione. In altri Paesi, per esempio il Canada, è già tutto chiaro e, calendario alla mano, ogni cittadino sa in che giorno, a che ora e dove dovrà presentarsi per il vaccino. Da noi invece è tutto maledettamente oscuro, perché tutto affidato alle mani di Domenico Arcuri, commissario alle emergenze di cui è nota l'allergia alle domande. Nemmeno il virus gli dà così fastidio, ma se gli si chiede di fornire risposte precise, il manager dei disastri sembra colpito da shock anafilattico. Se il Mister Wolf di Pulp fiction i problemi li risolveva, il Mr Invitalia di Giuseppe Conte i problemi li complica. Dunque, aspettiamoci il peggio.