Alcuni migranti nei pressi del ponte delle Gianchette a Ventimiglia (Ansa)
Colpita rete mafiosa che impiegava i clandestini alle frontiere del Nord Italia: 44 arresti.
I misericordiosi francesi minacciano gli inumani italiani. Il governo vieta lo sbarco della Ocean Viking, arrivata a Tolone. Parigi moraleggia. Giorgia Meloni contrattacca: «Voi ci criticate, ma a Ventimiglia con i respingimenti fate di peggio». La premier è di buona memoria. Un’ottantina di migranti vengono respinti, ogni giorno, alla blindatissima frontiera con la Francia. Mostrando spesso una ruvidezza mai esibita dalle nostre forze dell’ordine.
Insomma quei maestrini non ci vanno troppo per il sottile. E i reiterati soprusi lascerebbero intendere metodo: dottrina macroniana, dunque. Non hanno messo fiori nei cannoni. Tutt’altro. Inverno 2018. Una donna incinta viene buttata giù dal treno prima di poter raggiungere il confine. Con metodi che adesso i redenti cugini transalpini di certo disapproverebbero. Beauty, giovane nigeriana richiedente asilo, allora è al settimo mese di gravidanza. Ma ha un tumore. Vuole raggiungere il fratello a Parigi, assieme al marito. La gendarmeria francese li riporta invece indietro, lasciandoli al pronto soccorso di Bardonecchia. Senza nemmeno avvertire la dottoressa di turno. I medici salvano miracolosamente il bambino. Nasce prematuro, a 29 settimane. La madre, però, non sopravvive al parto.
In Italia i «fragili» sbarcano immediatamente e vengono accuditi. Lo stesso riguardo non avrebbero mostrato gli illuminati transalpini. Che, anzi, non mancano di perseguire chi osa aiutare donne e minori in difficoltà. Come Benoit Ducos, un volontario già indagato per favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Ha rischiato fino a cinque anni di carcere per aver aiutato una famiglia di migranti al confine. Anche in questo caso, quella donna è incinta. Al nono mese, addirittura. Sta per partorire. Ducos carica in macchina tutti: lei, il marito, i figli di due e quattro anni. Sulla strada per l’ospedale di Briançon, l’auto però viene fermata dalla polizia. Nonostante le urla per le contrazioni, i controlli durano un’ora. Fino a quando la madre non è soccorsa dai pompieri. Segue taglio cesareo d’urgenza. Va peggio a un’altra ragazza nigeriana: Blessing. Mentre cerca di scappare dai soliti gendarmi che pattugliano il confine, cade nel fiume Durance. La ritrovano tre giorni dopo, morta, nella diga di Prelles.
Già, sono francesi. Ma non disdegnano quei modi ruvidi da poliziottesco americano. Un’altra volta, gli agenti della dogana francese fanno irruzione nel centro di accoglienza di Bardonecchia. Scortano un giovane maliano, prelevato da un treno. Intimano ai volontari di fargli usare il bagno. E costringono il migrante alle analisi delle urine. La procura di Torino, a marzo 2018, apre un’inchiesta. È il primo braccio di ferro sui migranti, tra Roma e Parigi. Con la Francia che tenta maldestramente di giustificarsi, citando un fantomatico accordo del 1990. E la Farnesina che convoca l’ambasciatore, smentendo Parigi: «Regole violate, rapporti a rischio». Cosa vi ricorda, a parti rovesciate?
Adesso il governo transalpino sentenzia e annuncia crisi diplomatiche. Eppure gli abusi alla frontiera, nel tempo, non si sono fermati. Tanto da convincere Oxfam, Diaconia Valdese e Asgi, che lavoravano a Ventimiglia per prestare soccorso ai migranti, a pubblicare un dossier dal titolo: «Se questa è Europa…». Sono le testimonianze di chi allora tenta di arrivare in Francia. «Mi hanno tenuto sei ore in uno stanzino. Ci lanciavano biscotti come se fossimo dei cani» racconta Alì. Spesso, denuncia ancora Oxfam, i ragazzi vengono maltrattati. Gli abusi sarebbero «sistematici». L’Ong britannica scrive: «La polizia francese ferma minori i non accompagnati e li mette su treni diretti in Italia, dopo averne alterato i documenti per farli apparire più grandi». E poi, «detenzioni in celle, privi di cibo, acqua e coperte». Le guardie di frontiera che tagliano addirittura la suola delle scarpe dei bambini. Gli tolgono le sim dei cellulari. Una giovanissima ragazza eritrea, riferiscono sempre i volontari, viene costretta a ritornare verso Ventimiglia: lungo una strada senza marciapiede, con in braccio il suo neonato di appena quaranta giorni.
Qualche mese dopo, a fine 2018, Oxfam segnala nuove violenze. Decine di persone trattenute nei container di metallo. Anche ventiquattro ore filate. Senza cibo, acqua, né cure. Il pavimento è bagnato, riferiscono i testimoni, così nessuno si può sedere o sdraiare. «La polizia francese sottrae i documenti. Colpiscono i minori. Spruzzano lo spray al peperoncino. E picchiano le persone senza pietà».
E poi ci sono quelle che Amnesty international definisce «violazioni sistematiche» dei diritti di rifugiati e migranti. I cosiddetti «sconfinamenti». Come quando il furgone della gendarmerie lascia due nordafricani a Claviere, in mezzo a un bosco. L’allora premier, Giuseppe Conte, commenta: «L’episodio lascia letteralmente sconcertati». Ma i maestrini dell’Eliseo hanno memoria corta. Ben più selettiva dei nostri sbarchi.