C’è in questa nazione una strana concezione della giustizia: bisogna rispettare i magistrati, le sentenze e gli inquirenti soltanto se non vengono a disturbare noi e i nostri interessi, e se mettono i bastoni fra le ruote agli avversari politici. Piuttosto emblematiche, a tale riguardo, le vicende che coinvolgono Luca Casarini e i suoi colleghi della Ong Mediterranea saving humans. Come noto, l’ex leader delle tute bianche è stato rinviato a giudizio a Ragusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con l’aggravante del profitto, assieme ad Alessandro Metz e Beppe Caccia, il comandante della nave Mare Jonio e tre membri dell’equipaggio.
Casarini si è sfogato con la stampa e le sue dichiarazioni sono state riportate ieri con grande risalto sulla prima pagina di Repubblica. «Per aver salvato vite ci hanno spiato con Paragon, contro di noi hanno costruito dossier, hanno sottoposto la nostra nave a continue ispezioni, adesso vogliono processarci. Non ci spaventano. E non ci fermiamo», ha detto Casarini. «Questo diventerà un processo all’omissione di soccorso. Ministri e autorità dovranno spiegare perché 27 persone sono state lasciate per 38 giorni in mezzo al mare. Noi le abbiamo solo salvate».
I fatti a cui si fa riferimento risalgono al 2020, quando la nave commerciale Maersk Etienne tenne a bordo per oltre un mese migranti che Malta non voleva accogliere sul suo territorio dopo averne ordinato il recupero in mare. Quei migranti furono poi trasbordati sulla Mare Jonio e condotti in Sicilia. Circa otto mesi dopo, la Maersk fece una donazione di 125.000 euro a Mediterranea, che fu accolta con giubilo dalla Ong (si parlò di stappare lo champagne, perché senza quei soldi gli attivisti avrebbero dovuto tornare a fare un altro lavoro). Gli inquirenti vogliono vederci chiaro e capire se la donazione fu semplice beneficenza o il pagamento per un servizio svolto.
Trovandosi al centro dell’azione giudiziaria, Casarini protesta con veemenza e i giornali amici gli offrono ampio supporto. Repubblica, nello specifico, rimarca che «così si colpiscono gli aiuti». Posizione legittima, per carità, ma un filo contraddittoria. Già è curiosa la leggerezza con cui si è sorvolato sulla storia delle intercettazioni. Quando è emerso che Casarini e altri erano stati spiati tramite il software della azienda israeliana Paragon, per settimane i principali commentatori e molti politici hanno insinuato che la responsabilità fosse del governo di destra fascistoide, e hanno gridato al regime. Poi si è scoperto che le prime autorizzazioni ai controlli sui membri della Ong Mediterranea risalivano al governo Conte, anno 2019. Casarini ha preteso le scuse del capo a 5 stelle, ma non si è certo scusato per gli attacchi al presunto regime destrorso. In ogni caso, la gran parte della stampa ha sepolto il caso per evitare imbarazzi.
Ora si riparte con la cagnara perché la Ong è stata rinviata a giudizio, e si lamentano ingerenze giudiziarie, si sostiene che indagini e processi sarebbero un danno per il soccorso in mare. Per prima cosa, occorre notare che si tratta di false affermazioni. Non è vero che si interrompono i soccorsi e i recuperi, la maggior parte dei quali è regolarmente garantita dalle autorità nazionali. Semplicemente, si cerca di fare luce su un passaggio di denaro a seguito di un trasbordo. In che modo tutto ciò fermi i flussi migratori in ingresso non è dato sapere.
Ma il nodo della questione è un altro. Non si capisce perché l’intervento della magistratura sia legittimo soltanto quando è volto a impedire la permanenza degli immigrati in Albania. Ogni volta che i giudici hanno bloccato o neutralizzato un trasferimento dall’altro lato dell’Adriatico, la sinistra italiana tutta si è data a festeggiamenti sbracati, ha invocato l’autonomia degli inquirenti e l’autorità delle toghe, ha deriso il governo che si era risentito per l’ingerenza politica.
Delle due l’una: o i magistrati sono sempre liberi, autonomi e autorevoli o non lo sono mai. Non è possibile che ci si sdegni se una inchiesta tocca una Ong e che invece si celebri come sacrosanta una decisione che ferma un atto politico dell’esecutivo. Anzi, a dire il vero è molto più facile sostenere che abbia connotazioni ideologiche l’accanimento delle toghe sulla vicenda albanese: lì non si tratta di scambi di soldi fra privati che traghettano stranieri irregolari, ma di un preciso orientamento politico di un governo regolarmente eletto. Il quale dovrebbe essere libero di prendere le decisioni - condivisibili o meno - che gli competono. In ogni caso, anche se si ritenesse corretto e ineccepibile l’operato della magistratura riguardo ai trasferimenti in Albania, - anzi, a maggior ragione se lo si ritiene giusto - è comunque contraddittoria e ingiustificabile l’indignazione per il processo a Mare Jonio. Non che vi sia da stupirsi, purtroppo. Da queste parti la contraddizione regna sovrana, e l’ipocrisia l’accompagna a corta distanza. I giudici e poi in generale le autorità sono giudicati buoni e santi soltanto quando si esprimono a favore di una precisa agenda, se stabiliscono che i migranti debbono restare in Italia o che i bambini possano avere due madri. In tutti gli altri casi subito affiora il sospetto politico, si suggerisce la malafede o la compromissione con il potere fascistoide, si contesta e ci si sgola. Triste e banale: la giustizia è giusta solo quando dà ragione ai sedicenti buoni.