Quando ieri pomeriggio il Guardian rivela che Chelsea e Manchester City starebbero riflettendo sull'adesione alla Superlega targata Florentino Perez, l'incubo dei fondatori della nuova competizione europea si materializza. Dopo il "no grazie" di Bayern Monaco, Borussia e Psg, ovvero dopo che Germania e Francia si sono tirate fuori dalla Superlega, è evidente che basterebbe una sola rinuncia tra le 12 squadre aderenti al progetto per far crollare tutto il castello. E' il primo smottamento di quella che diventerà una frana: durante la notte non solo Chelsea e City, ma anche Arsenal, Manchester United, Liverpool e Tottenham si chiamano fuori. Li seguiranno Barcellona, Atletico Madrid e Inter. La Superlega crolla come un castello di sabbia, il progetto è fallito. Resiste, asserragliato nel suo fortino, Florentino Perez, patron del Real Madrid e capo di questo fallito golpe sportivo ai danni dell'Uefa. Resiste il suo braccio destro, Andrea Agnelli, che vede materializzarsi, durante la più triste delle sue notti da numero uno juventino, l'incubo del fallimento. Sarà l'ultimo a mollare, Agnelli, alle 11 di questa mattina: «ll progetto della Superlega non esiste più», dice il presidente della Juve, alla France presse. Il golpe è fallito, la giornata di ieri resterà nella storia del calcio mondiale.
Il castello di sabbia di Perez, Agnelli e degli altri 10 scissionisti traballa già nel pomeriggio, quando si comprende che la minaccia dell'Uefa di escludere dalla Champions e dall'Europa League i 12 scissionisti è tutt'altro che un bluff, così come quella di tenere i calciatori tesserati con queste società fuori dalle nazionali. Si diffonde la voce che venerdì il Comitato straordinario deciderà se escludere immediatamente dalle semifinali delle due competizioni i club che hanno aderito alla Superlega: rischiano quindi anche Manchester United, semifinalista di El contro la Roma, e Arsenal, che dovrebbe vedersela con il Villarreal. Quando la situazione si incanala verso il naufragio della Superlega, l'Uefa fa sapere che il Comitato discuterà solo delle sedi degli europei. La sensazione è che i vertici del calcio europeo abbiano dato qualche ora di tempo agli scissionisti per ripensarci e tornare sui propri passi. L'esclusione dalle semifinali di Champions e Europa League sarebbe uno smacco clamoroso, che solo il Real sembra prendere a cuor leggero, e del resto è comprensibile: Florentino Perez è il sovrano di questa nuova competizione che dovrebbe soppiantare proprio quelle organizzate dall'Uefa.
"I calciatori stiano tranquilli", dice Perez su El Chiringuito tv, "il divieto di giocare con le nazionali non ci sarà, nè il Real, né il City verranno esclusi dalla Champions o dal campionato, non ci sono le basi legali per farlo. Vogliamo partire il prima possibile", aggiunge Perez,"ma non ci sarà nessuno strappo. Noi cerchiamo il dialogo e a quello lavoreremo. Se si può, si parte, altrimenti aspettiamo un anno. E magari non troveremo un accordo e non si farà. Ma io spero di si, perché altrimenti moriremo tutti". Le parole di Florentino somigliano tanto, ma tanto, a una retromarcia. L'Uefa percepisce la difficoltà e affonda i colpi: "Le 55 federazioni membri e partecipanti al Congresso Uefa", recita la dichiarazione votata all'unanimità ieri al termine dei lavori a Montreaux, in Svizzera, "condannano la dichiarazione di una cosiddetta Superlega. Proteggeremo il calcio da un clan egoista a cui non importa nulla del gioco. Siamo il calcio europeo, loro no". Tornando alle sanzioni, l'esclusione dalla Champions e dall'Europa League dei 12 scissionisti, secondo la maggior parte delle decine di esperti di diritto sportivo intervistati in queste ore, è possibile., ma c'è chi la pensa diversamente: "I club sono soggetti alle federazioni nazionali", dice a Fanpage.it l'avvocato Federico Venturi Ferriolo, esperto di diritto sportivo, "e alle leghe di cui fanno parte.
Alla Uefa partecipano le federazioni, non i club. Ecco perché saranno eventualmente le federazioni a decidere quali club possano partecipare a Champions ed Europa League", aggiunge il legale, "a seconda degli slot indicati dalla Uefa". Se così fosse, la patata bollente dell'esclusione dalle coppe europee, oltre che dai campionati nazionali, dei club ribelli, passerebbe nelle mani di Figc e Lega, ovvero di Gabriele Gravina e Paolo Dal Pino. Lo stesso Gravina, presidente della Figc, ieri è stato eletto nel comitato esecutivo dell'Uefa, risultando il più votato con 53 preferenze su 55. "Un fulmine a ciel sereno", commenta Gravina a proposito della Superlega, "anche se qualche avvisaglia si percepiva, e devo anche ringraziare tutti coloro che stanno costruendo un muro invalicabile, da parte della politica ma soprattutto di chi ama davvero i valori del calcio". Un altro segnale importante, come quello che arriva dal tribunale di Madrid che ha adottato misure precauzionali per impedire qualsiasi iniziativa che impedisca il lancio della Superlega. Il tribunale ha vietato alla Fifa, alla Uefa e a tutte le federazioni o leghe associate di adottare qualsiasi sanzione o misura disciplinare nei confronti delle società partecipanti, dei loro giocatori e dirigenti.
La Reuters intanto rivela alcuni documenti riservati relativi alla organizzazione della Superlega. Il progetto prevede ricavi per più di 4 miliardi di euro a stagione dalla trasmissione globale e dai diritti di sponsorizzazione: i 15 "club fondatori" si dividerebbero il 32,5% della torta, mentre un ulteriore 32,5% sarebbe distribuito tra tutte le 20 squadre partecipanti, comprese le cinque squadre invitate ogni anno; il 20% verrebbe assegnato per merito o dipenderebbe dalle prestazioni nella competizione, e il 15% finale verrebbe ripartito in base alle dimensioni dell'audience di trasmissione. I club della Superlega si sarebbero impegnati a utilizzare solo il 55% delle loro entrate in "spese sportive", come gli stipendi dei giocatori, i trasferimenti e le commissioni degli agenti. "I giovani trovano le attuali partite troppo lunghe. Va ripensato il sistema, e magari vanno accorciate", azzarda Florentino Perez, patron del Real, capo della Superlega, autonominatosi imperatore del pallone. Imperatore per una notte.
«Il modello Uber bucherà il pallone»
<div class="GN4_subheadline"><br></div><div class="GN4_body"><p>«Le risposte a questa storia si trovano sul conto economico e nello stato patrimoniale». Riccardo Ruggeri osserva l'orizzonte della Superlega e individua al volo la fauna di una foresta conosciuta, popolata di lupi, volpi, plantigradi e nessun agnello sacrificale tranne i tifosi. L'ex top manager, economista, editore, editorialista e blogger (il sito <em>Zafferano</em> è un punto di riferimento per migliaia di lettori) coglie dietro l'operazione il profilo cinico di quel Ceo capitalism che ieri ha frequentato e oggi combatte. E che rischia di sgonfiare definitivamente il pallone.
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<strong>Riccardo Ruggeri, da tifoso del Torino come ha preso la notizia?</strong>
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«Da un punto di vista etico molto male, noi vecchi tifosi siamo meglio di come appariamo. La Superlega è un'iniziativa sgradevole, sbagliata, forse inevitabile. Non sono sorpreso perché ho un vantaggio: da 15 anni studio il Ceo capitalism e avendo vissuto in quel mondo sono attrezzato per valutare gli eventi».
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<strong>La Superlega è arrivata come un vaso di fiori in testa.</strong>
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«La decisione era nell'aria, sponsorizzata da Real e Juve, che hanno i conti messi peggio. Come ha detto Perez, se non lo facevano fra due anni sarebbero falliti. In realtà, tecnicamente lo sono già. Ho letto molti commenti, stanno facendo tutti filosofia, ma lo strappo è solo una questione di soldi. Quei 12 club sono pieni di debiti, colpa di presidenti vanitosi e di manager inetti».
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<strong>Da dove derivano le voragini di bilancio?</strong>
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«I club non hanno capito che il mondo stava cambiando. Invece di aumentare i fatturati bisognava abbattere i costi. Oggi la medicina amara vale per i ristoratori in crisi: quei volumi non torneranno più. Il mondo post Covid è già nato, molti diventeranno più poveri, altri immensamente più ricchi. Alcune generazioni saranno spazzate via e finiranno sui “divani di cittadinanza"».
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<strong>Che posto avranno le grandi squadre indebitate? </strong>
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«Prima regola del mercato, chi va male fallisce e l'Atalanta o l'Udinese dovrebbero aprire un ciclo vincente. La logica direbbe questo, la Juve ha vinto tutto in Italia per nove anni senza mai chiedersi il perché. Le distanze con gli altri, anche per le spese, non erano mai state così grandi».
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<strong>I tifosi vogliono i campioni, sennò niente abbonamento.</strong>
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«Non vale per tutti. I tifosi del Toro come me non pretendono, conoscono orizzonti e limiti. Sognano Valentino Mazzola e Paolino Pulici, ma nessuno critica Urbano Cairo. A meno che non ci porti in B».
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<strong>Da dove arriva l'idea della Superlega?</strong>
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«Secondo me a inventarla sono stati i consulenti di business. Con la solita parola d'ordine: aumentare i fatturati portando via pubblicità e sponsor agli altri. È ciò che hanno fatto i big tech della Silicon Valley con tante imprese, comprese quelle editoriali. Hanno fagocitato tutto, è rimasta l'azienda di nicchia. È un eterno ritorno dell'uguale, siamo sempre a Nietzsche».
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<strong>Florentino Perez e Andrea Agnelli dicono che le regole saranno nuove.</strong>
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«Le regole del Ceo capitalism non sono mai nuove, sono solo diverse. I 12 vogliono applicare il modello Uber e usano le parole liberalismo, modernità, per far passare una deregulation totale. Nei Paesi civili per guidare un taxi devi avere la licenza, rispettare i controlli, le visite mediche. È l'istituzione a fare da autorità regolatrice. Loro non amano i regolatori».
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<strong>Nei film dicono: è il mercato bellezza.</strong>
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«Il Ceo capitalism chiama mercato il luogo in cui vuole piantare la bandiera non della competizione regolata, ma dell'oligopolio. Escludere gli altri dalla possibilità di raggiungere o solo sognare un traguardo è un controsenso nella vita come nello sport».
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<strong>Le big sono cadute nella trappola dei procuratori.</strong>
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«Anche. Incassano percentuali mostruose. Prenda il Milan con Gianluigi Donnarumma: se rinnova guadagna 60 milioni netti in cinque anni. Un portiere. Nessun business sta in piedi su queste basi; 60 milioni non si darebbero neppure a un nuovo Sergio Marchionne».
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<strong>Torniamo al cliente più strano di tutti, il tifoso.</strong>
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«Il cliente è cambiato all'insaputa dei manager. Gli unici disponibili a guardare 90 minuti di partita in tv con emozione sono i tifosi dai 50 anni in su. I millennials si affezionano ai top player più che alle squadre e vogliono vedere gli highlights, praticamente il vecchio <em>90º Minuto</em>. Rompere tutto non serve, bisogna cambiare il modello di business».
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<strong>Quale sarà la prossima mossa? </strong>
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«Espellere i big scissionisti. Hanno voluto la bicicletta, pedalino ma ci lascino in pace. Noi vogliamo tornare a un certo calcio. Temo però che i 12 troveranno un compromesso, l'Uefa cambierà la redistribuzione dei proventi e sarà più favorevole a loro, ma senza una profonda ristrutturazione non si salveranno».
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<strong>Senza Juventus, Inter e Milan la Serie A non vale gli 840 milioni di diritti tv.</strong>
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«Vero, infatti per escludere gli squadroni bisogna avere una strategia che comprenda un riposizionamento economico di tutto il sistema. La verità è che la Serie A quei soldi non li vale neanche con le tre grandi».
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<strong>Che fine ha fatto il valore sociale del pallone? </strong>
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«Anche questo è l'esito di una mutazione avvenuta per mano del Ceo capitalism. Vent'anni fa è stato messo al centro di tutto il consumatore e ai margini l'uomo con i suoi valori e la sua umanità. Queste sono le conseguenze».
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<strong>Però 3,5 miliardi da dividere sono un bel gruzzolo per ripartire.</strong>
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«A me pare un finanziamento per il capitale di funzionamento. Un brutto segno, poi saremo daccapo. Quando Jp Morgan ti apre una linea di credito di questa portata significa che stai guardando l'abisso».
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