Mentre Milano vive un momento storico di massima incertezza - tra allarme sicurezza, urbanistica bloccata da mesi, decine di inchieste della magistratura, quartieri in rivolta per le speculazioni edilizie, ritardi sulle opere per le Olimpiadi e incertezza sul nuovo San Siro – il sindaco ha concesso un’intervista fiume al Foglio dove si parla di tutto tranne che dei problemi della città. «Ogni ofelè fa el so mestè», recita un vecchio proverbio milanese per indicare che ognuno dovrebbe svolgere il ruolo che gli compete. E invece il primo cittadino dedica la maggior parte della chiacchierata alla politica interna, a Elly Schlein («Emergerà una figura diversa? Vedremo) e a fumose proposte per il centrosinistra, a quella estera con digressioni sul presidente Usa Donald Trump, sulla magistratura italiana e persino su Elon Musk. «Il controllo stile Grande Fratello, il controllo digitale e il modo in cui usa la forza dei sistemi digitali per impattare sul nostro mondo. Posso dirlo? Mi fa paura. Mi fa paura mettere un potere enorme nelle mani di poche persone» spiega il primo cittadino di una città che, oltre ad aver già digitalizzato le multe, è, secondo il Rapporto Nazionale sull’attività della Polizia Locale del 2024, quella con più telecamere di sorveglianza in Italia (2.272), usate anche per gli accessi in Area C e Area B. Sala parla anche della crisi urbanistica. «Mi piacerebbe essere ottimista sul “Salva Milano”, ma non posso non dubitare che una politica che discute per quattordici mesi su un possibile decreto abbia davvero a cuore il primato della politica», dice il sindaco al direttore del Foglio. Peccato che nessuno faccia presente nell’intervista quanto detto la scorsa settimana dall’assessore alla Rigenerazione Urbana Giancarlo Tancredi, che parlando del Piano di Governo del Territorio nell’ambito del convegno «Un Pgt per il nuovo progetto Milano» organizzato dal Pd alla Camera del Lavoro, ha mosso un’autocritica alla sua stessa giunta per il caos sull’urbanistica. «Forse c’è stata un po’ di leggerezza, ma è sempre sull’esperienza che si costruiscono scenari futuri», ha detto Tancredi ribadendo che la cosiddetta flessibilità progettuale adottata dall’amministrazione Sala, evitando regole troppo rigide per progetti e costruttori, concedendo tramite la Scia e non con i «piani attuativi», il permesso di costruire. «I risultati sono stati in parte positivi, ma anche abbastanza deludenti», ha ammesso l’assessore. D’alta parte, secondo le indagini della procura i costruttori hanno così privilegiato la logica del profitto invece che quella di una visione urbanistica più equilibrata nei confronti dei cittadini. Non a caso in diverse zone di Milano si protesta contro le nuove costruzioni, con comitati che ormai fanno la spola in procura per denunciare palazzoni e grattacieli: da ultimi si sono mossi gli abitanti di piazzale Libia. Eppure Sala non la pensa così. Anzi sprona governo e parlamento a insistere sul Salva Milano. «[...] perché trovo assurdo che non si capisca che riconoscere la corretta interpretazione delle norme fatte in questi anni dal comune di Milano, incoraggiando il comune a non smantellare un modello di efficienza amministrativa che ha permesso di attirare investitori nel nostro Paese, non è un tema che riguarda la nostra città: è un tema che riguarda l’Italia». Non solo. Il sindaco ribadisce che «il comune, a causa di questi contenziosi, ha già registrato una riduzione di 160 milioni negli oneri di urbanizzazione», dimenticando che palazzo Marino per 13 anni non ha aggiornato gli oneri di urbanizzazione, creando un potenziale buco da 1 miliardo di euro (considerando anche il via libera da parte del Comune a progetti con la semplice Scia). Non solo. Secondo Sala a Milano «non c’è disoccupazione, anzi c’è un’offerta di lavoro che supera la domanda. Non è un’opinione, è così: si fa fatica a trovare persone che sono disponibili a certi lavori». Eppure, i dati dicono che il capoluogo lombardo, che si trova ai primi posti della media italiana, ha comunque meno persone occupate rispetto alla media europea. Per Sala il tema disoccupazione si lega a quello dell’immigrazione perchè «una serie di lavori li fanno quasi esclusivamente i non italiani». E qui scatta il tema di una sensazione di «insicurezza nella città» sostiene Sala. Solo una sensazione?
Bocciatura immediata. Con l’ipotesi di attivazione dell’Area C a pagamento anche nei week end, il sindaco di Milano Beppe Sala rimedia un sonoro no dalla Confcommercio meneghina. Dopo lo stop al progetto voluto dal ministero dei Trasporti, il primo cittadino ha rilanciato la misura per aiutare a rimpinguare le casse comunali: pagamento del ticket anche sabato e domenica per entrare in auto nella cerchia dei bastioni. Ma c’è altro. L’amministrazione sta infatti pensando pure a una tariffa per il parcheggio proporzionata alle dimensioni e al peso delle vetture, con i Suv, elettrici e non, che chiaramente pagheranno di più la sosta. Idee che Sala scopiazza da Parigi e che rendono Milano la città italiana con più restrizioni alla circolazione delle auto, con due zone a traffico limitato: l’Area B, che comprende quasi tutto il Comune, non a pagamento ma che impone divieti di circolazione per le auto più datate, e l’Area C, in centro, che prevede il pagamento di 7,5 euro al giorno finora dal lunedì al venerdì.
Idee però che non piacciono tanto ai milanesi a cominciare dai commercianti della Ztl come dimostrano i risultati del sondaggio flash (aperto mercoledì e chiuso ieri mattina) di Confcommercio, guidata a livello nazionale da Carlo Sangalli, a cui hanno risposto in prevalenza gli addetti ai lavori di: servizi e professioni (62,7%), commercio al dettaglio (17,9%), turismo e ristorazione (12,4%), commercio all’ingrosso (7,1%). Il 57% delle imprese commerciali che hanno bocciato Sala ha fino a tre addetti. Su 549 imprese che hanno risposto, quasi il 90% si è schierato contro l’Area C a pagamento anche il sabato e la domenica. Nella domanda era indicata la motivazione espressa per giustificare il provvedimento: non fare cassa, ma mettere ordine al bilancio comunale. Dal sondaggio è emerso che il 77% degli imprenditori reputa il progetto un danno alle attività commerciali, il 65% ha detto che causerebbe una perdita di attrattività per il centro città, mentre il 62% ha affermato che la misura potrebbe portare a un peggioramento del traffico nelle zone esterne all’Area C. Solo il 19% ritiene rilevante l’opzione della diminuzione del traffico e del miglioramento della vivibilità di Milano.
Sul tema della mobilità nel sondaggio c’era una domanda più strategica: il ripensamento con maggiori divieti, vincoli ambientali e incremento delle tariffe in vista delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026. Un deciso no dall’88,9% delle imprese (favorevole solo l’11,1%). Pessimi risultati anche sull’ipotesi del sovrapprezzo alla sosta dei Suv: il 75% delle imprese commerciali si schiera contro (sì solo dal 24,7%). Secondo Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza, «i numeri espressi dal sondaggio in così poco tempo credo siano molto significativi. Far pagare l’Area C nel weekend è sbagliato perché penalizza le imprese, colpisce i cittadini e incide negativamente sull’attrattività di Milano. Bene fa il Comune a puntare sul trasporto pubblico, ma fare cassa indistintamente non è certo la strategia giusta». Per Simonpaolo Buongiardino, presidente di Assomobilità, «l’indagine ha confermato quanto da tempo andiamo dicendo rispetto alla contrarietà del sistema imprenditoriale milanese su questo inasprimento di Area C che danneggerà le nostre attività e penalizzerà gli utenti».
Contrari anche gli esponenti del centrodestra a cominciare dal deputato milanese della Lega Luca Toccalini: «L’ennesima vessazione per i cittadini che penalizza le attività commerciali. Senza contare che, dopo Area B, questa soluzione non porterà alcun miglioramento all’ambiente. Decisioni che non tengono conto delle vere esigenze dei milanesi». «Una misura ingiusta, iniqua, ipocrita con cui l’amministrazione vorrebbe solo far cassa mettendo le mani in tasca ai nostri cittadini» incalza Fabrizio Cecchetti, coordinatore regionale lombardo del Carroccio.
Il sindaco di Milano, Beppe Sala, lancia il suo affondo contro il governo dopo l’aggressione al vice ispettore Christian Di Martino: «Se c’è un provvedimento di espulsione il dovere è eseguirlo. Qui è chiaro di chi è la responsabilità. Quindi anche il nostro governo, visto che qualche esponente dei partiti di maggioranza butta la croce addosso a Milano e a me, faccia un esame di coscienza e si chieda perché non fa il suo dovere». Per il sindaco le responsabilità vanno oltre la sua competenza: «È un problema di sicurezza, però vediamo i particolari. Questa persona che aveva ricevuto un provvedimento di espulsione da tempo firmato dal prefetto di Avellino era ancora in Italia. Ci deve essere certezza della pena e chi sbaglia deve pagare. Altrimenti sono sempre le città e i cittadini a pagarne le conseguenze e non va bene». Eppure, neanche 20 giorni fa, il questore Giuseppe Petronzi era stato molto chiaro sulla situazione del capoluogo lombardo: «Dall’analisi di centinaia di interventi delle pattuglie in strada, nelle notti milanesi, emerge un quadro preoccupante. Ci sono troppi casi di aggressioni con coltelli per strada. Molti giovani girano con la lama in tasca. È un fenomeno già esploso a Londra, i numeri non sono gli stessi, ma siamo preoccupati».
Per il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, «È l’ennesimo, grave e inaccettabile episodio a Milano per il quale a pagare sono le nostre forze dell’ordine impegnate ogni giorno a garantire la sicurezza dei cittadini. La mia vicinanza alla famiglia e ai colleghi della polizia di Stato». Attacca Sala anche Riccardo De Corato, deputato di Fratelli d’Italia e membro della commissione d’inchiesta alla Camera sulla sicurezza e sul degrado delle periferie in Italia: «Le stazioni milanesi da anni sono prese di mira da balordi che commettono furti, rapine e aggressioni. Cosa aspetta Sala, in queste zone, a schierare anche gli agenti di polizia locale? Che ci scappi il morto?».
«La tragedia accaduta questa notte a Milano, era annunciata. Da diversi anni Milano è la prima città in Italia, a livello percentuale, per crimini commessi e denunciati», ha dichiarato in una nota Fabrizio Cecchetti, coordinatore della Lega Lombarda. «La pessima giunta comunale guidata dal sindaco Sala», che «proseguendo il pessimo precedente lavoro della giunta Pisapia, ha sempre preferito il lassismo alla legalità, preferisce chiudere anticipatamente i locali, penalizzando gli esercenti, e si utilizza la polizia municipale solo per fare multe agli automobilisti piuttosto che per controllare le aree calde».
«Preghiamo perché giungano al più presto migliori notizie e vogliamo manifestare tutta la nostra vicinanza ai suoi familiari. Sono quei momenti drammatici in cui si può cadere da un momento all’altro facendo questo difficilissimo lavoro che, purtroppo, non tutti conoscono e comprendono fino in fondo»: così Valter Mazzetti, segretario generale Fsp Polizia di Stato. «Seguo con apprensione tutti gli sviluppi riguardanti l’aggressione avvenuta a Milano. All’agente ferito (che, nel corso della giornata, ha ricevuto la visita del capo della polizia, Vittorio Pisani, e del ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, ndr), alla sua famiglia e ai colleghi della Polizia di Stato tutta la mia vicinanza», ha scritto su X il premier Giorgia Meloni. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è informato dal ministro Matteo Piantedosi (che segue da vicino la vicenda, ndr) sulle condizioni di salute del vice ispettore Di Martino, «e ha pregato il ministro dell’Interno di far pervenire all’agente ferito e alla polizia di Stato la sua solidarietà», si legge in una nota del Quirinale. Solidarietà è arrivata dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, come pure sui social da colleghi e gente comune mentre piuttosto silente è rimasta l’opposizione a parte il leader del M5s, Giuseppe Conte, che ha twittato: «Sono rimasto particolarmente scosso dalla notizia dell’agente di polizia accoltellato alla stazione di Lambrate. Il mio pensiero e quello del M5s vanno a lui, che lotta tuttora per la vita in ospedale, ai suoi cari e ai suoi colleghi della polizia di Stato». Silenzio tombale, invece, dalle parti del Pd: il segretario Elly Schlein non ha dedicato nemmeno una parola all’accaduto.
Il sindaco Beppe Sala si attacca al ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, per non perdere gli operatori immobiliari su Milano e soprattutto per non pregiudicare la sua carriera politica.
Travolto dalle inchieste sull’urbanistica, il primo cittadino milanese non può far altro che sperare in un provvedimento che condoni la situazione di stallo in cui versa il capoluogo lombardo. Paradosso vuole che sia quindi proprio il segretario della Lega, da sempre bistrattato dal centrosinistra, l’unico che potrebbe rimettere in sesto una situazione sempre più complicata per l’amministrazione comunale. A quanto risulta alla Verità, Salvini ci starebbe lavorando da tempo. Dovrebbe chiamarsi norma salva-Milano e sarà inserita nel decreto Salva casa che sarà approvato in Consiglio dei ministri entro la fine di maggio. In questo modo saranno sanate tutte le pratiche del passato, mentre sul futuro servirà un intervento normativo. Del resto, dopo la nona inchiesta su un grattacielo che avrebbe dovuto sorgere dentro un cortile nel quartiere Isola (anche qui autorizzato come semplice ristrutturazione tramite Scia invece che come costruzione), la possibilità è che la maggior parte dei progetti immobiliari vengano bloccati. Si parla di quasi 200 opere finite nel mirino della magistratura, tra dirigenti, tecnici comunali e imprenditori finiti sotto indagini. Se non è una nuova Tangentopoli, poco ci manca.
Del resto, il gip Mattia Fiorentini è stato molto chiaro nel dispositivo di sequestro dell’area di via Lepontina. Ha parlato «di violazione dell’abc dei principi costituzionali» e sottolineato che siamo in presenza di un «sistema urbanistico e di titoli edilizi semplificati e in deroga ai principi fondamentali della materia».
Per di più, nel dispositivo si parla espressamente di come «la commissione per il Paesaggio» non garantisce «indipendenza e trasparenza, in quanto composta da professionisti architetti nominati personalmente dal sindaco che esercitano la libera professione a Milano e per cui ricevono parcelle da quegli stessi operatori privati i cui progetti vengono sottoposti alla valutazione della Commissione». Da Sala, però, non arriva al momento alcuna autocritica. «Gli operatori immobiliari in parte stanno già decidendo che non si riesce a investire a Milano. Questa non vuole essere un’accusa ma una constatazione e lo stiamo già vedendo dagli oneri di urbanizzazione che stanno scendendo moltissimo», ha detto ieri Sala commentando le ultime notizie. «La situazione è complessa ed è inutile negarlo. Non stiamo parlando in questi anni di un’applicazione superficiale delle regole da parte nostra e degli uffici, ma di qualcosa che noi abbiamo voluto, cioè di estrema consapevolezza. Non stiamo parlando di interessi personali da parte di nessuno. Stiamo parlando di una interpretazione di quello che sono le regole: io continuo a essere convinto che noi abbiamo fatto quello che ritenevamo giusto».
E a chi gli chiedeva se il decreto che aveva annunciato il ministro Matteo Salvini potrebbe essere una soluzione, Sala ha spiegato che «non si capisce quando questo potrà avvenire. È chiaro che sarebbe auspicabile che sia qualcosa che nasce da una riflessione generale, in cui anche la procura possa essere coinvolta». Il sindaco di Milano non crede «che colpi di mano possano essere utili, ma una soluzione va trovata», però allo stesso tempo dice di guardare con interesse a quello che sta facendo il governo». Anche perché è l’unica speranza per salvarsi.
Beppe Sala ha tutto il diritto di dubitare che Milano, la città di cui è sindaco da sette anni, sia una delle più inquinate del mondo, terza dopo Lahore (Pakistan) e Dacca (Bangladesh). Gli autori della ricerca da cui è scaturita la notizia non appartengono a un’istituzione pubblica, riconosciuta a livello mondiale, ma lavorano per un’azienda che produce purificatori d’aria. Per di più, lo studio non è fatto su tutte le città del pianeta, ma su un numero ridotto. E non meno trascurabile è il fatto che i criteri su cui sono analizzate le rilevazioni della qualità dell’aria sono parziali e non sempre sono note le modalità di registrazione. Sala dunque ha buon gioco a mettere in discussione le conclusioni e anche a lasciare intravedere il sospetto di un conflitto di interessi fra chi ha realizzato l’analisi e chi vende purificatori d’aria in un Paese molto vicino a Milano.
Tuttavia, ciò che il sindaco del capoluogo lombardo non può fare è definire farlocche le altre ricerche in cui si dimostra che la capitale economica del Paese, se non è la metropoli più inquinata del mondo, è comunque in vetta alla classifica delle città italiane in cui si soffoca per troppo smog. Non lo dice una società che vende purificatori d’ambiente, lo mette nero su bianco Legambiente, che è una costola di quel partito dei Verdi a cui Sala qualche tempo fa annunciò di volersi iscrivere. E che cosa scrive l’associazione ambientalista che dovrebbe essere cara al sindaco? Che nel 2022 Milano è stata la seconda città italiana, dopo Torino, per sforamento delle soglie di Pm 10, quasi triplicando i parametri tollerati. Per quanto riguarda il Pm 2.5, altro pericoloso inquinante atmosferico, il capoluogo lombardo insidia il primato di Monza, doppiando di nuovo il valore di legge. Se si parla di biossido di azoto, Milano invece taglia il traguardo della città più inquinata, con quasi il doppio delle emissioni fissate dalla normativa introdotta di recente. Secondo Legambiente, visto il trend, per adeguarsi ai parametri una metropoli come la capitale economica d’Italia potrebbe impiegare 17 anni.
Insomma, Sala non ha motivo di assolversi parlando dei conflitti d’interessi che si possono nascondere dietro alla ricerca che accusa Milano di essere al pari di Lahore e Dacca e addirittura più inquinata di Wuhan o di Shangai. Perché alla fine è vero: la città lombarda soffoca tra polveri sottili e biossido di azoto e i suoi cittadini si ammalano. Ma se riconoscesse questo, il sindaco rossoverde (la sua giunta è più rossa che verde, forse per questo lui si definisce in quota ecologista) dovrebbe anche ammettere il fallimento di tutte le politiche perseguite dalla sua amministrazione e da quella precedente di Giuliano Pisapia. Quest’ultimo impose l’area C promettendo una riduzione pari al 20 per cento delle emissioni inquinanti e del 35 per cento del traffico in centro. Né l’uno né l’altro obiettivo sono stati raggiunti e quando Sala ha imposto l’area B, per ridurre le vetture in ingresso nella città, ha bissato l’insuccesso.
Nella sua personale guerra all’auto (riduzione delle corsie, introduzione di strade a 30 all’ora), come nemico pubblico numero uno della qualità dell’aria, il sindaco dovrebbe riconoscere di aver sbagliato tutto. Infatti, come dimostra ogni studio che non sia condizionato da conflitti d’interessi, il fulcro della questione inquinamento non sono le auto, ma gli impianti di riscaldamento, soprattutto quelli di grandi enti e grandi aziende, ma anche di tanti condomini. Sistemi vecchi e poco efficienti, che però per difficoltà nelle verifiche o semplicemente per calcolo e convenienza non si mettono fuori legge. Più facile impedire la circolazione dell’automobilista che all’età avanzata unisce una vettura di pari o quasi stagionalità.
Sala, accusando chi fa ricerca di avere un conflitto d’interessi, poi dimentica che tutto il Green deal è un enorme conflitto d’interessi. Non gli sembra strano che il Paese che produce più vetture elettriche sia anche quello che insieme all’India inquina maggiormente? Pensa che Pechino stia fabbricando vetture a batteria perché vuole salvare il mondo? No, lo fa perché vuole conquistare, anzi direi colonizzare, l’industria automobilistica europea, non a caso la Volkswagen sta trasferendo la produzione di auto elettriche in Cina e quando queste avranno soppiantato quelle a motore termico, a Wolfsburg resterà forse il quartier generale del primo produttore del mondo, ma niente più. Non si domanda perché a Mirafiori produrranno vetture elettriche cinesi a basso costo? Perché il Green deal è una straordinaria opera di sostituzione produttiva. Manodopera europea, ad alto costo, in cambio di manodopera cinese o indiana a basso costo. È un incredibile trasferimento di ricchezza da un continente all’altro. Succede per l’auto e succede per le pale eoliche o i pannelli solari che sostituiranno le caldaiette a metano. Invece di arricchire un gruppo italiano o tedesco ne arricchiremo uno nel Far East, senza peraltro risolvere il problema dell’inquinamento, perché poi ci saranno da smaltire i pannelli e le batterie esauste, senza considerare i danni all’ambiente per l’estrazione delle terre rare necessarie a far funzionare tutto ciò che di elettronico ci serve per mantenere il sistema. Il Green deal in sostanza è una grande fregatura, dietro a cui si nascondono una miriade di conflitti d’interessi. Ma Sala questo non lo ammetterà mai, perché è un verde duro e puro. Con un cuore rosso e un portafogli nero. Per capirlo, bisogna guardare dentro.






