Youtrend, società di rilevazioni delle tendenze politiche assai vicina alla sinistra, ha messo a confronto i due schieramentinelle Regioni andate al voto e il risultato è che Fdi, Lega e Forza Italia stanno al 46,8%, mentre l’opposizione sta al 49,7%. Dunque, i progressisti sono avanti e potrebbero vincere al prossimo giro? Non proprio, perché le sei Regioni in cui si sono svolte le elezioni non rappresentano tutta l’Italia, ma solo una parte di essa, quella più spostata a sinistra. Tuttavia, per capire come è andata domenica e lunedì scorsi basta guardare cosa presero le due coalizioni alle ultime politiche. Il centrodestra aveva il 42,7%, il centrosinistra il 51,4%. In pratica, se tre anni fa il centrosinistra era avanti di 8,7 punti nelle sei Regioni, oggi il vantaggio si è ridotto al 2,9%. Altro che vittoria. Macché fine della luna di miele tra centrodestra e italiani. Ma a prescindere da numeri, flussi elettorali e formule politiche, nel 2025 sono andati alle urne gli abitanti di sei Regioni. Tre di queste erano guidate dal Pd, mentre le altre tre erano governate da un leghista, da un esponente di Fratelli d’Italia e da uno di Forza Italia. Alla fine, tre sono rimaste a sinistra, tre sono restate a destra. A un certo punto, con Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, Schlein aveva pensato di poter riconquistare le Marche, battendo il pupillo di Meloni. Ma nonostante i sondaggi tarocchi fatti circolare alla vigilia del voto nella speranza di influenzare il risultato, in Regione è stato confermato Francesco Acquaroli. In Veneto, prima c’era un leghista di lungo corso come Luca Zaia e ora c’è un giovane leghista come Alberto Stefani. E in Calabria Roberto Occhiuto di Forza Italia è succeduto a Roberto Occhiuto. Insomma, in conclusione pari e patta: tre a tre, come prima. E però un cambiamento si registra in una delle tre Regioni governate dalla sinistra: in Campania, dove prima governava Vincenzo De Luca, ovvero un governatore del Pd, adesso c’è Roberto Fico, ex presidente della Camera e grillino della prima ora. In altre parole, Giuseppe Conte ha guadagnato un presidente di Regione ed Elly Schlein lo ha perso. Volendo sintetizzare, la coalizione di centrosinistra è un po’ più di sinistra di prima e un po’ meno di centro, non proprio una buona notizia per quanti sognano di rifondare una democrazia cristiana in formato terza Repubblica. Il paradosso della vittoria di Fico però è che a portarlo al successo sono stati soprattutto i voti del Pd, non certo quelli del Movimento 5 stelle, che con le regionali ha ottenuto uno dei peggiori risultati di sempre, perdendo anche in Calabria, dove pure aveva schierato il papà del reddito di cittadinanza (Pasquale Tridico). Un’ultima osservazione su un fattore che evidenzia le contraddizioni a sinistra è il risultato di Puglia e Toscana, dove ha vinto l’ala socialista del partito democratico, cioè quella che si contrappone all’attuale segretaria. Dunque, per andare al sodo: dopo il voto gli equilibri nel centrodestra restano immutati, mentre nel centrosinistra in Campania si volta pagina con un grillino e nelle altre due Regioni vince la linea che contrasta con quella di Schlein. Detta in poche parole, la vittoria di cui si parla in questi giorni rischia di diventare un problema, perché tenere insieme gli opposti, senza che né Giuseppe Conte né l’ala riformista che ha trionfato a Firenze e Bari riconoscano la leadership di Schlein, alla lunga può trasformare il campo largo in un campo minato.
Youtrend, società di rilevazioni delle tendenze politiche assai vicina alla sinistra, ha messo a confronto i due schieramentinelle Regioni andate al voto e il risultato è che Fdi, Lega e Forza Italia stanno al 46,8%, mentre l’opposizione sta al 49,7%. Dunque, i progressisti sono avanti e potrebbero vincere al prossimo giro? Non proprio, perché le sei Regioni in cui si sono svolte le elezioni non rappresentano tutta l’Italia, ma solo una parte di essa, quella più spostata a sinistra. Tuttavia, per capire come è andata domenica e lunedì scorsi basta guardare cosa presero le due coalizioni alle ultime politiche. Il centrodestra aveva il 42,7%, il centrosinistra il 51,4%. In pratica, se tre anni fa il centrosinistra era avanti di 8,7 punti nelle sei Regioni, oggi il vantaggio si è ridotto al 2,9%. Altro che vittoria. Macché fine della luna di miele tra centrodestra e italiani. Ma a prescindere da numeri, flussi elettorali e formule politiche, nel 2025 sono andati alle urne gli abitanti di sei Regioni. Tre di queste erano guidate dal Pd, mentre le altre tre erano governate da un leghista, da un esponente di Fratelli d’Italia e da uno di Forza Italia. Alla fine, tre sono rimaste a sinistra, tre sono restate a destra. A un certo punto, con Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, Schlein aveva pensato di poter riconquistare le Marche, battendo il pupillo di Meloni. Ma nonostante i sondaggi tarocchi fatti circolare alla vigilia del voto nella speranza di influenzare il risultato, in Regione è stato confermato Francesco Acquaroli. In Veneto, prima c’era un leghista di lungo corso come Luca Zaia e ora c’è un giovane leghista come Alberto Stefani. E in Calabria Roberto Occhiuto di Forza Italia è succeduto a Roberto Occhiuto. Insomma, in conclusione pari e patta: tre a tre, come prima. E però un cambiamento si registra in una delle tre Regioni governate dalla sinistra: in Campania, dove prima governava Vincenzo De Luca, ovvero un governatore del Pd, adesso c’è Roberto Fico, ex presidente della Camera e grillino della prima ora. In altre parole, Giuseppe Conte ha guadagnato un presidente di Regione ed Elly Schlein lo ha perso. Volendo sintetizzare, la coalizione di centrosinistra è un po’ più di sinistra di prima e un po’ meno di centro, non proprio una buona notizia per quanti sognano di rifondare una democrazia cristiana in formato terza Repubblica. Il paradosso della vittoria di Fico però è che a portarlo al successo sono stati soprattutto i voti del Pd, non certo quelli del Movimento 5 stelle, che con le regionali ha ottenuto uno dei peggiori risultati di sempre, perdendo anche in Calabria, dove pure aveva schierato il papà del reddito di cittadinanza (Pasquale Tridico). Un’ultima osservazione su un fattore che evidenzia le contraddizioni a sinistra è il risultato di Puglia e Toscana, dove ha vinto l’ala socialista del partito democratico, cioè quella che si contrappone all’attuale segretaria. Dunque, per andare al sodo: dopo il voto gli equilibri nel centrodestra restano immutati, mentre nel centrosinistra in Campania si volta pagina con un grillino e nelle altre due Regioni vince la linea che contrasta con quella di Schlein. Detta in poche parole, la vittoria di cui si parla in questi giorni rischia di diventare un problema, perché tenere insieme gli opposti, senza che né Giuseppe Conte né l’ala riformista che ha trionfato a Firenze e Bari riconoscano la leadership di Schlein, alla lunga può trasformare il campo largo in un campo minato.
Il risultato delle regionali nelle Marche si ripercuote anche sulle altre regioni al voto. Nell’ordine, si va alle urne in Calabria domenica e lunedì prossimo; in Toscana il 12 e 13 ottobre e poi in Veneto, Campania e Puglia il 23 e 24 novembre. Le Marche erano considerate l’unica regione davvero «contendibile», ovvero dal risultato incerto: Elly Schlein sognava di vincere e volare verso il famigerato 4-2, con il Veneto e la Calabria al centrodestra e tutte le altre regioni al centrosinistra. Niente da fare: Francesco Acquaroli ha surclassato Matteo Ricci, e così ora il Pd e il resto della coalizione devono giocare in difesa, sperando nel 3-3 finale. In Calabria il presidente uscente Roberto Occhiuto era dato per favorito, dagli ultimi sondaggi che la legge ha consentito di diffondere, nei confronti dello sfidante, Pasquale Tridico del M5s. Ieri a Lamezia Terme c’è stato il comizio dei leader del centrodestra per Occhiuto: sul palco, insieme al presidente uscente, Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani, Laura Castelli (Sud chiama Nord), Antonio De Poli (Udc) e Maurizio Lupi (Noi Moderati). Curiosità: la Meloni e Tajani hanno viaggiato sullo stesso aereo di Elly Schlein, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, diretti a loro volta in Calabria per iniziative a sostegno di Tridico. In campo c’è anche Francesco Toscano, candidato a presidente per Democrazia sovrana e popolare. Secondo i bookmakers, dicevamo, Occhiuto dovrebbe riconfermarsi con ampio margine: lunedì sera quindi il parziale sarebbe di 2-0 per il centrodestra. Per accorciare le distanze, il centrosinistra punta sulla Toscana, dove si vota tra 11 giorni, ovvero il 12 e 13 ottobre. Il presidente uscente, Eugenio Giani del centrosinistra, è largamente favorito sullo sfidante di centrodestra, il giovane e agguerrito Alessandro Tomasi, sindaco di Pistoia e esponente di Fratelli d’Italia. In corsa anche Antonella Bundu, sostenuta da Toscana Rossa. Con la vittoria di Giani, il centrodestra sarebbe ancora in vantaggio per 2-1. Curiosità: le due regioni conquistate recentemente dal centrosinistra sono state la Sardegna con Alessandra Todde del M5s e l’Umbria con l’indipendente Stefania Proietti. Lo stesso Giani è un piddino assai anomalo (la Schlein non lo voleva ricandidare). Il 23 e 24 novembre, dicevamo, andranno al voto tre regioni molto grandi: Veneto, Campania e Puglia. Il Veneto è una roccaforte del centrodestra, e fino a ieri Campania e Puglia venivano considerate saldamente in pugno al centrosinistra. Fino a ieri: il risultato delle Marche ha infatti aperto il cuore alla speranza almeno per quello che riguarda la Campania (in Puglia Antonio Decaro viene considerato troppo forte per sognare un clamoroso ribaltamento della situazione). Piccolo problema: in Campania, così come in Puglia e in Veneto, il centrodestra non ha ancora il candidato a presidente. Risultato: il candidato del M5s sostenuto dal centrosinistra, Roberto Fico annaspa tra mille difficoltà, ma l’unica opposizione che si ritrova è tra i suoi alleati, in particolare Vincenzo De Luca e pure Clemente Mastella. Proprio ieri, l’effervescente sindaco di Benevento ha tirato un altro ceffone (in termini politici) a Fico: «L’euforia del centrodestra, derivante dalla vittoria nelle Marche», ha avvertito Mastella, «potrebbe contagiare altri territori e in Campania. O si fa un programma attinente e si recuperano gli elementari della grammatica politica o si rischia davvero di continuare a perdere pezzi e riaprire la partita. Non si può restare ostaggio di logiche massimaliste. No a veti su identità politiche, simboli e nomi. Si rispetti l’autonomia politica di ognuno». Cosa ha fatto innervosire Mastella, che candida al consiglio regionale il figlio Pellegrino? Voci bene informate dicono alla Verità che Fico avrebbe posto il veto sul nome di Mastella nel simbolo della sua lista «Noi di centro». A proposito di figli: mentre babbo Vincenzo continua imperterrito a insultare Roberto Fico (ieri ha parlato di «giovanotti che parlano a capocchia» a proposito di alcune dichiarazioni del candidato sulle aree interne), il figlio Piero è stato eletto segretario regionale del Pd. Ha vinto contro se stesso: era infatti l’unico candidato, altra condizione imposta da babbo Vincenzo a Elly Schlein per sostenere Fico. Se a questo aggiungete che De Luca senior sta pure organizzando una lista, «A Testa Alta», in concorrenza con lo stesso Pd (non si esclude neanche una sua candidatura al consiglio) vi rendete conto dello sbandamento totale in cui si ritrova il centrosinistra in Campania. Eppure, il centrodestra non riesce a mettersi d’accordo sul candidato a presidente. Il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, esponente di punta di Fdi, non scioglie la riserva, e alla fine la coalizione potrebbe ripiegare sul Prefetto di Napoli, Michele Di Bari, candidatura che definire debole, dal punto di vista della popolarità, è un eufemismo. Qualcuno ancora confida in Mara Carfagna, che almeno non avrebbe problemi di riconoscibilità, o in Fulvio Martusciello, recordman di preferenze alle Europee e leader regionale di Forza Italia, ma veti e controveti bloccano tutto. Anche in Veneto, il risultato delle Marche non è passato inosservato: «Per come sono andate le elezioni nelle Marche», dice alla Verità il coordinatore regionale di Fdi nel Veneto, Luca De Carlo, «dove abbiamo triplicato i voti della Lega, lasciare la nostra regione agli amici e alleati del Carroccio non sarebbe più un atto di generosità ma un regalo di Natale anticipato. Anzi cinque regali per cinque Natali, quanti ne contiene una legislatura». De Carlo è uno dei papabili, insieme al leader regionale della Lega Alberto Stefani.
«Fare e disfare, è tutto un lavorare», questo il proverbio che meglio si addice al segretario dem, Elly Schlein. Il suo campo largo adesso sarebbe più appropriato chiamarlo campo minato: grane ogni giorno. Questa volta a mettere zizzania è un audio del segretario regionale calabrese di Sinistra italiana (gruppo Avs), Fernando Pignataro, destinato ai dirigenti locali e diventato incautamente virale su Whatsapp: «È un giochetto delle parti un po’ sporco», spiega il segretario riferendosi a Pd e M5s che, a suo dire, avrebbero boicottato la candidatura di Flavio Stasi, sindaco di Corigliano-Rossano, nome favorito da Alleanza verdi sinistra. In sostanza, l’appoggio dem alla eventuale candidatura di Pasquale Tridico, europarlamentare del Movimento 5 stelle ed ex presidente dell’Inps, non sarebbe altro che un espediente per «porre un freno a un’eventuale candidatura di Avs» rivendicata nei giorni scorsi anche Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli.
Al principio della nota audio, che serviva per aggiornare la base, fa sapere che Anna Laura Orrico, l’onorevole calabrese pentastellata, aveva messo nero su bianco una sorta di «carta dei principi» di «questioni irrinunciabili»: sanità pubblica, no al Ponte, questioni ambientali, salario minimo regionale, reddito di dignità. «Se questi punti si accettano si può andare avanti, se no abbiamo due ricette diverse per la Calabria», riepiloga il segretario regionale di Avs.
Quindi, informa i dirigenti di Sinistra italiana che nel corso della riunione «metà della platea» (Italia viva, Più Europa, Rifondazione, Demos) avrebbe già comunicato che, se Sinistra italiana manterrà la proposta di candidatura di Stasi, lo avrebbero appoggiato. Poi ha aggiunto che in molti «sarebbero pronti ad abbandonare il tavolo» in caso di candidatura M5s alternativa a Tridico. Il riferimento è a Vittoria Baldino, un profilo molto più radicale rispetto a quello dell’ex presidente Inps che, invece, avrebbe raccolto voti anche al centro. Infine, dopo 11 interminabili minuti di audio, Pignataro conclude parlando di Stasi: «È un fatto assolutamente dirimente. Non possiamo accettare un veto, a qualsiasi livello, su qualsiasi nostra scelta, nell’unica Regione in cui poniamo candidature, mentre noi non abbiamo mai posto veti su nessun candidato del Pd o del M5s. Siamo sempre leali, anche verso candidature che non sono le nostre».
Inutile dire che scoppia il putiferio. Elly Schlein va su tutte e furie, l’imbarazzo è totale eppure a Pignataro non basta perché all’indomani della diffusione dell’audio non fa marcia indietro. Anzi. Il segretario regionale di Si rivendica «ogni parola detta, chi ha tradito la fiducia del gruppo è già stato escluso dalla chat». Secondo il dirigente Avs, la fuga di notizie è stata orchestrata da chi, per delusione o convenienza, avrebbe cercato di danneggiare il partito in un momento delicato. Poi si rivolge al segretario regionale dem, Nicola Irto: «C’è stima e lealtà, nessuna antipatia personale. Se qualcuno si è sentito offeso, me ne scuso». E tiene il punto sul merito della discussione: «Il veto sul nome del candidato non è il problema. Il tema è come si costruisce una coalizione solida, evitando spaccature come quelle del secondo governo Prodi».
Ma il campo minato è decisamente «largo» per Schlein. In Puglia il candidato dem, Antonio Decaro, (ha con lui parte del Pd e tutto il M5s) auspicava un passo indietro o almeno di lato di Michele Emiliano, intenzionato invece a farsi eleggere consigliere regionale. Ma il governatore uscente, ieri, ha chiarito: «La mia esperienza in politica nasce tra le persone e si fonda sulla loro fiducia. Non ho mai accettato ruoli calati dall’alto, sarà difficile che proprio adesso qualcuno possa chiedermi di fare un passo di lato, senza alcun argomento sensato e probabilmente solo per marketing politico. Avremo modo di ragionare, per prima cosa all’interno del Partito democratico, su ciò che è più giusto fare». Decaro a questo punto starebbe ragionando su un eventuale passo indietro per puntare alla sempre più traballante segreteria dem, cui eventuali sonore sconfitte elettorali darebbero il colpo di grazia. «Sarebbe un errore. Antonio è una risorsa per la Puglia. Sono certo che prenderà le sue decisioni con senso di responsabilità. In ogni caso, quello che conta è che il campo progressista si presenti unito e forte».
Male, malissimo anche in Toscana dove si bisticcia tra riformisti. Renziani contro tutti gli altri, mentre il governatore e candidato del centrosinistra Eugenio Giani prova a far da paciere. «Mi è stato chiesto di poter vivere un incontro di chiarimento fra le forze riformiste e moderate, quindi Italia viva, Azione, Pri, Psi, +Europa» ha detto Giani. «In quell’area, essendoci un maggiore frazionamento di forze politiche, è ancora vivo e aperto il dibattito se sia meglio una o due rappresentanze, ovvero una o due liste», spiega per poi chiariree: «Vorrei che le posizioni maturassero soprattutto nel dialogo fra queste forze». Che, tradotto, significa: sbrigatevela da soli.
Non resta che la Campania, dove si spera che regga la candidatura del pentastellato ex presidente della Camera Roberto Fico, muto da settimane.
Eppure Schlein pare vivere in un universo parallelo quando ieri, un’intervista all’Adnkronos, dice: «Alle prossime elezioni regionali corriamo ovunque per vincere e quando siamo uniti su candidature credibili e un programma condiviso, siamo competitivi e vinciamo». E poi: «La nostra capacità di costruire unità ha prodotto vittorie straordinarie con tutte le forze alternative alle destre». Insomma, fa e disfa e poi se la canta e se la suona.
Roberto Occhiuto, da presidente della Regione Calabria non posso non chiederle dei contadini in rivolta…
«La Calabria è tra le regioni maggiormente interessate. Ma questa è una protesta che sta dilagando in tutta Europa. La Regione non ha ovviamente possibilità di intervenire per risolvere i problemi. Guardiamo però con grande interesse alle rivendicazioni dei contadini perché la Calabria punta molto sull’agricoltura. È un settore trainante. Auspico un intervento incisivo del governo nazionale in Europa, affinché alcune istanze degli agricoltori possano essere ascoltate con maggiore ragionevolezza».
Che cosa si coltiva in Calabria?
«Siamo una delle regioni che fa più agricoltura biologica. Coltiviamo agrumi ma pure prodotti una volta riservati al Nord Africa. Un effetto positivo del cambiamento climatico, perché si aprono nuovi mercati».
Perché lei non è preoccupato dell’autonomia differenziata?
«Penso che molti di quelli che hanno pregiudizi sull’autonomia differenziata, che partecipano ai convegni ed animano le proteste, non hanno letto il testo approvato al Senato. Non ho pregiudizi, e trovo odioso il racconto che si è consolidato nel corso degli anni, per cui le Regioni del Sud hanno solo un atteggiamento rivendicativo nei confronti delle Regioni del Nord, nei confronti delle quali non nutro complessi. E soprattutto so che la Calabria ha tanti problemi, ma anche tante risorse con cui risolverli, pure attraverso l’autonomia differenziata».
Insomma nessun atteggiamento «piagnone».
«La Calabria ha il primo porto d’Italia che è Gioia Tauro. Oggi non produce ricchezza per la Regione, ma con un’intesa col governo nazionale potrebbe farlo. Siamo una miniera per le rinnovabili. E pensi che il governo ha dichiarato strategica l’attivazione del rigassificatore di Gioia Tauro. Se queste materie fossero oggetto di intesa i vantaggi sarebbero evidenti anche per la Calabria. Come le dicevo, penso che le classi dirigenti del Sud abbiamo avuto nel corso degli anni un atteggiamento meramente rivendicativo e non propositivo che ha finito per aumentare le sperequazioni. Come uomo del sud rivendico, invece, la necessità di sviluppare un pensiero “autonomo”».
Una candidatura per Gioia Tauro insomma…
«Ci sono tutte le autorizzazioni: intonse! Si potrebbe partire subito con la realizzazione di questo rigassificatore. È un investimento privato. Sarebbe il più grande rigassificatore d’Italia e produrrebbe più della metà del gas che prima importavamo dalla Russia. Se un’opera viene qualificata come “strategica” il suo ammortamento potrebbe essere realizzato grazie ad una spesa davvero irrisoria. Meno di un euro in bolletta per tutti. Ne vale la pena, no? Ne va della nostra indipendenza energetica!».
Che in tempi di guerra ha un suo perché… «diciamo», direbbe Massimo D’Alema imitato dalla Guzzanti.
«Siamo passati da una dipendenza nei confronti della Russia ad una dipendenza nei confronti dell’Algeria o dell’Azerbaigian. Quello che sta succedendo nel Mediterraneo dovrebbe convincerci che sarebbe più prudente costruire la nostra indipendenza su infrastrutture nazionali. Ma le dirò di più… il processo di rigassificazione ha comunque bisogno di un’infrastruttura strategica chiamata “piastra del freddo”. Ad Anversa ce l’hanno. Non a caso quello è un centro essenziale per il commercio del gas naturale liquefatto in tutta Europa, ma anche per l’industria agroalimentare. Sarebbe utile anche per l’agroindustria per la surgelazione dei prodotti. Gioia Tauro diventa così un punto di riferimento logistico anche per l’industria agroalimentare meridionale, nazionale ma anche internazionale. Insomma un’occasione straordinaria per tutto il Mezzogiorno. Potremmo fare come il Nord nel dopoguerra. Quel pezzo d’Italia si è sviluppato perché connesso al manifatturiero tedesco. Ma il motore dello sviluppo futuro sarà il Nord Africa e la Calabria è lì pronta a sfruttare questa opportunità».
In effetti prima dell’invasione russa in Ucraina l’energia del gas arrivava da Nord…
«Vede, si fa giustamente un gran parlare del piano Mattei e Gioia Tauro potrebbe essere il centro, oserei dire, la capitale di questo piano. Il vero hub logistico. Solo così noi fermeremo i flussi di immigrazione incontrollata. Assicureremo ai nostri partner africani tassi di crescita della loro economia significativamente superiori ai nostri; come è giusto che sia. Sarà però cruciale mobilitare l’Europa su questo progetto. Non bastano infatti i 5,5 miliardi assicurati dal nostro Paese. Di questo io vorrei parlassero i politici del Sud. Pensi che nonostante tutto quello che sta succedendo nel Mar Rosso, Gioia Tauro viaggia ad un +20% annuo».
Stante tutte queste considerazioni il Ponte sullo stretto di Messina è inutile?
«Tutt’altro. Eccome se serve. La comunità nazionale deve capire che bisogna investire sulle grandi opere. Queste attraggono grandi investimenti. Pensi all’autostrada del sole realizzata più di cinquant’anni fa. C’era chi sosteneva che era una follia perché mancavano le strade. Ma fu proprio grazie all’autostrada che furono realizzate opere di viabilità secondaria. Già il Ponte sullo stretto - ancora non iniziato - ha consentito alla Calabria di ottenere 3 miliardi per la strada statale jonica ed il miliardo necessario per il tratto autostradale che Renzi aveva inaugurato senza che fosse completato».
Tornando all’autonomia differenziata, su cui lei è molto fiducioso, nel testo di legge cosa la convince maggiormente?
«L’autonomia differenziata è una possibilità offerta dalla Costituzione e prevede livelli essenziali delle prestazioni. Parlo di diritti sociali e civili da garantire su tutto il territorio nazionale. Il testo ora all’esame della Camera prevede che debbano essere finanziati adeguatamente prima di procedere ad intese con le singole Regioni sulla base dei fabbisogni standard. Il centrosinistra si straccia le vesti solo perché è una cosa che ora sta attuando il centrodestra che in un anno ha fatto quello che non è stato deciso in 22 anni».
Lei insiste molto sulla presunta convenienza del fabbisogno standard e sul superamento del criterio della spesa storica…
«Sì, e sa perché? Ad oggi uno stesso servizio o diritto non è finanziato a Crotone tanto quanto a Vercelli. Con il nuovo testo prima di procedere all’intesa sull’autonomia della singola Regione si dovrà preventivamente definire il finanziamento per tutte le Regioni sulla base degli stessi criteri. Immagini un treno con tre vagoni…».
Immagino…
«In testa l’autonomia differenziata. Il secondo vagone è quello del superamento della spesa storica e quindi della definizione del finanziamento dei Lep (livelli essenziali prestazioni, ndr. Il terzo è quello della perequazione; stesso criterio per tutti. Se il treno arriva in stazione grazie all’autonomia differenziata che traina il tutto, ci arrivano anche le altre due carrozze. E questa è un’altra opportunità straordinaria per il Mezzogiorno. Però su un punto sono stato chiaro: servono soldi. L’ho detto al ministro Calderoli: “No money no party”».
Presidente, una cosa di cui è particolarmente orgoglioso…
«Ho chiesto di potermi occupare come commissario del governo della sanità in Calabria e ho trovato una situazione con una contabilità non solo non aggiornata ma che in molti hanno definito come “orale”. Il governo nazionale, attraverso i suoi commissari, non era riuscito a sistemare la situazione durante gli ultimi 12 anni. Sono orgoglioso di avere attuato iniziative di deterrenza contro gli incendi e di aver reclutato medici cubani per non chiudere gli ospedali».
Leggenda narra che lei avrebbe scoperto 2 miliardi da spendere…
«Fondi europei che non erano stati utilizzati dai miei predecessori e che in soli due anni sono riuscito a spendere accelerando tutte le procedure di spesa. A vantaggio di imprese e famiglie».
Avrà commesso un errore? Qualcosa di cui si pente?
«Tutti commettono errori. Ed io cerco di risolverli anziché parlarne».






