In nome del Padre, del Figlio e dello spirito Fazio. Dopo l'Angelus in streaming, il Papa sperimenta una nuova frontiera della fede: la preghiera al profeta Fabio, Santo Conduttore di Rai 2 e Patrono della Beata Melassa. Nel pieno dell'apocalisse coronavirus, con il mondo atterrito dall'epidemia, il popolo disorientato e angosciato, con la maggior parte delle persone che si pongono di fronte alle domande essenziali dell'esistenza, Francesco decide di scendere in campo con tutta la forza millenaria della Chiesa. E di lanciare finalmente un messaggio profondo: convertitevi e seguite il Vangelo. Di Dio? No, di Fabio Fazio. E poi ricordatevi di rispettare i precetti. Della fede? No dell'Agenzia delle entrate. Dai profeti ai televip, dai Martiri della Chiesa al martire della Littizzetto, dalla speranza di vita eterna alla speranza di gettito tributario: il nuovo credo di Francesco è tutto qui. Nemmeno l'ombra del paradiso, a parte quello fiscale. Nemmeno una citazione per Gesù Cristo. Il quale, evidentemente, in questi momenti bui conta meno dell'ex conduttore del Rischiatutto.
L'intervista è comparsa ovviamente su Repubblica, che ormai è l'organo ufficiale del Vaticano bergoglizzato. A firmarla non è nemmeno il fondatore, Eugenio Scalfari, cui Francesco si era già concesso con una certa generosità, in colloqui alla pari, da Papa a Papa. E nemmeno il direttore, Carlo Verdelli. E nemmeno uno dei vicedirettori. Macché: l'intervista è realizzata dal vaticanista ordinario, Paolo Rodari, come fosse una questione di routine. Immagino le riunioni di redazioni: tu chi intervisti? Un virologo. Tu? Il capogruppo del Pd. E tu? Io il Papa. A va beh, attento però che non sbrodoli troppo. Infatti ne viene fuori un papellino smoscio, allungato su due pagine per dovere, con più sommari che testo. Il cui senso è tutto nell'occhiello che giganteggia in testa pagina: «Quanto ha scritto Fabio Fazio su Repubblica è vero. I nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri». Parola del signore (di Rai 2).
Ora: a parte il fatto che non siamo proprio sicuri che il concetto «i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri» sia proprio un'esclusiva del santo Fazio da Savona (può essere anche, non vorremmo sbagliarci, che una frase simile l'abbia già detta qualcun altro); e a parte il fatto che, in ogni caso, anche fosse autenticamente sua e solo sua, come rivelazione non ci sembra un granché (il Santo Padre dovrebbe essere a conoscenza di qualcosa di meglio, in materia di rivelazioni); a parte tutto questo, io dico: ma come? Sei il Papa. No, dico: il Papa. Già il fatto che parli con un'intervista a un quotidiano e non con un messaggio apostolico, in un momento così, ci suona un po' strano; già il fatto che quest'intervista sia sempre a Repubblica che da sempre sostiene i valori più contrari alla cristianità (dall'aborto all'eutanasia) è ancora più strano; ma poi, se tutto questo deve proprio accadere, volete per lo meno fare un'intervista vera? Con domande e risposte profonde? Meditate? Ragionate? Citando, che ne so?, Sant'Agostino o San Tommaso, oltre che Fabietto Fazio, sempre che i due Padri della Chiesa siano considerati all'altezza di Che Tempo Che Fa? Può il Papa liquidare la più grande tragedia del mondo contemporaneo con un'intervistina volante di poche battute, affogate nel tritacarne mediatico, così come se fosse un Fabrizio Pregliasco o una Maria Rita Gismondo qualunque?
Tutto nasce dall'intervento di Fabio Fazio su Repubblica, due giorni fa. Aveva scritto un articolo in pieno stile fazista sulle «cose che sto imparando dall'isolamento». Roba tipo: «rimettere in ordine la mia scala di valori», «attenersi alla scala di valori», «riconnettersi con l'ecosistema» (e te pareva), «non accettare il cinismo», «il valore della stretta di mano», «la necessità del tenere la mano», «bisogna aprire i porti» (e te pareva) e «siamo tutti sulla stessa barca». Ovviamente siamo tutti sulla stessa barca finché la barca va. Ci mancavano «chi fa da sé fa per tre» e «chi fa la spia non è figlio di Maria» e poi l'elenco fazista avrebbe fatto l'en plein. Roba da risollevare i dubbi sul passaggio del conduttore su Rai 2: che ci fa lui sul secondo? È evidente che lui è da primo banale.
A Repubblica, però, il compitino è piaciuto molto e così hanno deciso di dargli un seguito. L'altro giorno, per commentarlo, sono intervenuti Rosario Fiorello e lo scrittore Stefano Massini, noto per le sue apparizioni a Piazza Pulita. Dopo di che in redazione probabilmente si sono chiesti come andare avanti. Chi commenta dopo Fiorello? Carlo Verdone? Fiorella Mannoia? Michela Murgia? No, il Papa. Sì, è vero, nelle sue riflessioni è un po' meno filosofico di Fiorello, ma è pur sempre il Papa. E così l'intervistina è andata in pagina con tutti gli onori. Il contenuto? Semplice. Nel vero significato della parola. Francesco cita frettolosamente il Signore (ma mai Gesù Cristo), dice in due parole che ha pregato, e poi si dilunga sulla buona novella secondo Fazio: bisogna «ritrovare la concretezza delle piccole cose», come la «carezza ai nonni» (ne siamo sicuri?), il «bacio ai bimbi» (ma non erano sconsigliati baci e abbracci»?), il piatto caldo, la telefonata, e insomma queste cose. «Se viviamo così questi non saranno giorni sprecati», dice il Papa, che più che la svelare la verità cristiana sembra svelare le ricette di frate Indovino. O di Fabio Fazio, che poi tutto sommato non sono così diversi.
Anche la descrizione che il Papa fa delle famiglie è piuttosto affrettata. Sono giorni di panico, angoscia, di relazioni che cambiano, che vengono rivoluzionate. Francesco invece descrive l'interno casa come quello di sempre con l'incapacità di ascolto, i «genitori che guardano la tv» (che strano eh) e i figli «sul telefonino» (ma toh). Pensa un po': queste famiglie di oggi. Le rinchiudi in casa e loro si attaccano ai social e guardano la tv, screanzati. «Siamo tanti monaci isolati uno dall'altro», dice il Papa. In realtà non siamo mai stati così vicini. E così angosciati. E così bisognosi di consolazione di fronte a morti assurde, a familiari che non possono nemmeno abbracciare e seppellire i loro cari, ai bagliori dell'apocalisse. Infatti l'intervistatore cita proprio questa parola «consolazione». E allora il Santo Padre che fa? Tira fuori i Padri della Chiesa? I Profeti? Gli Apostoli? Nostro Signore Gesù Cristo? La Pasqua di Resurrezione? L'eucaristia? La Vergine Madre? No: si aggrappa al decalogo di Fabio Fazio. E alla necessità di pagare le tasse, che in effetti è salvifica. Ma solo per l'erario. Così finirà che a messa ci andranno soltanto gli agenti del fisco. Credo nell'Irpef, dio onnipotente, creatore del cielo e della terra…
Il Papa ha il raffreddore, come lui stesso ha annunciato urbi et orbi alla preghiera dell'Angelus di domenica scorsa, quando ha detto che non avrebbe partecipato agli esercizi spirituali della curia programmati ad Ariccia dall'1 al 6 marzo. «Purtroppo, il raffreddore mi costringe a non partecipare, quest'anno: seguirò da qui le meditazioni», ha detto Francesco affacciato su piazza San Pietro.
Da qualche giorno il Papa stava lavorando a ritmo ridotto, evitando gli impegni ufficiali e portando avanti solo l'agenda di Santa Marta, in ambiente più protetto. La voce di Bergoglio è parsa rauca e gravata da qualche colpo di tosse, e lui stesso chiaramente raffreddato. Il coming out di domenica all'Angelus ha confermato il fatto. Si tratta di un male di stagione che non scalfisce quella che negli ambienti curiali viene definita la «cagionevole salute di ferro di Francesco», che porta con disinvoltura i suoi 83 anni, pur con un polmone a mezzo servizio da quando di anni ne aveva solo 21.
Ma al tempo del virus un raffreddore fa correre immediatamente sui social il sospetto malizioso che il Papa abbia il coronavirus, come si leggeva qua e là. Solite fake news? Pare di sì, anche se qualche dubbio affiorava persino dalle colonne del Wall Street Journal. Ma che per la smentita si scomodi addirittura il Global Times, principale organo di informazione del governo di Pechino, è in un certo senso il sigillo del patto d'acciaio tra Vaticano e Cina, cementato definitivamente proprio dal coronavirus.
«Il Vaticano ha detto al Global Times che “non ci sono prove per diagnosticare al Papa qualcosa di diverso dall'essere leggermente malato", in risposta alle notizie secondo cui il Papa ha contratto il Covid-19». Così scrive il megafono internazionale del potere cinese. A supporto viene citato un portavoce della sala stampa vaticana e, non poteva mancare, monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere delle Pontificie accademie delle scienze e delle scienze sociali. Sorondo, infatti, negli ultimi anni si è mostrato infatuato della Cina a tal punto da lanciarsi in mirabolanti dichiarazioni in cui abbiamo appreso, tra l'altro, che «in questo momento, quelli che realizzano meglio la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi».
Questa volta Sorondo ha detto al Global Times che «non c'è nessun coronavirus in Vaticano, per ora!», rassicurando anche che si stanno prendendo «le misure necessarie, poiché alcuni funzionari vaticani sono appena tornati dalla Cina a dicembre, proprio mentre l'epidemia stava iniziando». Ovviamente Sorondo non ha potuto ricordare sul giornale del governo cinese che forse non è così chiaro quando questa epidemia sia davvero iniziata, anche perché risale appena al giorno di San Valentino lo storico incontro tra i ministri degli esteri dei due Stati, a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco 2020.
Un incontro per cui Vaticano e Cina hanno mandato comunicati che assomigliavano di più ai bigliettini tra spasimanti che quelli tra due stati che non si incontravano da 70 anni. La Sala stampa vaticana si è rallegrata del controverso e storico accordo, siglato nel 2018 e ancora segreto nei dettagli, sulla nomina dei vescovi, e il governo cinese ha sottolineato come «il Vaticano potrà giocare un ruolo costruttivo nel sollecitare la comunità internazionale a sostenere e cooperare con gli sforzi della Cina nel combattere l'epidemia».
L'amore tra Cina e Vaticano è sbocciato al punto che nessuno può rompere la luna di miele. Tanto che il neo decano del collegio cardinalizio, Giovanni Battista Re, come primo atto del suo nuovo incarico ha scritto a tutti i porporati lo scorso 26 febbraio per tirare le orecchie al cardinale Joseph Zen, emerito di Hong Kong, reo di non aver mai mandato giù la pillola del nuovo corso di rapporti. Ma Zen, che soprattutto non accetta di farsi raccontare che Benedetto XVI avrebbe in qualche modo condiviso la scelta del nuovo accordo sulla nomina dei vescovi, ha risposto per le rime al confratello Re, ricordando, fra l'altro, che «davanti a delle prese di posizione della Santa Sede che non riesco a capire, a tutti i fratelli desolati che si rivolgono a me dico di non criticare chi segue quelle disposizioni. Siccome, però, nelle disposizioni si lascia ancora la libertà a chi ha una obiezione di coscienza, incoraggio questi a ritirarsi allo stato delle catacombe, senza opporsi a qualunque ingiustizia, altrimenti finirebbero per rimetterci di più».
La neo Östpolitik vaticana nei confronti del governo comunista cinese non viene compresa da molti cattolici in Cina, non solo da Zen, visto che si trovano di fronte a un potere che sembra ancora voler fare della chiesa «indipendente» cinese una sorta di emanazione del partito. Il ruolo del Papa in tutto questo non è chiaro, visto che l'accordo sulla nomina dei vescovi è ancora segreto.
Intanto però chi vuole rassicurazioni sulla salute di Francesco deve leggere il Global Times, organo ufficiale del partito comunista cinese.




