2025-11-17
Pac, Lollobrigida: «Rivedere il pacchetto normativo, risorse per l'agricoltura insufficienti»
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(Totaleu)
Lo ha detto il ministro dell'Agricoltura durante il Consiglio Ue Agrifish in corso a Bruxelles.
Lo ha detto il ministro dell'Agricoltura durante il Consiglio Ue Agrifish in corso a Bruxelles.
«Compra la terra, non si svaluta mai», dicevano i nonni. E non solo. A livello nominale in effetti è vero: i prezzi dei terreni salgono. Se però guardiamo le quotazioni togliendo l’inflazione si nota che dal 2000 i valori sono crollati di oltre il 20%.
A livello nominale, appunto nel 2024 l’aumento del prezzo medio dei terreni agricoli è stato di circa l’1%, per un valore attestatosi intorno ai 22.400 euro ad ettaro. Nonostante l’incertezza della situazione internazionale, che ha avuto ripercussioni sui prezzi dei prodotti e dei mezzi tecnici agricoli, il mercato fondiario italiano mostra così una leggera ripresa. Secondo quanto emerge dalla settantacinquesima edizione dell’“Indagine sul mercato fondiario” curata dai ricercatori del Crea Politiche e Bioeconomia, «cresce ulteriormente l’interesse per i terreni facilmente accessibili e vocati a produzioni di qualità, così come quello per i terreni irrigabili. Ancora deboli sono gli effetti per gli interventi della nuova Pac 2023-2027, mentre risulta evidente l’influenza sui prezzi di alcuni fenomeni connessi al cambiamento climatico e alla diffusione degli impianti per la produzione di energia rinnovabile.
Quest’ultima tendenza si nota soprattutto sul fronte affitti. La domanda, sostenuta in prevalenza da giovani imprenditori e da aziende strutturate, ha visto la crescente presenza di operatori del settore del biogas e dell’agrivoltaico. La fuoriuscita dal settore di agricoltori anziani ha reso disponibili, inoltre, superfici prima condotte direttamente, contribuendo così ad alimentare il mercato degli affitti. Anche gli affitti registrano un crescente interesse per le superfici irrigabili, considerate strategiche in un contesto di crescente vulnerabilità agli eventi climatici estremi.
Tornando alle quotazioni, sottolinea il Crea, il prezzo medio dei terreni agricoli per ettaro continua a presentare significative differenze, con il picco di 47.100 euro nel Nord-Est, seguito dal Nord Ovest con circa 35.200 euro (+2,3%), e valori decisamente inferiori al Centro e al Sud, mediamente al di sotto dei 16.000 euro, fino ad arrivare ai 9.000 delle Isole. La differenza è data, «non solo dalla maggiore incidenza al Nord dei terreni in aree pianeggianti e irrigue, ma anche dal più elevato tasso di urbanizzazione e dal relativo consumo di suolo agricolo, che riduce l’offerta dei terreni, in molti casi non sufficiente a soddisfare la domanda. Al contrario - sottolinea il Crea in una nota - nelle aree interne e montane prevale l’offerta di terreni, da parte di agricoltori anziani e di aziende in difficoltà economiche, che spesso non trova riscontro sul mercato».
Ecco... agricoltori anziani e aziende agricole in difficoltà. Complici le regole Ue, ovvero green deal, una Pac sempre più ridotta e frontiere aperte a chiunque, sono spariti gli agricoltori. Nel corso del decennio 2010-2020 il numero di aziende ha subito una forte contrazione, scendendo da 1,6 milioni a poco più di 1,1 milioni di unità. Se invece allarghiamo lo sguardo all’ultimo ventennio, la popolazione di aziende agricole si è più che dimezzata: meno 53%, perdendo circa 1.260.138 unità.
Mettiamoci anche il calo demografico, ma la realtà è che la gestione agricola targa Bruxelles ha mandato in malora secoli di professionalità dei contadini. I quali vendono o svendono i terreni oppure affittano a chi «semina» pannelli solari. Motivo per cui, tolta l’inflazione, la terra vale più del 20% in meno nei confronti del 2000.
Al servizio segreto di sua maestà. Che non è Carlo III, bensì Ursula von der Leyen. La notizia l’ha diffusa nella mattinata di ieri il Financial Times e, subito dopo, l’hanno confermata direttamente da Bruxelles: la Commissione vuole reclutare personale distaccato dalle agenzie di intelligence nazionali, per fondare una nuova unità di 007 alle dipendenze della presidente dell’Ue. Il quotidiano britannico, a quanto pare, lo ha saputo prima che ne fossero informati gli stessi Stati membri. Un funzionario dell’esecutivo europeo ha spiegato che si sta «esaminando come rafforzare le capacità di sicurezza e intelligence» e che «la creazione di una cellula dedicata all’interno del Segretariato generale è in fase di valutazione». La proposta «si baserebbe sulle competenze già esistenti nella Commissione» e implicherebbe una «stretta cooperazione con i servizi competenti del Seae», l’ufficio che sostiene l’attività dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione.
Il piano di Ursula, osteggiato proprio dagli alti dirigenti del Seae, potrebbe però comportare un radicale cambiamento di prospettiva, dotando l’Europa di un’autentica agenzia di intelligence, che essa ad oggi non possiede. Intcen (il Centro di situazione e di intelligence dell’Unione europea) opera all’interno del Servizio per l’azione esterna, limitandosi a raccogliere le informazioni trasmesse volontariamente dai Paesi membri, che poi vengono analizzate per produrre valutazioni strategiche. Niente operazioni sul campo; niente James Bond oltre le linee nemiche.
Già in questa veste, l’Ue incontra diversi ostacoli. Nonostante siano partner, gli Stati - la Francia in particolare - sono tradizionalmente restii a condividere conoscenze sensibili. E le fratture che sono state aggravate dal conflitto in Ucraina con le nazioni riluttanti ad aiutare Kiev, tipo l’Ungheria, rendono la cooperazione ancor più faticosa. Al di là dei proclami sul multilateralismo, l’impasse è frutto della reale condizione del sistema internazionale: uno scacchiere nel quale vige l’anarchia e in cui nessuno può fare affidamento fino in fondo nemmeno sull’alleato più stretto.
Non è chiaro fin dove voglia spingersi la Von der Leyen. La Commissione, ieri, non ha fornito grossi dettagli sull’operazione. Ma il tenore dei pretesti addotti per giustificarla induce a sospettare che le ambizioni siano alte. «Ci troviamo in un contesto geopolitico e geoeconomico difficile», ha ricordato il portavoce di Bruxelles, Balazs Ujvari. Dalla Russia con amore: la minaccia di Vladimir Putin è l’ombrello che copre qualunque iniziativa si prenda in Europa, dal riarmo, alla fondazione di un servizio segreto, alla costituzione di un centro per la lotta alle fake news, come quello lanciato ieri dall’esecutivo. La futura organizzazione cui sta lavorando l’esecutivo, ha aggiunto il burocrate, «rafforzerà le competenze già esistenti all’interno della Commissione e, ad esempio, svolgerà un ruolo chiave nella preparazione dei collegi per la sicurezza», ossia gli istituti di formazione nel campo della difesa. «Sarà un’iniziativa complementare», ha concluso Ujvari. «Integrerà il lavoro della Direzione per la sicurezza della Commissione e collaborerà strettamente con i rispettivi servizi del Seae». La squadra speciale di Ursula «sarà una cellula molto piccola». Con licenza di uccidere?
Facezie a parte, la vera domanda riguarda i poteri e il raggio d’azione della nuova entità. Non è impresa banale definire un accordo politico e un quadro giuridico entro cui degli agenti possano compiere missioni e raccogliere informazioni a nome dell’Ue. Quale sarebbe l’oggetto delle ricerche? Soltanto le presunte attività sovversive di Mosca? O l’intelligence dovrebbe saggiare anche la lealtà dei Paesi membri all’Unione, magari verificando se Viktor Orbán o lo slovacco Robert Fico tramano per indebolire il fronte pro Ucraina? I cittadini potrebbero diventare oggetto di sorveglianza? Capitò già agli statunitensi, spiati dalla National security agency, la quale almeno rispondeva a una struttura di potere sottoposta a controlli democratici. Cos’ha in mente la Commissione? Spera di agire di sua iniziativa? Oppure di trasformare il contributo degli Stati da volontario a obbligatorio, cooptando il loro personale? Le questioni cruciali non possono essere evase in quattro e quattr’otto, con qualche frase di circostanza sui pericoli del «contesto geopolitico e geoeconomico». L’imperialismo dello zar non è un salvacondotto universale. Se a Bruxelles hanno deciso - e sarebbe persino comprensibile - di consolidare le capacità di gestire la guerra ibrida, ce lo dicano chiaro e tondo. Anche per capire bene chi è il nemico: i russi, o gli europei che contestano Ursula?
Siccome si vive solo due volte, la svolta della Von der Leyen è arrivata al secondo mandato: alla fine, la tedesca ha varato gli euro Bond. James Bond.
L’accusa è pesante: «Ursula von der Leyen affama l’Europa». Ed è pure provata, secondo la Coldiretti, che annuncia: «Da dicembre riporteremo la contestazione a Bruxelles». I trattori marciano di nuovo su Palazzo Berlaymont: ad annunciarlo è il presidente dell’associazione, Ettore Prandini. Ieri è arrivato con il segretario generale di Codiretti, Vincenzo Gesmundo, a Bruxelles, per contestare la bozza di bilancio del prossimo settennato europeo proposto dalla presidente della Commissione. La Coldiretti ha consegnato a tutti i parlamentari - già per conto loro sono sul piede di guerra contro lo schema proposto dalla Von der Leyen - un dossier in cui si dice che la mediazione avanzata dalla Commissione è sostanzialmente «una presa in giro, perché il 10% di aumento dei fondi agricoli promessi non è per gli agricoltori, ma si spalma su indefiniti progetti per le comunità».
Codiretti ha fatto i conti: la Pac è morta. A fronte di un bilancio europeo che aumenta a 2.000 miliardi, i contribuiti agricoli, che pesavano circa per il 35%, ora non arrivano al 14% e per di più sono distribuiti attraverso un fondo unico nazionale, «che deresponsabilizza del tutto Bruxelles rispetto alla politiche agricole». L’Italia peraltro è il Paese più penalizzato: se il taglio per gli altri si aggira attorno al 17%, per l’Italia arriva a oltre il 25%.
«Stiamo operando», ha dichiarato Prandini, «con i parlamentari europei e in particolare con i popolari che esprimono la Von der Leyen e con i quali lei stessa cerca di venire a un compromesso, perché rispettino le promesse elettorali: l’agricoltura, hanno detto, è il primo pilastro dell’Europa, ma questa Commissione, la peggiore con cui ci siamo dovuti confrontare, si sta disimpegnando dall’agricoltura». La Von der Leyen sta affamando l’Europa «perché fa l’esatto contrario di Stati Uniti, Cina, Africa, che puntano tutto sulla risorsa agricola. Gli investimenti degli Usa sono cinque volte superiori a quelli europei». In più c’è la pessima gestione degli accordi commerciali. «Un tempo», sostengono Prandini e Gesmundo, «sapevamo che i prodotti agricoli venivano usati come merce di scambio diplomatica, ma oggi Von der Leyen si deve rendere conto che l’agroalimentare è la prima voce dell’export europeo». Per cui bisogna riaprire la partita dei dazi con gli Usa, ma non solo. «Non ho sentito dire nulla», sostiene il presidente di Coldiretti, «sulla Cina che ha posto un dazio del tutto immotivato del 63% sulle carni di maiale; a dicembre scade l’accordo sul vino in Usa e non sappiamo se l’Ue andrà da Trump a chiedere di ripristinare il dazio zero, visto che i superalcolici americani non sono stati tassati». Torna la questione delle reciprocità: pari qualità, pari salubrità, pari oneri. «Col Ceta», spiega Prandini, «stiamo importando oltre il 25% del grano che ci serve dal Canada che usa i disseccanti vietati in Europa, siamo invasi dal riso del Myanmar coltivato dai bambini, il Brasile a cui spalanchiamo le porte col Mercosur gonfia vitelli e polli con anabolizzanti e antibiotici. Non è possibile che le nostre imprese siano sottoposte a vincoli stringenti e che si faccia poi entrare merce che mina la salute dei cittadini, che ci fa dumping senza alcun controllo. Anche per questo chiediamo l’Agenzia europea delle dogane e che abbia sede in Italia. Il nostro governo ha già avanzato la richiesta, so che anche la Francia vuole le dogane, ma noi abbiamo le carte in regola perché siamo i più rigorosi. Certo, l’Olanda che campa col porto di Rotterdam si opporrà, ma non si può andare avanti così».
Quanto al Mercosur, gli eurodeputati francesi porteranno l’accordo davanti alla Corte di giustizia. «È già successo col Ceta e siamo in regime provvisorio», avverte Prandini, «non vorremmo che questo significasse abbassare la guardia. Noi pretendiamo la reciprocità, la tutela dei prodotti e della salute degli europei e la salvaguardia del reddito degli agricoltori. La Von der Leyen che parla continuamente di sicurezza per giustificare le spese militari si convinca che la prima sicurezza è quella alimentare».
Giù le mani dalla Pac, dai fondi di coesione, dal bilancio comunitario. La maggioranza Ursula boccia senza appello lo schema finanziario proposto da Ursula von der Leyen e Bruxelles si trova oggi al suo punto più basso di credibilità. L’ossessione per il riarmo della baronessa - mai dimenticarsi che fu ministro della Difesa tedesco, peraltro inseguita da una serie di inchieste per si suoi «soliti» opachi rapporti con le industrie e i vertici militari - inteso in larga misura a favorire la Germania che con il cancelliere Friedrich Merz punta sull’industria bellica per rianimare un’economia asfittica causa green deal europeo fa schierare il Parlamento contro la Commissione.
Tra l’altro con un’accusa pesantissima: «Esiste - si legge in una durissima lettera firmata dai vertici dei gruppi -un deficit democratico intrinseco data la mancanza di controllo da parte del Parlamento e degli organi eletti nazionali o regionali». Brutta botta per chi, soprattutto da sinistra, - si vedano le esternazioni di Romano Prodi, lo sgolarsi di Elly Schlein contro Giorgia Meloni accusata di subalternità a regimi come quelli di Viktor Orbàn - vuole spazzare via il voto all’unanimità in seno al Consiglio europeo. Popolari, Socialisti, Renew - la maggioranza Ursula a cui si aggiungono anche i Verdi e l’Efa - rimproverano alla Von der Leyen di farsi beffe del Parlamento. Viene da domandarsi se chi predica l’Europa senza unanimità non abbia in mente una Ue dove domina la «casta» dei burocrati, con gli eletti dal popolo, siano essi ministri dei governi o eurodeputati, ridotti a passacarte. Questa è la prima contestazione che i massimi vertici politici - Manfred Weber per i popolari, Iratxe Garcia per i socialisti, Valerie Hayer per Renew, Terry Reintk e Bas Eickhout per Verdi e sinistra - muovono alla Von der Leyen che va avanti col suo schema di bilancio: accorpamento di politica agricola e fondi di coesione, fondo unico nazionale, esclusione delle regioni dal rapporto con l’Ue, tagli per finanziare il riarmo. L’Italia. con il ministro per la Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, è stato il primo Paese a contestare i tagli ai fondi agricoli, ma soprattutto l’accorpamento con i fondi di coesione che taglia circa il 30% dei soldi per i campi e lo sviluppo delle aree svantaggiate. Malcontati sono circa 180 miliardi di euro e c’è l’incognita Ucraina: se entrasse nell’Ue assorbirebbe da sola 100 miliardi di fondi agricoli. Scrivono gli eurodeputati: «Nel maggio 2025 il Parlamento europeo ha affermato che l’approccio del “piano nazionale unico per Stato membro” come modello di riferimento non dovrebbe costituire la base per la spesa in gestione condivisa dopo il 2027. Questo è purtroppo e chiaramente ciò che la Commissione ha riproposto. Il Parlamento europeo non può accettarlo come base per iniziare le negoziazioni». Siamo al muro contro muro. Per la (fu) maggioranza Ursula sono inaccettabili l’accorpamento e il taglio dei fondi agricoli con il fondo di coesione. Viene rifiutato in toto lo schema secondo cui i finanziamenti vengono assegnati a ogni Stato che dispone di un fondo unico tagliando fuori le Regioni. Scrivono i gruppi parlamentari: «Siamo contrari a un’Unione à la carte, con decisioni nazionali centralizzate che compromettono il valore aggiunto dell’Ue. La proposta attuale non garantisce la copertura per tutte le categorie di regioni europee, porta a una mancanza di prevedibilità e distorce il mercato unico, così come le condizioni di parità nel settore agricolo». Aggiungono: «Sono necessarie politiche autonome in materia di agricoltura e coesione, pesca e marittima, politiche sociali e affari interni, con distinti stanziamenti finanziari disciplinati da regolamenti dedicati, anche per garantire una adeguata responsabilità di bilancio». Durissima è la contestazione sulle violazioni dei valori fondanti dell’Ue: «Le violazioni dello Stato di diritto dovrebbero, come principio, portare a riduzioni automatiche di budget per gli Stati e insistiamo che non ci debba essere alcuna riassegnazione dei fondi dell’Ue sospesi a causa di violazioni dello Stato di diritto».
Infine due punti qualificanti: il massimo rispetto dell’autonomia delle Regioni e la rivendicazione del ruolo del Parlamento. Sul primo punto si afferma: «La politica di coesione non può essere progettata e gestita esclusivamente dai governi centrali nazionali. Il ruolo delle regioni e delle autorità locali deve pertanto essere rafforzato». Sul secondo si rivendica che «Il Parlamento europeo dovrebbe essere coinvolto nell’approvazione e nella modifica dei piani degli Stati membri con un atto delegato, così come nel processo decisionale riguardante tutta la programmazione degli importi di flessibilità e degli adeguamenti ai bisogni in evoluzione o alle nuove priorità». La conclusione? Il 12 novembre la «plenaria» di Strasburgo discute la proposta della Commissione che non ha intenzione di modificarla. L’aria è da ne resterà uno solo, e però ci sarà sempre qualcuno che invoca la forza dell’Europa!
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia, Sergio Berlato, durante un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.
