Pestaggi e torture venivano immortalati e diffusi sui social. Un’organizzazione spietata, che non si limitava a far entrare gli immigrati illegalmente in Europa dalla Rotta balcanica. Li trattava come prigionieri di un racket senza scrupoli. E poteva contare su una cellula operativa che dal cuore della Puglia organizzava la traversata tramite il Friuli Venezia Giulia per poi consegnarli a chi li avrebbe trasferiti verso Nord. Gli investigatori del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, hanno individuato e arrestato due afgani che avevano scelto l’area metropolitana barese per mimetizzarsi. Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani. I due, secondo gli investigatori, non erano semplici scafisti o passeur, ma meccanismi di un ingranaggio più grande: «Un’organizzazione transnazionale» che avrebbe gestito la rotta illegale dei clandestini verso l’Europa, con destinazione il Belgio e il Regno Unito. I viaggi, definiti «infernali» dagli immigrati, avrebbero garantito un business milionario all’organizzazione. Chi non poteva pagare ulteriori somme veniva brutalmente picchiato. Alcuni sarebbero stati addirittura abbandonati in condizioni critiche. I criminali documentavano tutto: botte, umiliazioni, abusi. Il tutto per convincere chi si era affidato a loro a sborsare ancora. Per rivendicare la loro forza, i video finivano principalmente su TikTok, tant’è che l’inchiesta è stata ribattezzata dagli investigatori «Douyin», ovvero il nome cinese del social. Si andava avanti senza cibo né acqua per giorni, stipati nei camion come bestie. Con lunghi percorsi a piedi. L’inchiesta è partita da Anversa, in Belgio. E gli arresti di Bari sono solo un tassello di un’operazione più ampia. La Direzione distrettuale antimafia di Bari ha accolto l’ordine europeo trasmesso dall’autorità giudiziaria belga, messo in moto dall’Europol, che ha coordinato la polizia federale belga, la National crime agency britannica, i carabinieri del Ros e altre forze investigative europee. Il coinvolgimento di più Paesi, viene sottolineato dagli investigatori, testimonierebbe l’ampiezza del sistema. Misure cautelari sono state eseguite contemporaneamente anche in Belgio e nel Regno Unito. In Italia, i Ros hanno operato con il supporto dei carabinieri di Bari e di Gorizia, insieme alla squadra operativa del tredicesimo reggimento Friuli Venezia Giulia. L’organizzazione si muoveva grazie a una logistica ben collaudata: uomini di fiducia piazzati nei punti strategici, documenti falsi prodotti su richiesta, mezzi di trasporto attrezzati per il traffico illecito. E poi il sistema di comunicazione criptata, che permetteva ai criminali di coordinare le operazioni senza lasciare tracce evidenti. Mentre il denaro scorreva veloce attraverso i money transfer, rendendo più difficile il tracciamento dei flussi. E non è finita. Secondo l’Operational task force, il gruppo (sul quale è ancora concentrata l’attività investigativa, che non si è conclusa con gli arresti), attivo principalmente in Serbia e Bosnia Erzegovina, potrebbe contare anche su nuclei «armati organizzati». «Lo Stato non molla di un centimetro di fronte a pericolosi criminali», ha commentato la senatrice di Fratelli d’Italia Francesca Tubetti, che ha aggiunto: «Le sfide che abbiamo di fronte impongono attenzione massima nella tutela delle nostre frontiere. Il governo Meloni ha fornito e continuerà a fornire risposte chiare e concrete».
Alla fine la Commissione Affari Costituzionali della Camera è riuscita a terminare l’esame degli emendamenti.
Ci è voluto un robusto supplemento di sedute, ma alla fine la Commissione Affari Costituzionali della Camera è riuscita a terminare l’esame degli emendamenti del Dl migranti (che alcuni chiamano il “Cutro 2”) e dare il mandato per l’aula al relatore Francesco Michelotti, di Fratelli d’Italia. Il provvedimento, che scade il prossimo 4 dicembre, arriverà in aula domani, con due giorni di ritardo rispetto all’iniziale tabella di marcia a causa dell’ostruzionismo delle opposizioni. Fin dalla prima seduta, infatti, Pd, M5s e Avs avevano messo in atto il cosiddetto “filibustering”, consistente nel far prendere la parola su ogni emendamento tutti i deputati presenti in commissione, facendo loro impiegare tutto il tempo a disposizione. Come giustificazione a questa scelta, i gruppi di minoranza avevano opposto la richiesta al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di venire a riferire sull’accordo con l’Albania per la realizzazione, da parte del nostro paese, di due centri per la permanenza dei migranti soccorsi in mare dalla autorità italiane.
Visti i tempi ristretti per la conversione del decreto (scade il prossimo 4 dicembre) e considerato che lo stesso deve essere ancora approvato dal Senato, è quasi certo che l’esecutivo domattina in aula a Montecitorio, al termine della discussione generale, porrà la questione di fiducia. Nel corso dell’esame in commissione del provvedimento sono state introdotte novità importanti, attraverso emendamenti e subemendamenti della maggioranza. Con un subemendamento presentato dal leghista Igor Iezzi e votato da tutto il centrodestra è salito da tre a cinque mesi il termine massimo per la permanenza un minore di età non inferiore ai 16 anni nei centri per adulti. Il subemendamento Iezzi interviene sul testo portando i "novanta giorni" del decreto varato dal governo Meloni, a 150 giorni. La nuova versione del testo recita infatti che i 90 giorni sono “prorogabili per un periodo massimo di ulteriori 60 giorni e comunque nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente allo scopo destinate". L’altra novità riguarda i tempi massimi di permanenza nei centri di prima accoglienza per i minori non accompagnati, che salgono da 30 a 45 giorni.
Le modifiche al testo, coerentemente a tutto l’iter del provvedimento in commissione, hanno generato vivaci proteste tra maggioranza e opposizione. In particolare il Pd ha parlato di “propaganda sulla pelle dei minori”, mentre il centrodestra, attraverso il relatore, ha espresso la propria soddisfazione per il lavoro fatto, a dispetto dell’ostruzionismo.
Non so se Giorgio Napolitano si sia mai pentito di essere stato per oltre mezzo secolo comunista. Di certo, di questo presunto ravvedimento non ha mai dato prova e, una volta al Quirinale, si è ben guardato dal senatrice dem, «per i disperati che arrivano da guerre e fame, oltre a essere un provvedimento infame e un insulto all’umanità, è il più evidente segnale di un governo totalmente incapace di gestire in Italia e in Europa un fenomeno epocale come quello che stiamo vivendo».
Bene, anzi molto male: la norma dei 5.000 euro, sulla quale le opposizioni hanno sollevato un polverone, non riguarda i Centri di permanenza per il rimpatrio. «La possibilità di una garanzia finanziaria di circa 5.000 euro», chiarisce il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, «non riguarda le persone trattenute nei Cpr, ma nuove strutture di trattenimento di richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri, la prima delle quali sarà aperta domani a Pozzallo». Non solo: secondo le solite cervellotiche direttive europee, se non si prevede questa possibilità, ovvero di versare una garanzia economica in alternativa al trattenimento, si rischia di essere costretti a lasciar libero l’immigrato. La norma, ci spiegano infatti dal Viminale, è stata introdotta con un emendamento del governo, approvato in Parlamento in sede di conversione del decreto Cutro. L’emendamento, per quanto riguarda specificatamente l’opzione della garanzia finanziaria da offrire al richiedente asilo in alternativa al trattenimento, recepisce una previsione della direttiva europea 33/13 cosiddetta «accoglienza» (articolo 8, paragrafo 4). La mancata previsione della possibilità di una cauzione a garanzia del mancato trattenimento nelle quattro settimane necessarie per decidere sulla domanda di asilo, avrebbe esposto la procedura di trattenimento al rischio di ricorsi per contrasto con il diritto europeo.
La misura, come spiega Piantedosi, non si applica in nessun caso a quanti sono trattenuti nei Cpr perché irregolarmente presenti sul territorio nazionale. La sua portata applicativa è infatti limitata alle procedure accelerate alla frontiera che avvengono in appositi luoghi di trattenimento integrati negli hotspot ed è destinata esclusivamente ai richiedenti asilo che presentano domanda direttamente alla frontiera, nel caso in cui provengono da Paesi considerati sicuri in base a standard internazionali, come la Tunisia, o dopo essere stati fermati per aver eluso o tentato di eludere i controlli. «Il recepimento di una direttiva europea», spiega ancora il titolare del Viminale, «farà partire da lunedì (domani, ndr) a Pozzallo, in provincia di Ragusa, la prima struttura di trattenimento di richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri, la Tunisia per esempio, per fare in modo che si possano realizzare procedure di accertamento del fatto se sussistono i presupposti per dare la protezione internazionale, lo status di rifugiato, o viceversa assoggettare a espulsione. Si tratta della prima struttura», aggiunge Piantedosi, «per disbrigare velocemente le procedure accelerate di frontiera, accertando se sussistono i presupposti per dare la protezione internazionale, lo status di rifugiato, o viceversa assoggettare a espulsione che è la cosa sempre invocata da tutti, i Comuni soprattutto, con la prospettiva di farlo in un mese rispetto ai tre anni che avvengono oggi con aggravi e costi».
La struttura da 300 posti sorgerà nell’area industriale. «La direttiva Ue», aggiunge il ministro dell’Interno, «prevede la possibilità di trattenerli con un provvedimento convalidato dall’autorità giudiziaria e che l’alternativa da offrire sia che possano decidere di prestare una sorta di garanzia anche economica per evitare il trattenimento. A me sembra una questione marginale rispetto all’obiettivo che è quello di risolvere il problema storico di tenere le persone in un limbo per anni sul nostro territorio con grave carico sul bilancio dello Stato».
La differenza tra le chiacchiere e i fatti è tutta qui: in questi giorni abbiamo ascoltato e letto, da parte della sinistra, amenità di ogni genere, in relazione a questi 5.000 euro di cauzione. Insulti pesantissimi sono piovuti sul governo, con le opposizioni che hanno messo in collegamento questa cauzione con i Cpr, quando bastava leggere le carte per capire che si trattava di una bufala. Può anche darsi che almeno alcuni di quelli che hanno fatto questo falso accostamento mentissero sapendo di mentire: tra ignoranza e malafede non sappiamo cosa sia peggio. In serata in ogni caso il premier, Giorgia Meloni, ha comunque ammesso: «Sull’immigrazione i risultati non sono quelli che speravamo di ottenere. Ne verremo a capo comunque, in una seconda fase».
A proposito di soldi: il governo tedesco conferma il finanziamento da 790.000 euro alla Ong Sos Humanity, che gestisce la nave Humanity1 che opera nel Mediterraneo, e alla la Comunità di Sant’Egidio. Il coordinatore della comunicazione «terra-mare» della Ong, Lukas Kaldenhoff, si lamenta pure: definisce all’Ansa la cifra «esigua» rispetto alle disponibilità europee e in grado di coprire solo un quarto delle esigenze annuali di Sos Humanity. «Rispetto al bilancio dell’Unione europea per l’agenzia di frontiera Frontex, che è stimato in 850 milioni di euro per il 2023, il denaro fornito dal ministero degli Esteri tedesco è molto esiguo».
Sono lontani i tempi in cui Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, si faceva fotografare con i profughi afghani appena arrivati da Kabul e, dal suo profilo Facebook, assicurava che l’accoglienza della Regione da lui guidata non si sarebbe fermata. All’epoca, si rallegrava perché l’indomani sarebbero giunte altre famiglie in fuga dalla guerra.
Ancor più lontani i tempi in cui, di fronte alla rivolta degli abitanti di Gorino, i quali avevano fatto le barricate per impedire l’arrivo di un gruppo di migranti, il governatore chiedeva premi per chi accoglieva gli extracomunitari, ma allo stesso tempo sollecitava qualche penalità nei confronti di quei Comuni che si fossero dichiarati contrari a spalancare le porte dei loro centri ai nuovi arrivati.
Sì, ne è trascorso di tempo da quel periodo e nel mezzo abbiamo anche visto l’ex candidato alla segreteria del Pd dichiarare con una certa polemica che, nonostante il governo facesse sbarcare le navi delle Ong cariche di profughi proprio nelle città amministrate dal centrosinistra, lui e gli altri amministratori rossi avrebbero fatto la loro parte. Oggi, passati un po’ di mesi e avendo visto sfilare qualche migliaio di richiedenti asilo, Bonaccini sembra assai meno propenso all’accoglienza. Infatti, da giorni è sulle barricate insieme ad altri governatori progressisti contro l’idea di istituire in ogni regione dei Centri di permanenza per il rimpatrio. «Non se ne parla», ha tuonato, mettendosi alla testa della rivolta insieme a Eugenio Giani, suo collega toscano, e a Vincenzo De Luca, omologo campano. Tutti uniti contro l’idea di creare in ogni regione una struttura dove ospitare, ma sarebbe meglio dire rinchiudere, gli extracomunitari che non devono rimanere nel nostro Paese. Oggi, la maggior parte di coloro che sono sbarcati senza essere richiedenti asilo, in quanto non in fuga da alcuna guerra o persecuzione, ma solo in cerca di un posto dove stare meglio e magari farsi mantenere, vengono lasciati liberi di vagare per la Penisola e, naturalmente, anche di far perdere le proprie tracce una volta lasciata Lampedusa o altre località di arrivo. Il piano del governo prevede invece di allungare il periodo in cui un non avente diritto alla protezione umanitaria possa essere trattenuto in un Cpr, al fine di consentire entro il periodo ragionevole di un anno e mezzo l’espulsione. Oggi i posti dei Cpr non arrivano a 1.000, dunque si pone il problema di creare altri centri per poter «parcheggiare» migliaia di migranti in attesa di espulsione e, secondo i piani del ministero dell’Interno, ogni Regione dovrebbe averne uno.
Ecco, alla sola idea di avere un Cpr in casa, Bonaccini e compagni sono insorti. Non si sa se perché contrari all’idea dei rimpatri di chi non ha diritto a restare o se per banali esigenze politiche, che potrebbero consistere nel voler ottenere una contropartita economica o nel non voler inimicarsi quella parte di elettorato che di migranti non ne può più. Nel primo caso, se cioè la contrarietà al piano di tanti Cpr diffusi sia dovuta a una linea pro richiedenti asilo, la soluzione semplice è che Bonaccini e colleghi si facciano carico dei clandestini, sistemandoli a casa loro. Qualora invece l’opposizione al progetto di nuovi centri per il rimpatrio fosse dovuto a banali esigenze di cassa, come già in passato lo stesso Bonaccini fece capire, reclamando un aumento del 50 per cento dei contributi per ogni persona accolta, sarebbe la conferma che i «profughi» sono un affare. Perché, come diceva Salvatore Buzzi, il boss di Mafia Capitale, ogni immigrato vale oro per chi si occupa della sua accoglienza. Oppure, più banalmente, la ragione di tanta opposizione non è dovuta solo alla volontà di tenere anche chi non ha diritto di restare e nemmeno alle intenzioni di speculare sulla pelle di gente che ha rischiato la vita per attraversare il Mediterraneo. Infatti, dietro alle belle parole sull’accoglienza poi c’è la realtà dei fatti e come quando si parla di opere pubbliche, si scopre che le vogliono tutti, ma non nel loro giardino. Ecco, Bonaccini e compagni sanno benissimo che se ospitassero un Cpr a Bologna o a Firenze la popolazione insorgerebbe e la loro popolarità precipiterebbe e dunque sono pronti a opporsi, invocando perfino l’autonomia regionale che fino a ieri hanno contrastato in tutti i modi. Ma dietro alle posizioni ufficiali, gratta gratta viene sempre fuori la realtà, che è quella che lo stesso governatore dichiarò mesi fa, quando accusò il governo di non essere capace di fermare gli sbarchi. Sì, con grande imbarazzo della compagna Elly Schlein, favorevole all’accoglienza sempre e comunque, il presidente del partito disse proprio così: «Nelle città ormai è emergenza arrivi. Quadruplicati gli sbarchi da quando governano». Ma come? Gli immigrati non erano una risorsa e l’emergenza un’invenzione della destra? La risposta della segreteria del Pd fu che il governatore era stato frainteso, anche se quelle frasi le aveva scritte su Twitter. Frainteso? No, forse fraintendiamo quando i compagni dicono di essere pronti all’accoglienza.
Se qualcuno cercava una conferma al fatto che l’unica soluzione, per l’Italia, per fermare gli sbarchi illegali di migranti sulle sue coste sia fare da sola, questa è arrivata ieri. Ed è arrivata da una delle fonti più autorevoli in materia, vale a dire il portavoce della Commissione europea per gli affari esteri, Peter Stano, che nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles ha risposto a una domanda sull’ipotesi di una missione navale europea (fortemente invocata dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni) con parole inequivocabili. «Non entriamo in dettagli e non commentiamo idee o proposte che emergono a livello nazionale», ha detto Stano, «ma ricordo che qualsiasi missione europea è uno strumento di politica estera e di sicurezza comune. Qualsiasi decisione su queste missioni è nelle mani dagli Stati membri e va presa all’unanimità dei 27».
Andando più nel merito, il portavoce ha spiegato che «quando i Paesi terzi sono coinvolti è logico che serve avere il loro consenso e questa è una precondizione di base, ma questo è un discorso prematuro: serve prima la proposta di un Paese, poi bisogna chiedere agli altri Stati membri di discutere e decidere all’unanimità». Insomma, un modo nemmeno tanto diplomatico per dire che l’Italia non otterrà mai un aiuto comunitario, né per la difesa dei confini esterni del continente, né tanto meno per la redistribuzione dei migranti arrivati illegalmente, come si può facilmente dedurre dalla serrata dei confini operata da Berlino e Parigi. Nel caso della Francia, si è arrivati ormai a sigillare il confine con l’Italia schierando l’esercito a Mentone, ma se l’obiettivo è l’unanimità, come insegna la storia dell’Unione europea, è bene non farsi illusioni, soprattutto quando, su un tema così sensibile, la strada verso una soluzione del problema accettabile per il nostro Paese è lastricata di trappole e di sabotaggi, dentro e fuori i nostri confini.
D’altra parte, il lavoro di interdizione sul memorandum d’intesa con la Tunisia che stanno mettendo in campo le sinistre europee e che sta orchestrando l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Josep Borrell, non induceva all’ottimismo a prescindere dalla questione dell’unanimità.
Detto questo, la giornata di ieri ha fornito ulteriori elementi per far proseguire speditamente Palazzo Chigi sulla strada del procedere autonomamente. La conferma dello stallo che circonda questo tipo di decisioni è stata data, parallelamente alle affermazioni di Stano, da quanto accadeva al Parlamento europeo nel corso dei negoziati coi governi nazionali per chiudere l’accordo su tutte le parti del Testo sulla regolamentazione delle crisi migratorie (il cosiddetto «pacchetto migranti»). L’Europarlamento, infatti, è stato costretto a sospendere le trattative sul database europeo per le richieste d’asilo e sullo screening congiunto degli arrivi. La presidente del gruppo di contatto sull’asilo Elena Yoncheva ha dovuto infatti constatare che «mentre i negoziati sulla maggior parte delle proposte legislative del nuovo patto sulla migrazione e l’asilo avanzano a ritmo sostenuto, abbiamo appreso con rammarico che gli sforzi della presidenza per raggiungere un mandato negoziale del Consiglio sul regolamento sulla crisi sono in fase di stallo. Il Parlamento», ha aggiunto, «ha più volte sottolineato il suo impegno verso una riforma globale della politica di asilo e migrazione dell’Unione europea. Tuttavia, ciò è possibile solo se vengono affrontati tutti gli aspetti di questa riforma, anche per quanto riguarda la solidarietà e l’equa condivisione di responsabilità tra gli Stati membri dell’Ue». Ciò, naturalmente, non rappresenta un buon viatico in vista della prossima riunione del Consiglio Ue per gli Affari interni, fissata per il 28 settembre: proprio per questo gli ambasciatori Ue nei Paesi membri, che ieri hanno tenuto un coordinamento nella capitale belga, hanno chiesto che si vada oltre le divisioni e l’immobilismo e che in vista della riunione del 28 vi siano progressi sia sul memorandum Ue-Tunisia che sul Piano in dieci punti presentato a Lampedusa domenica scorsa dalla presidente Ursula von der Leyen.
Sarà dunque quella la sede per approfondire la questione della missione navale e per far venire allo scoperto gli Stati che si oppongono a questa iniziativa congiunta, che come è noto ha avuto un precedente come la missione Sophia, non a caso evocato dallo stesso premier Meloni nella sua visita a Lampedusa di domenica scorsa. Una missione, ha detto sempre il portavoce Stano, interrotta perché nelle ultime fasi non è stata in grado di svolgere pienamente il suo mandato perché mancavano mezzi navali e soprattutto «c’erano disaccordi sullo sbarco e sulla sistemazione delle persone soccorse in alto mare».
Sul fronte delle (poche) buone notizie, si segnala infine l’ottimismo del Commissario europeo Oliver Varhelyi sul memorandum: «Il memorandum con la Tunisia», ha detto, «sta funzionando. Senza, ora ci sarebbero ancora più sbarchi. Ma non si può pensare di abbattere la rete dei trafficanti in due mesi».







