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Beppe Sala (Ansa)
Il limite di 30 chilometri orari in certe aree di Milano non serve per diminuire gli incidenti, già in calo da 20 anni, né per ripulire l’aria (rischia anzi di creare più smog). La verità è che il sindaco ha bisogno di entrate perché le casse del Comune sono vuote.
A differenza di ciò che ci vorrebbero far credere, non c’è alcuna difesa della salute dei cittadini alla base della decisione di istituire un limite di 30 all’ora in tutta la città di Milano. Beppe Sala e compagni giustificano l’istituzione di un’area a circolazione rallentata con l’esigenza di ridurre l’inquinamento e il numero di incidenti nelle vie del centro. In realtà, né il primo né il secondo obiettivo paiono giustificare il provvedimento, e se avrete la pazienza di seguirmi, scoprirete che la sola ragione per cui l’amministrazione comunale del capoluogo lombardo punta a ridurre la velocità è costituita dalle esigenze di fare cassa. Un esperimento che da Milano potrebbe poi estendersi al resto d’Italia, in particolare in quei centri amministrati da giunte rossoverdi.
Premessa: il bilancio della città di Milano fa acqua da tutte le parti e l’aumento dei biglietti per viaggiare sui mezzi pubblici non è in grado di coprire i buchi che si sono aperti con il Covid e i lockdown. Dunque, dopo avere introdotto l’area C e l’area B, che cosa c’è di meglio di una grande area a 30 all’ora? Se il ticket per l’ingresso nel centro e il divieto di guidare auto vecchie in città garantiscono all’amministrazione un robusto introito, immaginate quante multe riuscirà a incassare il sindaco dal calzino variopinto se l’anno prossimo sarà vietato viaggiare in città a una velocità superiore ai 30 all’ora. Con poco sforzo (basterà infatti installare telecamere e postazioni mobili ai quattro angoli della città), il Comune guadagnerà quanto basta per tappare le falle create dalla cosiddetta gestione «sociale» del centrosinistra.
Qualcuno penserà che i nostri sospetti circa le ragioni del nuovo limite siano maliziosi. Ma, come diceva Andreotti, se a pensar male si fa peccato, quasi sempre ci si azzecca. Interessante, da questo punto di vista, è un’analisi condotta dal sito Truenumbers, che dopo aver letto le dichiarazioni di alcuni promotori del divieto di circolazione a una velocità superiore ai 30 chilometri orari, si è chiesto se davvero sia l’allarme incidenti a spingere verso una riduzione dei limiti. Beh, a leggere i dati, si scopre che la zona 30 all’ora non serve a far diminuire gli incidenti, ma a far guadagnare al Comune di Milano più soldi grazie alle multe. Spiega il sito: gli incidenti in città sono da anni in forte diminuzione. Dal 2009 al 2019 (il 2020, essendoci stato il lockdown, non conta e il 2021 è ancora da censire), la riduzione è stata del 28,16 per cento, passando da quasi 19.000 a 13.697. E se si estende il periodo di rilevazione fino al 2001, cioè comprendendo gli ultimi vent’anni, ci si accorgerebbe che il calo supera il 50 per cento. Dunque, perché introdurre una zona lumaca se non c’è alcun allarme? Milano è la città - cito testualmente - con il tasso medio di mortalità stradale più basso non solo d’Italia, ma addirittura d’Europa, perché considerando il rapporto tra morti e numero di abitanti, ha un valore inferiore alla media nazionale e anche a quella dell’Unione europea. Infatti, in città si contano 0,4 morti ogni 100 incidenti, contro una media regionale dell’1,3.
La spiegazione del perché Sala e compagni vogliono far procedere le auto a passo d’uomo è dovuta forse alla necessità di ridurre l’inquinamento? Anche questa argomentazione non trova alcun riscontro nei numeri. Aver introdotto l’area C, con limitazione alla circolazione, non ha ridotto l’inquinamento e lo stesso si può dire dell’area B recentemente istituita. Milano nel 2022 ha conquistato la maglia nera per qualità dell’aria, con circa 3 mesi di aria «fuorilegge». Rispetto al 2021, i giorni con livelli sopra la norma sono stati 91, un terzo in più dell’anno precedente. Ma quel che conta è il fatto che, nonostante a ottobre sia stata istituita l’area B, cioè un divieto di circolazione nell’area urbana per le auto più datate, lo smog non è calato. Qualsiasi esperto poi potrà spiegare che riducendo la velocità si rischia una congestione ulteriore delle strade. Il che è dimostrato anche dai risultati dello scorso anno, cioè dopo la riduzione della carreggiata riservata alle automobili e la realizzazione di numerose piste ciclabili. Invece di diminuire le auto in ingresso in città, sono aumentate e di conseguenza è salito anche il tasso di polveri nell’aria.
Ma se le ragioni che spingono a rallentare la velocità fino quasi a far procedere le auto come se fossero in colonna non sono l’allarme incidenti e nemmeno il desiderio di ridurre l’inquinamento, qual è il motivo per cui Sala e compagni vogliono far marciare le auto a 30 all’ora? La risposta è semplice: la necessità di fare cassa. Ossia di incassare più multe. E qui torniamo a Truenumbers. Il sito di verifica dei numeri, certifica che gli incassi dovuti a infrazioni stradali a Milano sono in forte diminuzione. Forse gli automobilisti si sono fatti più prudenti o semplicemente più accorti. Sta di fatto, che l’ultimo bilancio consuntivo ha riservato alla giunta di centrosinistra una brutta sorpresa. Gli introiti delle multe, invece di aumentare, come in un primo momento era previsto, sono diminuiti. «Per la precisione», scrive Truenumbers, «mancano all’appello 38 milioni di euro», non noccioline. Dunque, che si fa? Mettiamo un nuovo limite, devono aver pensato in Comune: così con la scusa degli incidenti e dello smog, potremo aumentare gli introiti. E così, eccoci arrivati all’idea dei 30 all’ora come misura per il bene comune. Ai polmoni dei milanesi non servirà a nulla, ma al bilancio municipale molto.
Occhio: come dicevo, la città lombarda fa da apripista, ma poi altre arriveranno. I sindaci hanno trovato un nuovo modo per fare soldi alle spalle degli automobilisti.
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Riduci
- I residenti di Muggiano, alle porte della città, isolati dalle nuove disposizioni: lì non ci sono mezzi pubblici e molti utilizzano veicoli agricoli. Un anziano, colto alla sprovvista, ha già accumulato 10.000 euro di multe.
- I veterinari, se liberi professionisti, non disporranno di permessi speciali. Racconta una specialista: «Ora dovremo cambiare i turni e svegliarci alle 4.45».
Lo speciale contiene due articoli.
Chiusi in gabbia, osservati dalle telecamere. Si sentono così i residenti di Muggiano, quartiere della periferia occidentale di Milano, finiti dal primo ottobre, ad esser parte di una vera e propria enclave dell’area B, la zona di Milano (il 72% della superficie della città) interdetta alla circolazione delle auto Euro 2 a benzina o Euro 4 e 5 diesel.
Ma qui non parliamo del centro borghese della città, bensì di una zona collocata a 10 chilometri dal Duomo. Per la sua collocazione geografica questo quartiere periferico che si trova vicino alle campagne si scopre completamente circondato dai varchi della zona a traffico limitato. Lavoratori e residenti non possono far altro che passare continuamente sotto le telecamere, sia che vengano dai comuni dell’hinterland, sia che si spostino da un’altra zona della città. Costretti a passare sotto i varchi in entrata e uscita ogni singola volta, ma se si ha alla guida un’auto non idonea, la pena inflitta sarà quella di pagare una multa fino a 600 euro. Un anziano del posto che non aveva compreso la novità, è arrivato ad accumulare, suo malgrado, ben 10.000 euro di multe in pochi giorni. L’unica alternativa per circolare liberamente è cambiare l’auto per una nuova e green, oppure prendere i mezzi.
A Muggiano abitano 3.000 persone, senza contare quelle che ci transitano come pendolari. La principale strada che attraversa la zona, praticamente l’unica che collega Muggiano con il resto della città di Milano, è via Mosca. Vista la bassa urbanizzazione ed essendo considerata quasi una periferia di campagna, Muggiano non è servita né da linee metropolitane né da linee ferroviarie. Una sola linea di autobus, gestita da Atm, collega il quartiere alle zone limitrofe. Insomma, i suoi residenti possono quasi dirsi chiusi in un ghetto. Senza auto e senza mezzi, salvo uno. Molti, inoltre, hanno mezzi agricoli per lavorare nei campi. E non si tratta certamente di trattori a batterie elettriche...
L’area è circondata da quattro telecamere di monitoraggio degli accessi nell’Area B. Tre si trovano sui lati confinanti con altri Comuni, a ridosso delle campagne, mentre la quarta è posizionata subito dopo il ponte della tangenziale Ovest. In quel punto l’accesso è diviso in due: per chi accede a Muggiano e per chi esce verso il centro di Milano, entrando nel quartiere degli Olmi. In questo modo, gli abitanti di questi due quartieri milanesi, pur appartenendo allo stesso Comune, non possono spostarsi da un luogo all’altro senza uscire e rientrare dai varchi. Sembra di essere tornati al lockdown, insomma, quando in tutta Italia non si potevano attraversare i confini disegnati dalle mappe per andare a trovare i propri cari.
Oggi per i residenti di Muggiano si ripete lo stesso incubo, questa volta però è Beppe Sala, il sindaco di Milano, l’aguzzino, non più il ministro della Salute Roberto Speranza. Questa volta il Dio da servire, non è il diritto alla salute, ma il Dio ecologista.
Per molti raggiungere Milano non è un passatempo, ma un dovere, un impegno lavorativo e dunque per alcune categorie di lavoratori l’estensione dei divieti di accesso nell’area B è diventato un problema in più che si aggiunge alle numerose difficoltà del periodo. «Con le bollette della luce e del gas alle stelle, mi ci mancava di dover cambiare la macchina». È furiosa Doriana Zoggia, artigiana della zona. I suoi clienti sono tutti a Milano e per raggiungerli non può far altro che acquistare un’auto nuova, che rientri nei parametri richiesti dal Comune di Milano per accedere all’area B. «Sono sempre i piccoli ad andarci di mezzo, si fa fatica a vivere adesso», aggiunge nello sconforto, «noi non ce la facciamo più. Farò un mutuo, ma io sono stanca di fare debiti per potermi sempre adeguare. In questo caso mi sembra assurdo». Le testimonianze di questo profondo disagio inascoltato, raccolte da Local team in un video che ga fatto il giro del Web, sono disperate. «Io abito a 500 metri dalla tangenziale, ma ci separa l’area B; quindi, ogni volta per arrivarci devo percorrere 2 chilometri e mezzo. Devo farlo per forza, per il mio lavoro», spiega Maurizio Fiocchi, tappezziere con laboratorio a Muggiano, «devo caricare le mie sedie, i miei divani… Non usiamo la macchina per divertimento, ma per esigenze di lavoro». Secondo Carla Monsorno, residente a Baggio, è tutta una fregatura: «Perché se si volesse veramente tutelare l’area B, si metterebbero a posto le scuole, gli edifici vanno tutti a gasolio. Ci sono moltissime case che vanno ancora a gasolio». Giuseppe Sainaghi, residente a Muggiano vuole essere ancora più chiaro: «Io ho cambiato l’auto, ma è stato un investimento non previsto. La cosa più grave è che non c’è certezza sul futuro: io non so se fra 3 o 4 anni sarà necessario passare all’elettrico ad esempio. Tutti questi continui cambiamenti sono fatti per l’ecologia, ma soprattutto per il business».
Tagliati fuori pure i veterinari privati
La Milano dei ricchi senza auto colpisce anche i veterinari e con loro gli animali che assistono. Fatto salvo per i veterinari di medicina pubblica, infatti, tutti gli altri non disporranno di un permesso per accedere alla famigerata area B voluta dal sindaco di Milano, Beppe Sala. Molti di loro, come tanti altri lavoratori, pur lavorando dentro la città, vivono nell’hinterland milanese e raggiungono il posto di lavoro con i propri mezzi. Non tutti hanno la disponibilità di possedere un veicolo considerato green per gli standard di Sala (le nuove disposizioni vietano la circolazione di auto Euro 2 a benzina o Euro 4 e 5 diesel). Il lavoro di chi cura e assiste agli animali, oltre ad essere un mestiere di pubblica utilità, funziona esattamente come quello degli altri medici: è fatto di turni e reperibilità, con la sostanziale differenza che spesso e volentieri il libero professionista dovendosi recare sul posto, porta con sé macchinari ingombranti e costosi. Ecografi, microscopi per la chirurgia oftalmica e altri strumenti diagnostici.
Sono quasi 2.300 i medici veterinari iscritti all’albo provinciale dell’ordine di Milano, ognuno di loro assiste centinaia di animali e impedire loro di esercitare la loro professione naturalmente mette a rischio la salute degli animali stessi. Garantire il servizio di sanità animale così è impossibile. A Milano, gli animali registrati sono circa 118.292, secondo gli ultimi dati aggiornati al 2020. Un cane ogni 11 abitanti e un gatto ogni 30. Solo considerando gli animali domestici, naturalmente. Ma un conto sono gli animali registrati e un altro la realtà effettiva perché in questi conteggi non si considerano i randagi delle colonie feline non controllate che ampliano notevolmente questi dati.
Raggiungere il posto di lavoro costituisce un altro impedimento. Come racconta Michela Rossi, veterinaria a Milano, infatti, anche gli ospedali veterinari effettuano il cambio turno tra le 8 e le 9 e con le disposizioni dell’area B che risulta attiva dal lunedì al venerdì dalle 7.30 alle 19.30, festivi esclusi, per ora. «Che facciamo, cambiamo tutti i turni di smonto e monto turno? Facciamo 7-19? Così invece di svegliarci alle 5:45 ci svegliamo alle 4:45?». Senza contare la reperibilità che devono prestare i medici veterinari, per ogni emergenza e assistenza. «Raggiungere gli animali da assistere, però, senza un mezzo proprio è praticamente impossibile», spiega.
I liberi professionisti sono quelli che pagano di più perché non sono tutelati da nessun punto di vista ed oltre a doversi imbarcare il rischio di impresa, adesso dovranno anche affrontare un investimento non previsto e di grande spesa come quello di un’auto nuova. «Aggiungo che ho attivato il servizio Move-In già da 1 anno», continua la veterinaria, «ma i km di copertura sono troppo pochi per garantire un anno di servizio. Tralascio la qualità del servizio ai clienti Move-In che è pessimo: se hai un problema prima di risolverlo passano settimane e intanto rischi la multa». Quella del Move-In, per alcuni è proprio una beffa. Dovrebbe funzionare così: secondo il sito del comune di Milano chi aderisce a Move-In può circolare liberamente in area B e nelle zone a traffico limitato di Regione Lombardia - tutti i giorni, nell’arco delle 24 ore - fino al raggiungimento di un tetto massimo di km/anno stabilito in base alla sua tipologia e classe ambientale. Questi chilometri sono sempre troppo pochi e come spiega la veterinaria non bastano per raggiungere il posto di lavoro tutto l’anno, ma solo in emergenza. Si parla infatti di 200 km all’anno per le auto più anziane e 2.000 km per le recenti Euro 5 a gasolio. Oltretutto la black box che si installa per contare i chilometri effettuati è attiva 24 ore e così i chilometri bonus svaniscono subito. Le limitazioni imposte da Beppe Sala a Milano sono dure come in nessun altro luogo in Italia e ad oggi hanno lasciato a piedi, secondo l’Automobile Club, già 483.000 vetture (categoria M1, solo trasporto persone) orbitanti sulla città perché residenti o «pendolari».
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Riduci
(Ansa)
«Mancano tempi tecnici» per levarle: ragazzi imbavagliati agli esami di fine anno.
Una follia, di questo si tratta: gli studenti delle scuole italiane continueranno a dover indossare le mascherine in classe, anche durante gli esami di maturità e terza media. Una notizia che arriva nel giorno in cui il governo ha deciso di eliminare dal 15 giugno l’obbligo di indossarle nei cinema, nei teatri e nelle sale da concerto, mentre dovrebbe restare per i mezzi del trasporto pubblico e per navi, aerei e treni a lunga percorrenza.
La ratio di continuare a imporle nelle scuole proprio non si capisce. Con l’aumento delle temperature, gli istituti si trovano ad affrontare una situazione infernale: bambini, adolescenti, docenti e personale sono costretti a indossare le mascherine per l’intero orario scolastico. Non solo: gli esami di maturità che inizieranno tra tre settimane, a differenza dello scorso anno, prevedono anche le prove scritte: per sei ore consecutive e per due giorni di fila gli studenti dovranno essere sottoposti a una vera e propria prova di resistenza fisica, ormai completamente inutile.
Da più parti arriva la richiesta di porre rimedio a questa assurdità, ma secondo l’Ansa, che riporta «fonti qualificate», «non ci sono i tempi tecnici per modificare la legge attualmente in vigore che prevede l’obbligo delle mascherine fino alla fine dell’anno scolastico». Siamo di fronte alla più totale assurdità: da oggi al 20 giugno, data d’inizio degli esami, c’è quasi un mese di tempo, eppure «non ci sono i tempi tecnici» per evitare questa sofferenza collettiva, spiega un governo che quando si è trattato di introdurre restrizioni durissime ha impiegato 24 ore per varare provvedimenti di difficilissima elaborazione. Oltretutto, in caso di due positivi in classe, i ragazzi sono obbligati a indossare la Ffp2, ancora più invasiva della chirurgica. A quanto apprende la Verità da numerosi addetti ai lavori, soprattutto nelle zone più calde del Paese, in questi giorni si susseguono nelle classi malori e svenimenti a causa della difficoltà di respirare e dell’afa che attanaglia le aule.
Agli esami di terza media e di maturità «potrebbe benissimo essere abolito l’obbligo di mascherina», dice all’Ansa il presidente dell’associazione presidi di Roma, Mario Rusconi, «d’altra parte vedo che si consente che ci siano anche 100.000 tifosi ammassati al Circo Massimo per ore senza alcun obbligo». Al di là della sovrastima dell’affluenza al Circo Massimo, l’esempio di Rusconi è calzante. Un’altra anomalia è che mentre il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi continua tignosamente a difendere l’indifendibile, ovvero l’obbligo delle mascherine a scuola voluto dal ministro della Salute, Roberto Speranza, entrambi i suoi sottosegretari, Barbara Floridia del M5s e Rossano Sasso della Lega, prendono posizione contro di lui: «Concordo», sottolinea la Floridia, «con il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, sulla possibilità di far tenere gli esami di terza media di maturità senza l’obbligo di mascherine per gli studenti. Le scuole si sono dimostrate, nei mesi difficili che ci stiamo lasciando alle spalle, luoghi sicuri, soprattutto grazie alla capacità della comunità scolastica di attenersi alle regole». «Mi auguro», argomenta Sasso, «che le prossime ore portino consiglio al ministro Speranza e che proceda a revocare l’obbligo di indossare le mascherine a scuola, non solo in vista degli esami di maturità e di fine ciclo, ma a partire da subito. Le temperature sono elevatissime in tutta Italia e nelle classi si fa veramente fatica a seguire le lezioni. Tra l’altro», aggiunge Sasso, «non c’è alcuna base scientifica che giustifichi la pervicacia del ministro, come ammesso dai suoi stessi autorevoli consulenti».
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