Compare anche il nome di Giuseppe Razzano, collaboratore della vicepresidente del Parlamento europeo per il Pd, Pina Picierno, nelle carte dell’inchiesta «Sistema Sorrento». Si tratta dell’operazione che ha portato all’arresto in flagranza di reato del sindaco di Sorrento, Massimo Coppola, beccato mentre intascava una mazzetta. Il primo cittadino e il suo staffista Francesco Di Maio sono stati arrestati dalla guardia di finanza della compagnia di Massa Lubrense nell’ambito di indagini coordinate dalla Procura di Torre Annunziata, guidata dal procuratore capo Nunzio Fragliasso. Il sindaco Coppola è accusato di aver intascato una tangente da seimila euro da un imprenditore. Gli inquirenti hanno accertato l’esistenza di presunti illeciti che sarebbero stati commessi, in particolare, nell’assegnazione di appalti a Sorrento. Da quanto è emerso, l’advisor della vicepresidente Picierno, non risulta tra le persone indagate e destinatarie delle perquisizioni, ma il suo nome compare nel provvedimento emesso dalla Procura in cui si dispone la perquisizione delle persone indagate ma anche di tutte quelle che o si trovavano nei luoghi perquisiti o che «per il loro atteggiamento o per i loro rapporti» con le persone indagate possano «far nascere il sospetto» di occultare documenti o altro. Ma, nella mattinata di ieri, quando circolava la notizia di perquisizioni a carico di Razzano, l’imprenditore di Maddaloni ha immediatamente replicato: «Non ho subito alcuna perquisizione e non mi è stato notificato alcun provvedimento. Sono pronto a tutelare la mia immagine nelle sedi opportune». Dalle carte dell’inchiesta viene fuori il nome di Razzano più volte e soprattutto le indagini stesse partirebbero proprio dai sospetti su un appalto alla società Comunicando di cui lui risulta legale rappresentante. Si tratta di uno degli appalti sui quali la Procura vuole fare chiarezza. La Comunicando è una società di consulenza che si occupa di organizzazione di campagne di comunicazione e pubblicitarie che però, secondo gli investigatori, non era in possesso di uno dei requisiti richiesti nel bando di gara. Infatti, il fatturato della società sarebbe dovuto essere pari al valore posto alla base dell’asta per gli ultimi tre esercizi. Dai controlli eseguiti dalla Guardia di finanza è stato accertato che la società ha iniziato a operare solo dal 3 novembre 2020 mentre l’appalto in questione è stato aggiudicato il 15 giugno 2021. In riferimento agli affidamenti e alle gare sospette «emergevano nominativi ricorrenti, quali Razzano e Guida», scrivono gli inquirenti, «che, attraverso partecipazioni societarie anche in altre persone giuridiche, e per interposta persona, erano risultati, direttamente o indirettamente, aggiudicatari». «L’interesse investigativo» su Razzano, Guida e Coppola parte da un esposto presentato all’anticorruzione comunale nell’ottobre 2022 da un politico di Sorrento che all’epoca dei fatti faceva parte della maggioranza. In quell’esposto erano stati ipotizzati dei sospetti su alcune gare e affidamenti da parte dell’amministrazione comunale di Sorrento. Tra questi affidamenti c’era quello che riguardava la promozione del «Brand Sorrento», aggiudicata alla società di comunicazione riconducibile a Razzano. I magistrati hanno cercato di fare chiarezza sull’affidamento di servizi come quelli relativi anche alla promozione della Notte Bianca. Le indagini hanno cercato di fare chiarezza sui rapporti tra Razzano e Raffaele Guida, un amico del sindaco Coppola. Guida, detto «Lello il Sensitivo», è considerato dagli inquirenti il fiduciario dei «rapporti corruttivi» tra il sindaco Coppola e gli imprenditori. Quest’ultimi, secondo i pm, sarebbero stati disposti a pagare le «mazzette» per lavorare a Sorrento. L’imprenditore Razzano nel 2019 ha svolto il ruolo di capo della segreteria politica di Bruxelles. In passato è stato anche responsabile nazionale della comunicazione dei Giovani del Pd.
Tra Frosinone e Napoli i furbetti si sono buttati sugli appalti del Pnrr e dell’accoglienza dei migranti: un «pactum sceleris», lo definisce il gip del Tribunale di Frosinone che ieri mattina ha disposto misure cautelari per dieci persone, compreso il sindaco di Ceccano, Roberto Caligiore, elicotterista dei carabinieri ed esponente di Fratelli d’Italia, finito ai domiciliari. Con lui una sfilza di funzionari comunali e imprenditori: Stefano Annibali, indicato dall’accusa come un facilitatore; Stefano Polsinelli, gettonatissimo ingegnere che avrebbe ottenuto le principali opere pubbliche da realizzare, tra cui il restauro del Castello dei conti e la realizzazione di un centro socio educativo per minori; Antonio Annunziata, che avrebbe messo a disposizione una rosa di società di costruzione fittiziamente intestate a prestanomi campani; Elena Papetti, architetto, funzionario del settore Lavori pubblici destinataria, secondo l’accusa, di consistenti utilità e benefici economici provenienti da rilevanti provvigioni per le nomine a Rup; Camillo Ciotoli, geometra, responsabile dei Lavori pubblici municipali con presunte connivenze imprenditoriali; Diego Aureli, capo dell’ufficio strategico per il Pnrr, avrebbe «contribuito con la propria condotta» all’ipotizzato disegno criminoso; Gennaro Tramontano, commercialista, il suo studio sarebbe stato messo a disposizione per la realizzazione del «pactum sceleris»; Danilo Rinaldi, imprenditore, avrebbe fatto consegnare una mazzetta da 14.000 euro; e Vincenzo D’Onofrio, imprenditore dell’accoglienza, sarebbe riuscito a far adottare alcune determinazioni con le quali i funzionari comunali avrebbero disposto la liquidazione di alcune fatture. Sono tutti finiti ai domiciliari. Altri tre indagati, invece, sono stati interdetti dall’esercizio della professione.
La maxi operazione giudiziaria, coordinata dall’ufficio di Roma della Procura europea, ipotizza l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Con un sistema ben strutturato che, secondo l’accusa, mirava a corrompere i processi di aggiudicazione degli appalti pubblici. Disposto anche il sequestro preventivo di oltre 500.000 euro, considerati proventi illeciti accumulati grazie al sistema corruttivo. Con al centro importanti appalti pubblici che sarebbero stati pilotati da soggetti esterni all’amministrazione comunale, ma con la complicità del sindaco e dei funzionari. Si tratta di concessioni e autorizzazioni pubbliche per un valore di circa 5 milioni di euro. Il denaro, ottenuto attraverso fatture false e bonifici verso aziende fittizie, sarebbe stato successivamente riciclato e consegnato a mano (ma non sempre) ai vertici dell’associazione criminale che, secondo la Procura, era guidata anche dal sindaco.
Tra gli appalti finiti sotto la lente degli investigatori ci sono lavori di riqualificazione del centro storico per 666.500 euro, la messa in sicurezza della scuola elementare di Borgo Berardi per 440.000 euro e il restauro del Castello dei Conti per 1.386.000 euro. Tutti questi appalti sarebbero stati assegnati senza il rispetto delle regole, utilizzando procedure negoziate e senza la pubblicazione dei bandi di gara. Ma al centro dell’inchiesta c’è il maxiappalto per i servizi di accoglienza integrata per i richiedenti asilo e rifugiati: un affare da oltre 1,5 milioni di euro. La cooperativa Antea, incaricata del servizio e della quale D’Onofrio è un consigliere d’amministrazione, avrebbe effettuato pagamenti per servizi fittizi, contribuendo così all’arricchimento dell’organizzazione criminale. Solo nel 2022 avrebbe effettuato in favore di una delle società riconducibili alla presunta associazione criminale bonifici per un totale di circa 60.000 euro, per asseriti servizi di pulizie. Annibali, intercettato, bisbigliando spiega il funzionamento del business con la coop: «A inizio maggio fa una fattura e poi fa l’altra... poi viene... paga quando ci rifaranno la cosa indietro... ’sto mese ha avuto difficoltà, perché mi ha scritto... tre giorni fa... quando mi fa “caffè” vuol dire che ha fatto il bonifico bancario [...] ci mandano la cosa». E non è finita: Annibali si lamenta pure perché avrebbe dovuto versare un obolo allo Stato: «Vuole sempre quella cazzo di società... io gli ho detto “non li facciamo con ’sta società che paghiamo le tasse”... perché lui dice “Ste’, a me serve per forza una società”... c’ho detto... “fa’ co’ ’na società d’ingegneria. Dici che ti sei fatto fa’ uno studio per la ristrutturazione degli appartamenti...”. Lui mi ha detto, “siamo troppo sotto controllo”, cioè ha paura».
Negli affari, secondo l’accusa, rientrerebbe pure il primo cittadino: «La ricezione del denaro da parte del sindaco», scrive il gip, «e la consapevolezza di tutti dell’irregolare assegnazione degli appalti al fine di ottenere indebiti benefici economici è palesemente dimostrata dalle intercettazioni delle conversazioni fra i pubblici amministratori corrotti». Papetti, ricostruisce il gip, «su specifica richiesta di Caligiore, si è dichiarata disponibile a occultare per conto di quest’ultimo una imprecisata somma di denaro da lui detenuta presso la propria abitazione». Il giorno precedente la Guardia di finanza aveva perquisito Tramontano. Ed è in quel momento che le microspie captano il sindaco «palesare l’intenzione di spostare una imprecisata somma di denaro detenuta a casa all’insaputa della moglie, temendo di non poterne giustificare il possesso».
In due occasioni avrebbe ricevuto denaro «non dovuto» da un procuratore di Ntt DataItalia: prima 50.000 euro, il 22 febbraio, poi una somma che gli investigatori non sono ancora riusciti a quantificare, il 15 maggio. L’inchiesta romana che riguarda diversi manager di Tim, come svelato in esclusiva dalla Verità sabato scorso, è partita da due diversi filoni: il primo riguarda i presunti rapporti di corruzione tra alcuni dipendenti della compagnia telefonica e manager di Ntt Data ed era uno stralcio di un’inchiesta milanese; il secondo, invece, ha messo sotto la lente d’ingrandimento le presunte mazzette pagate a uno o più manager di Tim dall’imprenditore romano Massimo Rossi, lo stesso beccato mentre pagava mazzette a Paolino Iorio, direttore generale di Sogei (partner tecnologico del ministero dell’Economia e delle finanze). La nuova puntata dell’indagine coinvolge Simone De Rose, dirigente Tim e titolare della funzione Procurement, ed Emilio Graziano di Ntt Data Italia. I due ieri mattina si sono trovati gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria e del Gico della Guardia di finanza a casa per una perquisizione. L’accusa, come aveva ricostruito la Verità, è di «corruzione tra privati». De Rose, secondo i pm Gianfranco Gallo e Alessandro Picchi, avrebbe «ricevuto» il denaro «per compiere atti in violazione degli obblighi inerenti al suo ufficio e comunque in violazione degli obblighi di fedeltà». Tim, dopo il nostro scoop era già corsa ai ripari, come ammesso dalla stessa azienda ieri con le agenzie: «Un audit interno (strumento che si avvia in automatico dopo presunte irregolarità, ndr) è stato attivato già lo scorso 18 ottobre appena sono circolate le prime indiscrezioni». Quel giorno, in prima pagina, avevamo titolato: «Dietro le mazzette Sogei c’è l’indagine su Tim». L’azienda se ne è subito accorta, gli altri organi di informazione no. Adesso l’audit «punta a fare un’analisi dettagliata sulla regolarità dei processi interni», sia quelli per gli affidamenti diretti, sia quelli gestiti con gara. Tim ha subito confermato la perquisizione del suo dipendente, sostenendo che «collaborerà con gli inquirenti anche per ricostruire eventuali responsabilità a danno del gruppo». La vicenda giudiziaria ha causato ripercussioni sul titolo in Borsa: Tim ha perso il 3 per cento in apertura e ha chiuso cedendo il2,4 a 0,24 euro. Anche Ntt Data ha ribadito «la piena disponibilità a collaborare per l’accertamento dei fatti». L’indagine che coinvolge De Rose e che si presenta come un intrigo finanziario che si dipana nel cuore dell’industria tecnologica digitale, come detto, segue due piste. La prima è partita proprio dalla presunta attività di corruzione messa in moto da Rossi, che poi si sarebbe estesa a Sogei. L’altra è si è sviluppata approfondendo gli affari tra Tim e Ntt data. E qui gli investigatori sono arrivati a De Rose e Graziano. L’inchiesta coinvolgerebbe, però, anche altri nomi di Tim. Nei mesi scorsi erano stati attenzionati almeno cinque tra manager e dipendenti, tutti impegnati in settori della digitalizzazione delle comunicazioni e attivi in funzioni come Rete digitale, Procurement, Ingegneria e Vendite. Un paio di loro lavorerebbe a Noovle (la società di Timche si occupa del settore cloud) e in Sparkle, l’azienda di Telecom che fornisce servizi di telecomunicazioni internazionali in Italia. Se le indagini sui dipendenti Tim sono andate avanti per mesi nel massimo riserbo, il filone su Sogei, ha subito una brusca accelerazione perché, mentre gli investigatori intercettavano Iorio, il dg dell’area business di Sogei, hanno intuito che proprio la sera dell’arresto Rossi era pronto a consegnare la mazzetta. E probabilmente, viste le attività di intercettazione in corso nella Land Rover di De Rose, gli inquirenti volevano tentare il bis. Ora, per verificare il contenuto delle conversazioni «e in particolare», scrivono i pm, «il tenore dell’accordo corruttivo», hanno disposto l’acquisizione dei loro dispositivi elettronici. Non solo nelle rispettive abitazioni, ma anche in due sedi di Ntt Data Italia e nell’ufficio romano di Tim occupato da De Rose. Nelle chat gli investigatori hanno cercato il nome di «Massimo Rossi». Ma hanno inserito anche altre chiavi di ricerca: «Bmc, Service now, Delphix, Veritas, Security e Soc». L’accelerazione dell’inchiesta su Sogei ha rivelato il coinvolgimento di Andrea Stroppa, ex collaboratore della «Bestia» social di Matteo Renzi e oggi collaboratore di Elon Musk, in una vicenda che riguarda la digitalizzazione del Pnrr, con Starlink che propone connessioni più rapide e convenienti rispetto alla fibra. E mentre tutti pensavano che l’indagine avrebbe rappresentato un ostacolo per il piano di Starlink, in rotta con Tim per la mappatura delle frequenze, nessuno immaginava che dietro se ne nascondesse proprio una sui manager del colosso italiano delle telecomunicazioni.
L’inchiesta sulle infiltrazioni di Qatar e Marocco in Europa sta prendendo sempre più la forma di una sceneggiatura da spy story. E non solo perché gli investigatori si sono mossi dopo una segnalazione dei servizi segreti. Ora la Procura belga ipotizzerebbe che a spingere Rabat a investire sull’ex eurodeputato Antonio Panzeri e sul suo circuito sia stata la necessità di controllare il dossier Pegasus, un’inchiesta dell’Europarlamento sul software spia israeliano che sarebbe stato utilizzato anche all’interno della Commissione europea, come certificò lo scorso luglio il commissario per la Giustizia Didier Reynders. In un documento, indirizzato all’eurodeputata Sophie in ‘t Veld, Reynders comunicava di aver ricevuto nel 2021 una notifica da Apple sulla possibile violazione del suo Iphone tramite Pegasus. L’avvertimento portò a un’indagine sui dispositivi elettronici (sia quelli personali che quelli utilizzati per lavoro) dei funzionari della Commissione. Sebbene non siano state trovate prove della violazione dei telefoni di Reynders e del personale della Commissione, gli investigatori hanno comunque segnalato alcuni «indicatori di compromissione». E, così, nel marzo scorso, il Parlamento europeo, con 635 voti favorevoli, 36 contrari e 20 astenuti, ha deciso di istituire una commissione d’inchiesta sull’uso di Pegasus (e anche di altri spyware). Nel frattempo sui giornali di vari Paesi cominciano a saltare fuori notizie che puntano su Rabat, sospettata di aver usato il software per farsi i fatti dell’Ue. Con «i servizi segreti di Rabat», riporta Repubblica, «accusati di aver utilizzato il software per spiare il telefono del presidente francese Emmanuel Macron». E quello di Romano Prodi ai tempi della presidenza della Commissione europea, in quanto inviato speciale delle Nazioni Unite nel Sahel per il rilascio del Sahara occidentale, un territorio conteso tra il Marocco e la Repubblica Araba. Ma anche, come denunciato da Amnesty International, circa 180 giornalisti di tutto il mondo (sette dei quali marocchini). L’apertura di un dossier Ue deve avere quindi preoccupato i marocchini. Che devono essersi mossi anche con manovre di disinformazione, visto che sul Washington Post a giugno è spuntato un elenco con i premier spiati. Tra il nome di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, e quello di Macron vengono inseriti anche il premier marocchino Saad Eddine El Othmani e il re del Marocco Mohammed VI.
A quel punto apprendere i contenuti del dossier europeo e, soprattutto, le conseguenze che avrebbe potuto produrre potrebbe essere diventata una questione importante per Rabat per mettere in campo delle adeguate contromisure. Dal Marocco avrebbero quindi deciso, ipotizzerebbe la Procura belga, di spingere l’adesione dell’eurodeputato dem (ora sospeso) di S&D Andrea Cozzolino alla Commissione speciale parlamentare. Ma anche quella di altri due parlamentari del Gruppo dei socialdemocratici: l’ormai ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili e la parlamentare italo-belga Marie Arena. Con un compito arduo e delicato, che Repubblica descrive così: «Intervenire, senza però mai dare l’impressione di lavorare per il nemico». Ovviamente apparire in modo aperto troppo filo Rabat nel Parlamento europeo avrebbe dato nell’occhio. Il team avrebbe quindi lavorato al servizio del Dged, il servizio marocchino, e del suo 007 numero uno: Yassine Mansouri. Che avrebbe incontrato Cozzolino. E anche Panzeri un paio di volte. E la Kaili? «La mia percezione», commenta ora Sophie in ‘t Veld, relatrice del testo della Commissione Pegasus, di cui proprio Kaili era relatrice ombra, «è stata quella di non avere un alleato in lei, come in altri membri della Commissione, per questo motivo ho scelto di proseguire nel mio lavoro di stesura del testo da sola e posso dire di non aver ricevuto pressioni alcune».
Gli inquirenti dell'euroscandalo sospettano che Nicolò Figà-Talamanca, direttore dell'Ong fondata da Emma Bonino e figura chiave dell'«organizzazione criminale attiva nell'opera di corruzione del Parlamento», abbia riciclato parte delle mazzette in Val d'Aosta. Affari immobiliari, sull'isola di Paros, anche per Francesco Giorgi ed Eva Kaili.
Potrebbe apparire come una riedizione del classico Cinepanettone natalizio. Ma non è così. Il giudice istruttore belga Michel Claise sospetta che parte dei soldi utilizzati dal Qatar e dal Marocco per corrompere la cricca socialisti dell’Europarlamento e da sindacalisti siano stati riciclati nell’acquisto di una casa a Cervinia con vista sul celebre picco innevato.
Il personaggio chiave di questo filone d’inchiesta è Nicolò Figà-Talamanca, nato a Genova nel 1971 da padre romano e madre greca. Per gli inquirenti belgi è una delle figure chiave dell’«organizzazione criminale» che sarebbe «attiva nel campo dell’interferenza attraverso la corruzione dei membri del Parlamento europeo». E questo sodalizio opererebbe a Bruxelles «con la collaborazione di persone designate come “amici”». Il capo della presunta banda sarebbe l’ex sindacalista ed ex europarlamentare del Pd e successivamente di Articolo1 Pier Antonio Panzeri, coadiuvato dal suo ex assistente Francesco Giorgi e dal capo del sindacato mondiale Luca Visentini e da Figà-Talamanca. Quest’ultimo, venerdì 9 dicembre, è stato arrestato a Bruxelles, con l’accusa di corruzione nell'ambito dell’inchiesta sul presunto Qatargate.
La Procura federale, come ha reso noto il portavoce Eric Van Duyse, ha presentato ricorso contro la decisione con cui giovedì 15 dicembre la Camera di consiglio aveva deciso di concedere i domiciliari a Figà-Talamanca a patto che indossasse il braccialetto elettronico.
Sino a una settimana fa era il direttore generale della Ong Non c'è pace senza giustizia (No peace without justice). Quest’ultima viene presentata sul sito ufficiale come «una associazione internazionale senza fini di lucro, fondata da Emma Bonino e nata nel 1993 da una campagna del Partito radicale transnazionale, che lavora per la protezione e la promozione dei diritti umani, della democrazia, dello stato di diritto e della giustizia internazionale». La Bonino è tutt’ora presidente della Ong, che ha due sedi, una a Bruxelles e una Roma, non lontano dalla stazione di Trastevere.
Adesso si scopre che tra richieste di approfondimento investigativo contenute nell’ordine europeo di indagine inviato a inizio mese alla Procura di Milano c’è un passaggio fondamentale: «Abbiamo riscontrato che Nicolò Figà-Talamanca sembra aver acquisito i suoi beni in Italia forse riciclando i proventi della loro attività criminale utilizzando la sua società Nakaz development Sprl (società privata a responsabilità limitata, ndr). Infatti il numero di conto […] il cui titolare è il notaio E.S. è finanziato per un importo totale di 207.200 euro tra il 26 aprile 2022 e il 28 aprile 2022 con la causale “acquisto appartamento V. a Brueil Cervinia” dal conto Belga intestato a Nakaz». Per questo il giudice Claise ha invitato le autorità italiane a raccogliere la testimonianza di chi abbia in uso l’appartamento nell’edificio Schuss I e ne ha chiesto il sequestro.
Costituita nel 2007, la Nakaz development, stando al sito Companyweb.be, ha sede a Bruxelles e ha come oggetto sociale le «pubbliche relazioni» e l’«attività di comunicazione». Fino al 2019 i bilanci risultavano in perdita, mentre nel 2020, a fronte di un margine operativo lordo di 89.725 euro, è stato registrato un utile di 49.286. Nel 2021 il mol è passato a 99.903 euro, con un utile di 54.474.
Gli oltre 200.000 euro trasferiti dal Belgio all’Italia sono effettivamente serviti per concludere un vero affare immobiliare. Come conferma il rogito recuperato dalla Verità. Nell’atto si legge che lo scorso 29 aprile Figà-Talamanca e una coppia di settantenni residente in provincia di Lecco si sono seduti davanti a un notaio di Chatillon, in Val d’Aosta. I coniugi hanno ceduto alla Nakaz development Sprl la proprietà di un appartamento di 90 metri quadrati in un condominio di Valtournenche (di cui Breuil Cervinia è una frazione). Figà-Talamanca ha firmato il rogito «in qualità di amministratore e rappresentante» della Nakaz. Alla fine ha acquistato, al prezzo non esorbitante di 215.000 euro, un appartamento al quarto piano composto da 5 stanze più autorimessa. Per l’esattezza: ingresso, disimpegno, cucinino, soggiorno, due camere, due bagni, ripostiglio e due balconi. La rendita catastale dell’immobile è di 1058,74 euro.
Il prezzo sembrerebbe davvero vantaggioso se consideriamo che su Internet ieri abbiamo trovato un annuncio che propone nello stesso stabile, questa volta al piano rialzato, per 220.000 euro, un bilocale di 50 metri quadrati, composto da ingresso, soggiorno con balcone, cucina, camera e bagno con vasca. È vero che è ristrutturato, ma è la metà di quello acquistato da Figà-Talamanca.
Nell’atto di aprile le modalità di pagamento sono descritte così dal professionista: «Quanto ad euro 30.000 la parte venditrice dichiara e riconosce di avere ricevuto tale somma dalla parte acquirente e ne rilascia quietanza; quanto alla rimanente somma di euro 185.000, la stessa è stata versata dalla parte acquirente sul mio conto corrente dedicato a mezzo bonifico accreditato in data 26 aprile 2022 […]; si conviene tra le parti che tale somma verrà pagata da me notaio con bonifico bancario immediatamente successivo alla sottoscrizione del presente atto, sul conto corrente indicato dalla parte venditrice».
La compravendita sembrerebbe avvenuta senza ricorrere a finanziamenti bancari.
Per arrivare al condominio Schuss I occorre inerpicarsi lungo una strada sopra Cervinia. Dopo pochi tornanti si arriva al serpentone di cemento con un centinaio di alloggi. Nulla di trascendentale, ma con una vista mozzafiato.
Siamo in località Cielo alto e il parcheggio è pieno delle auto dei villeggianti accorsi per il week end. L’appartamento acquistato da Figà-Talamanca si trova al quarto piano. Nella scala B rappresenta l’ultimo livello, nella scala A non è presente. O per lo meno non c’è il pulsante con quel numero sull’ascensore.
Il portiere ci accoglie con cortesia. Gli chiediamo se Figà abbia comprato un appartamento lì e lui conferma. Quando gli spieghiamo meglio il motivo della nostra visita e lo informiamo che siamo giornalisti alza le braccia al cielo e ci intima di allontanarci pena l’arrivo dei carabinieri.
Figà-Talamanca può sentirsi tranquillo da quelle parti con un portiere del genere.
Purtroppo sui citofoni ci sono solo numeri e nessun nome. Stessa scelta per le cassette della posta. Persino nei lunghi corridoi (che fanno tanto Shining) che conducono agli appartamenti e sono attraversati da una passatoia rossa non c’è traccia di targhette. La privacy è totalmente assicurata. Anche perché qui Figà-Talamanca è arrivato solo da pochi mesi e adesso è costretto a rimanere in Belgio anziché godersi le vacanze di Natale in versione Massimo Boldi e Christian De Sica trascinando gli sci in via Carrel, il corso principale della rinomata località montana.
La storia delle operazioni nel settore del mattone di Figà-Talamanca ha altri due capitoli. Nel 2012 i suoi genitori, Alessandro e Irene, hanno ceduto al figlio la nuda proprietà della casa di famiglia a Roma. Un appartamento al piano terra di 7 vani più garage, ubicato nella parte nuova della Garbatella, non lontano dalla sede della presidenza della Regione Lazio. Ed è forse in virtù di questa imminente operazione che nel 2011 Figà-Talamanca ha venduto il 50 per cento di un altro immobile di 5 vani situato nei pressi del Colosseo al fratello Lorenzo. Anche in queste due operazioni pare che non siano stati accesi mutui.
Sembrano amare il settore immobiliare anche altri due componenti della supposta cricca finita sotto inchiesta in Belgio. Nelle scorse ore le autorità greche hanno sequestrato una società creata un mese fa e intestata a Francesco Giorgi e alla compagna Eva Kaili, l’ex vicepresidente dell’Europarlamento, attualmente in stato di arresto in carcere. La società, su cui sono in corso verifiche da parte dell’Antiriciclaggio ellenico, ha sede a Kolonaki, uno dei quartieri più lussuosi di Atene.
Ieri i media greci hanno raccontato che la coppia, attraverso il veicolo congelato dagli investigatori, ha investito 300.000 euro in un terreno di nove acri (circa 36.000 metri quadrati) sull’isola di Paros dove intendeva costruire una villa con piscina. La compravendita dell’appezzamento sarebbe stata effettuata nove mesi fa. Secondo le cronache gli abitanti dell’isola hanno descritto il lotto acquistato dai due come un terreno di pregio, con vista panoramica sulla pianura e sul mare.
Anche Figà-Talamanca ha origini greche, ma pare che almeno in questo affare non c’entri nulla.







