Ospiti del talk condotto da Daniele Capezzone negli studi di Utopia, Luca Pastorino di Liberi e uguali e Antonio Martino di Forza Italia. Argomenti del giorno: il punto sulla riforma del catasto, la fine dell'emergenza sanitaria e la crisi in Ucraina.
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2022-02-07
Riccardo Molinari: «Leu pesa nel governo più di noi: inaccettabile. Green pass da abolire»
Riccardo Molinari (Ansa)
Il capogruppo leghista alla Camera: «Pretendiamo pari dignità. Con Salvini potremmo decidere di non votare il decreto in Aula».
Riccardo Molinari, presidente dei deputati della Lega, il governo ha bisogno di un cambio di passo?
«Certamente è necessario che la nostra presenza al governo abbia pari dignità rispetto agli altri. La Lega in termini di numeri è il secondo gruppo in Parlamento. Talvolta le posizioni di Leu contano più delle nostre, e non possiamo più accettarlo».
Per questo i ministri leghisti non hanno votato l’ultimo decreto Covid?
«Hanno pesato molto le regole sulla scuola: si sta creando una discriminazione nelle classi tra bambini vaccinati e non vaccinati. Non siamo assolutamente un partito no vax, ma chiediamo di essere ascoltati su alcuni punti che non condividiamo».
Per esempio?
«Non siamo mai stati d’accordo sull’obbligo di green pass sul luogo di lavoro. Allo stesso modo, siamo contrari al green pass per i minorenni: una regola ingiusta, perché il minorenne non può decidere se vaccinarsi o no. Non ha senso subire limitazioni per scelte fatte da altri».
Dunque in aula non voterete il decreto?
«Intanto i nostri ministri non l’hanno approvato: l’atteggiamento in aula lo decideremo con il segretario. Dobbiamo uscire dalla logica per cui “emergenza” significa soppressione totale del dibattito parlamentare. Il presidente Mattarella ha lanciato un messaggio chiaro sull’importanza della democrazia parlamentare e sul rischio di imposizioni tecnocratiche».
Quindi, alla luce della linea dettata dal presidente Mattarella, lei si aspetta che il decreto Covid venga modificato in Parlamento, altrimenti la Lega si comporterà di conseguenza, in scia di quanto già deciso dai ministri leghisti?
«Ne discuteremo, ma mi sembrerebbe più che logico».
Serve una riconciliazione nazionale che passi dall’abolizione del green pass?
«Assolutamente sì. Le continue strette sul green pass hanno radicalizzato le posizioni delle persone dubbiose sul vaccino, che si sono viste comprimere alcuni diritti. Il green pass era stato pensato come strumento per indurre alla vaccinazione, e in parte ha funzionato: d’altro canto, ha radicalizzato una parte della popolazione che magari attraverso un’opera di convincimento si sarebbe vaccinata più serenamente».
Escludiamo rimpasti di governo?
«Non è mai stata un’idea della Lega chiedere un rimpasto. Chiediamo di incidere di più, e la provocazione di Giorgetti sulle dimissioni aveva lo scopo di ribadire un disagio. Stiamo sostenendo il governo per senso di responsabilità, non neghiamo l’emergenza: ma non può esserci uno che decide, mentre tutti gli altri seguono».
Il presidente Mattarella ha posto l’accento su due argomenti chiave: caro bollette e riforma della giustizia.
«Due argomenti non scontati. Fratelli d’Italia in questi giorni ha alimentato polemiche strumentali sul fatto che la Lega si sarebbe rassegnata a un presidente di sinistra. Ciò che ha detto Mattarella a Montecitorio sulla magistratura, sulla riforma del Csm, sulle logiche correntizie delle toghe, non mi sembra esattamente un discorso di sinistra…»
Come se il Mattarella bis fosse più vicino ai temi cari alla Lega?
«In questi 7 anni molte cose sono cambiate. C’è stato il caso Palamara e il grillismo imperante: forse c’è stata una generale presa d’atto della necessità di una riforma che la Lega sente come indispensabile, al punto da aver proposto i referendum sulla giustizia insieme con i radicali».
Giorgia Meloni chiede: «Chi sceglie la Lega tra noi e il governo?».
«È una domanda che ha poco significato. Matteo Salvini ha cercato di tenere insieme la coalizione. Chi ha compromesso l’unità del centrodestra è stato Fratelli d’Italia, rompendo la linea comune con la candidatura di Guido Crosetto. E poi Forza Italia e Coraggio Italia, che non hanno votato Elisabetta Casellati. La scelta di Mattarella non è stata dettata dall’appartenenza al governo: era la scelta migliore rispetto alle alternative che si stavano delineando».
Dicono che l’accordo sul nome di Elisabetta Belloni era praticamente fatto. Poi avete improvvisamente virato su Mattarella. Com’è andata?
«Non è esattamente così. Sulla Belloni c’era un mezzo accordo anche con Meloni, ma sono stati Pd e 5 stelle, dopo una prima disponibilità, ad averlo fatto saltare. Alla votazione successiva Forza Italia era pronta a votare Casini con il centrosinistra. Viste le alternative, Matteo Salvini ha preferito scegliere la riconferma di Mattarella».
Insomma, un altro rigore sbagliato a porta vuota per il centrodestra, dopo la sconfitta alle amministrative?
«La coalizione aveva il dovere di proporre un nome vicino alla nostra parte politica. Cosa che è stata fatta. Le responsabilità del fallimento di quel tentativo sono tutte nella casa del centrodestra. Alla prova del voto sulla presidente Casellati sono mancati più della metà dei voti di Coraggio Italia, e la metà dei voti di Forza Italia. Dunque le responsabilità sono abbastanza evidenti».
Salvini ha detto che il centrodestra si è squagliato come neve al sole; qualche giorno prima lei ha scritto che la Lega ricostruirà il centrodestra più forte di prima, «ma senza estremismi legati a ideologie sconfitte dalla storia». Si riferisce a Giorgia Meloni?
«Da parte di Fratelli d’Italia non sono volate carezze nei nostri confronti. E non siamo sacchi da boxe. Intendiamo rafforzare l’alleanza di centrodestra, a patto però che tutti siano d’accordo: se qualcuno non vuole l’alleanza, è chiaro che a questo punto guardiamo altrove».
Cioè?
«Quando Salvini ha rilanciato il progetto della “federazione di centrodestra”, è ovvio che si rivolge a chi sta condividendo con noi la responsabilità di governo, e non a chi da fuori gioca a distruggere tutto, fingendo che il Covid non sia mai esistito, o che la gente non sia morta negli ospedali, o che non vi sia un’emergenza nel nostro Paese. Pensarla così non significa essere sovranisti, ma giocare sulla pelle degli italiani».
Questo cosiddetto «Partito repubblicano» sarebbe più vicino a Orbán o alla Merkel?
«In questo momento agli italiani della collocazione europea dei partiti interessa relativamente. Il punto è capire chi in Italia vuol far parte di un centrodestra che non scappa dalla responsabilità di governo, restando unito nei momenti decisivi. Sul Quirinale si è visto chiaramente che il centrodestra unito non è. Anche se sono convinto che, in ogni caso, troveremo il modo di convivere».
Anche nella Lega è in corso una riflessione. Esiste una «fronda del Nord», governatori compresi, che vuole spodestare Salvini?
«Mi sembrano ricostruzioni fantasiose rispetto alla realtà. Ho letto di governatori e ministri che non sarebbero stati coinvolti nelle trattative sul Quirinale. In realtà Salvini ha organizzato tre riunioni plenarie di grandi elettori, e in ogni incontro erano presenti tutti, compreso Giorgetti. Ricordo inoltre che Salvini è entrato nel governo Draghi proprio sulla spinta delle componenti leghiste che oggi farebbero parte di questa cosiddetta “fronda”».
È partito il cantiere del grande centro. Con abbinato sistema elettorale proporzionale. Che effetto fa?
«Visto che la candidatura di Casini era spinta dai proporzionalisti, Salvini ha fatto bene a stopparla. Altrimenti questa strategia centrista si sarebbe rafforzata. Per il resto, se c’è ancora un centrodestra, resteremo uniti sul maggioritario. Ma Toti ha già rotto questo accordo, e Forza Italia dovrà chiarire la sua posizione».
Se Forza Italia sale sul carro del proporzionale, cosa farà la Lega?
«Devo essere sincero, questi temi non ci appassionano. Non è il momento di perdere tempo a parlare di legge elettorale. Vogliamo piuttosto concentrarci sulle emergenze reali del Paese come il caro energia, la riforma della giustizia e il ritorno alla normalità con misure di buonsenso».
Dunque è tutto nelle mani di Forza Italia?
«L’appello di Salvini al progetto di partito repubblicano con Forza Italia serve proprio a fare asse sui temi cruciali per il Paese».
Alle prossime amministrative presenterete candidature congiunte con gli alleati?
«Al netto degli schiaffoni che ci diamo a livello nazionale, sui territori ci sono altre logiche. Da questo punto di vista non ho percepito voglia di rompere i patti. Credo che i territori saranno lasciati liberi di decidere per il meglio».
In Liguria c’è il rischio che cada la giunta?
«Che cada magari no. Certamente il governatore Toti deve fare chiarezza, perché non può essere di centrodestra quando gli servono i voti della Lega, e poi a Roma mettersi insieme a Renzi per un gruppo nuovo».
Elezione diretta del cCapo dello Stato: si può fare?
«Da sempre sosteniamo federalismo e presidenzialismo. Sono nostre battaglie storiche».
Per concludere: il vostro appoggio al governo Draghi è irreversibile?
«Di irreversibile c’è solo la morte e le tasse. Un anno fa abbiamo scelto di entrare nel governo per dare una mano alle categorie più colpite dalla pandemia, le partite Iva e gli autonomi. Abbiamo affrontato una convivenza complicata con il centrosinistra e i 5 stelle: ma non è un matrimonio. Restiamo dentro, a condizione di essere ascoltati e rispettati».
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Il deputato di Liberi e uguali e segretario della commissione Bilancio: «Le discussioni provengono da tutti i gruppi ma non emergono problemi particolari. Alcuni punti specifici, come le concessioni autostradali, avranno comunque altre sedi di discussione, in particolare a Palazzo Chigi».
Stefano Fassina, deputato di Liberi e uguali e segretario della commissione Bilancio, c'è clima di battaglia nella discussione sul Decreto milleproroghe...
«Le discussioni provengono da tutti i gruppi ma non emergono problemi particolari. Alcuni punti specifici, come le concessioni autostradali, avranno comunque altre sedi di discussione, in particolare a Palazzo Chigi».
Avete trovato qualche punto programmatico a parte l'antisalvinismo?
«Si deve trovare. Il sottoscritto è stato tra quelli che fin dall'inizio ha messo in evidenza che il governo non poteva nascere all'insegna dell'“anti" ma con una proposta politica per quanto limitata, date anche le differenze tra le forze politiche che compongono la maggioranza. Non dimentichiamo che la principale di queste forze usciva da un'esperienza di governo con un partito molto diverso».
Siete soddisfatti della legge di bilancio?
«È stata approvata tra grandi difficoltà. Il principale limite è stato la scarsa consapevolezza della sofferenza delle partite Iva, dei lavoratori autonomi e delle micro imprese a causa del soffocamento della domanda interna. Ora si deve definire un'agenda che affronti nodi del Paese in positivo, altrimenti bisogna prendere atto che non ci sono le condizioni per andare avanti».
Come verrà condotta questa verifica?
«La prossima settimana cominceranno gli incontri tematici a Palazzo Chigi. Se non ne esce un programma convincente, ne prenderemo atto. Sopravvivere non fa bene a nessuno».
Finora il governo si è trascinato nei rinvii.
«Questo sarà un passaggio decisivo e nei giorni successivi bisognerà tirare le somme».
Che previsioni fa sulla durata del governo?
«Ritengo che vi possano essere le condizioni per andare avanti se finisce lo smarcamento continuo per ragioni di visibilità».
Cioè Matteo Renzi?
«In questi mesi abbiamo visto questioni chiuse la sera a Palazzo Chigi e riaperte la mattina dopo sui giornali. Nemmeno a noi piacciono tante cose di questo governo: per esempio, il compromesso raggiunto sulla prescrizione. Se Italia Viva ritiene inaccettabile il faticoso compromesso raggiunto sulla prescrizione se ne prenda atto e si torni al voto».
Quali sono i punti programmatici decisivi per Leu?
«Innanzitutto, il lavoro, i diritti dei lavoratori e le prospettive delle piccole imprese. Poi la direzione di marcia sull'Unione europea, come ad esempio, il Meccanismo europeo di stabilità: a dicembre con i 5 stelle abbiamo assunto una posizione molto chiara e diversa da quella del Pd e Italia viva che erano sostanzialmente d'accordo sulla firma alla revisione del trattato. Abbiamo raggiunto un obiettivo importante con il ministro Speranza: la cancellazione dei superticket in sanità. Ma, a differenza di altri, non passiamo la giornata a cercare punti sui quali possiamo distinguerci per avere visibilità».
Giuseppe Conte non è troppo prudente?
«È cambiato il quadro politico della sua azione. Rispetto all'inizio della legislatura, i 5 stelle sono più in difficoltà e c'è stata una scissione nel Pd. Il quadro si è molto complicato e così anche la sua funzione di mediazione».
Come valutate l'avvicinamento tra Pd e 5 stelle?
«M5s e Pd dovrebbero riconoscere che giocano e devono giocare nella stessa metà campo, opposta a quella del centrodestra che in questo anno e mezzo si è definita in modo molto chiaro e riconoscibile in termini di posizioni ideologiche. Il nostro campo però non è omogeneo, e nessuno deve puntare a ridurlo a un solo soggetto o a un partito unico: qui troviamo un partito importante come il Pd, insediato sulle fasce sociali che in questi decenni hanno beneficiato del mercato unico e della globalizzazione, ma ci deve essere un altro soggetto che invece rappresenta chi si trova in difficoltà, i lavoratori e la piccola impresa boccheggiante che deve avere un'altra rappresentanza. Due soggetti nello stesso campo che si possono alleare ma restano diversi, tanto più con una legge elettorale proporzionale. E sbaglia chi sottovaluta le implicazioni politiche dell'indebolimento del M5s. Serve strutturare una rappresentanza autonoma per le fasce sociali che il Pd non rappresenta più da tanto tempo e che non riuscirà a rappresentare continuando lungo la rotta sulla quale si è posto».
Alle regionali cercherete convergenze o vi distinguerete dal Pd come Italia viva?
«Per cultura politica, non ci appartiene la testimonianza identitaria. Quando c'è un'elezione a turno unico è chiaro che si cercano le condizioni per convergere. In Puglia, seppure con tutta una serie di punti critici e di proposte nostre specifiche, sosteniamo la ricandidatura del presidente Emiliano».
Italia viva fa il gioco del centrodestra?
«Si assumeranno la responsabilità delle conseguenze che potrebbe provocare una candidatura alternativa. Però confido anche che gli elettori sapranno riconoscere le proposte serie e quelle strumentali».
S.Fil.
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