«Se da giovane non lo fai con passione, icchefai?». Già. Senza passione nulla avviene. E non è solo una questione di età. Senza dubbio, se di anni ne hai 34 e hai iniziato a lavorare a 20, oltre alla passione ci sono l'entusiasmo, la forza, l'energia, la creatività a mille. Nulla ti può fermare, vai avanti come un treno. Emanuele Bicocchi, designer inserito nella classifica dei top ten dei nuovi brand italiani più popolari, e l'unico di gioielleria, è un cavallo di razza che in poco tempo ha saputo scalare le alte e ripide salite del successo riuscendo in un'impresa titanica solo sostenuto dalla sua voglia di fare e di emergere. Lui la chiama «moda a chilometro zero» perché tutto avviene a Montevarchi, giusto giusto a metà strada tra Firenze e Arezzo, più precisamente a Terranuova Bracciolini.
«Studiavo al liceo scientifico e non avevo mai pensato alla moda. Mia mamma aveva un piccolissimo laboratorio artigianale di gioielli e ho iniziato scoprendo i metalli e la struttura delle lavorazioni. Lì ho capito che avevo una possibilità».
Non basta un'idea, però.
«Ho subito pensato che era meglio partire lavorando per grandi maison e collaborazioni esterne e quindi ho scritto personalmente alla maison Fendi, prendendo i contatti su un giornale, dove, in poco tempo, mi venne concesso un colloquio. Mi presentai come un giovane ragazzo dalle belle speranze e con tante idee. Dal primo appuntamento ho fatto amicizia con Eric Wright, all'epoca direttore creativo di Fendi e braccio destro di Karl Lagerfeld. Eravamo nel 2003. Da subito ho iniziato a lavorare a stretto contato con Eric e, da zero, mi fece fare la collezione di gioielli per la sfilata. Ci eravamo piaciuti a pelle, un'immediata sintonia d'intenti».
Disegnavate assieme gli accessori?
«Mai disegnato in vita mia. Nel mondo della moda, scatta qualcosa di naturale, quasi primitivo. Non devi essere per forza laureato, è un mondo di vibrazioni, di sensazioni senza regole scritte. La prima stagione ho lavorato per Fendi ma già alla seconda mi sentivo incompleto e avevo la necessità di esprimermi con la massima libertà. Avevo 20 anni, ho conosciuto Giulia, mia moglie, che ne aveva sedici e mi ha dato la spinta giusta. Una bambina di sedici anni che mi disse “perché non si fa una linea insieme?" E ci ha messo anche delle risorse dopo aver parlato con la mamma. E così è stato, siamo partiti carichi di speranze. Andavo a proporre i nostri gioielli ai negozi ma sempre di alto livello. Le difficoltà iniziali erano tante soprattutto per chi, come noi, non aveva soldi. Oggi vendiamo in tutto il mondo nei migliori negozi in Cina e in America, nei department store più importanti come Barneys, Neiman Marcus, Saks e Selfridges a Londra».
Come avviene la produzione?
«Nonostante ora si venda in tutti i continenti la produzione è totalmente artigianale fatta solo da tre persone: io, Gino Diamanti, l'altro mio socio, e un collaboratore. Giulia Diamanti, mia moglie, si occupa delle vendite. Si fa tutto a mano, l'oggetto si plasma nelle nostre dita ogni volta che se ne fa uno. Sono migliaia di pezzi, ho le mani tutte spaccate. Il bracciale a treccia, quello iconico, è nato così, con una catena che ci piaceva che abbiamo intrecciato».
Soprattutto è piaciuto a un vastissimo pubblico.
«Un sacco di celebrity indossano i nostri gioielli. In Italia Nek; Irama, le sue piume sono le nostre; Renga; Salmo; J-Ax; la Dark Polo Gang; Salvatore Esposito in Gomorra.
In America gli One Direction e Zayn Malik, Gigi Hadid, Machine Gun Kelly attore del film di Netflix sui Motley Crue e poi, ancora rigorosamente top secret, due perle enormi di cui non posso parlare e dove il nostro bracciale sarà protagonista, due film sempre campioni d'incassi».
Come riuscite a soddisfare tutte le richieste lavorando in tre?
«Le richieste che non ci interessano si annullano. Per esempio in Toscana si vende solo a Forte dei Marmi e da LuisaviaRoma a Firenze. Volendo potremmo avere altri venti negozi ma non ce la faremmo, quindi si sceglie. Ci troviamo nella condizione che la domanda supera l'offerta. Sono partito da zero, non dico che dei soldi non me ne frega nulla, sono importanti però siamo a un compromesso eccellente, se vuoi un bracciale di Emanuele Bicocchi lo trovi solo in certi negozi e non ovunque. A livello produttivo ora possiamo permetterci questo. Se si allargherà il lavoro magari penseremo di prendere altre persone. Ma ci teniamo molto a fare la produzione interna».
Quanto tempo impiega a produrre un bracciale?
«Per una treccia fatta a mano, lucidata a mano, almeno due tre ore a bracciale. Sul gioiello c'è la costruzione, la lucidatura e il colore giusto e queste ultime due operazioni, se ne fai cento, diventa più veloce. In tre siamo riusciti a creare una buona catena produttiva».
Quali materiali usa?
«Solo argento e pietre come quarzi, occhi di tigre per dare tocchi di colore. E poi ci sono i pezzi placcati oro. Una scelta che ci dà soddisfazioni. L'oro costa settanta volte l'argento e pesa il doppio. Se un bracciale d'argento costa 600 euro, d'oro può arrivare a 6-7.000 euro. S'è preferito un bel bagno d'oro ed è un buon compromesso per avere comunque un'immagine di rilievo».
Prossimi passi?
«Uno molto importante lo abbiamo già fatto. Quando abbiamo iniziato distribuivamo i nostri oggetti in vari show room ma abbiamo deciso di aprire il nostro spazio a Milano, nonostante mille difficoltà perché non ci si aveva una lira. Ma questo rispecchiava i nostri ideali. Si trovarono le risorse in famiglia, tra i nonni, con i quali riuscimmo a dare la caparra per l'affitto. I clienti ci hanno subito visto come brand con uno spazio completamente dedicato. Una scelta che ha pagato. Farfetch, piattaforma online con miliardi di fatturato, solo a noi e a Pomellato ha offerto di aprire un monomarca che abbiamo già aperto. Ciò dovuto alla richiesta del prodotto».
E nel futuro?
«Bambini, in piena crescita lavorativa, non ci si riesce. E allora, lavoro. Il futuro è assolutamente esclusività e brand. La nostra fortuna è che i nostri gioielli, fin dall'inizio erano riconoscibili immediatamente. Bisogna continuare a brandizzarsi, non esagerare nella produzione e rimanere esclusivi, diventando desiderabili in maniera adeguata ma anche accontentando le richieste. La bellezza è che produciamo tutto noi».
La maglietta ideata da Lardini per sostenere la Lega del filo d'oro

Il progetto: una maglietta prodotta da Lardini per la Lega del filo d'oro. Con una stampa speciale: «Un'immagine raffigurante me con i miei cugini, 8 bambini, la seconda generazione di Lardini e tutti quei bambini che ogni giorno vengono seguiti dalla Lega del Filo d'Oro desiderosi di vivere a pieno le loro vite e raggiungere i loro obiettivi». Lo spiega Clio Moretti Lardini, figlia di uno dei quattro fondatori dell'azienda, che proprio l'anno scorso ha festeggiato i 40 di attività. Clio, sorda dalla nascita, con questo progetto desidera ringraziare la Lega del filo d'oro per il supporto e la formazione ricevuta da bambina che le consentono oggi di lavorare ed essere parte attiva all'interno dell'azienda di famiglia. «Credo sia importante mostrare agli altri cosa io e le persone come me, siamo in grado di fare. Perché faccio parte della famiglia Lardini, come tutti gli altri, sorda o non sorda». Il ricavato dalla vendita delle tshirt sarà devoluto al Laboratorio del filato, un laboratorio occupazionale presente all'interno dei centri dell'associazione Lega del Filo d'oro, che aiuta lo sviluppo della percezione tattile, l'abilità della mano, la motricità fine e la coordinazione del movimento di entrambe le mani. «Ho sempre sognato di dar vita a un progetto di beneficenza» - continua Clio - «per dare sostegno a chi ha più bisogno. Ho pensato alla Lega del filo d'oro perché io stessa, da bambina, ho avuto modo di entrare in contatto con l'associazione. Grazie alla logopedista Maria Arfelli e alla musicoterapista Fiammetta Santoni, ho imparato a leggere il labiale e ad ascoltare le vibrazioni con il corpo. Oggi sono chi voglio essere e faccio quello che ho sempre desiderato fare. Una t-shirt per unire un ponte tra due mondi».
I nuovi criteri di selezione del colosso francese Kering
Kering, il gruppo francese del lusso, colosso da 13,6 miliardi di fatturato nel 2018 e di oltre 63 di capitalizzazione in Borsa, e che nel portafoglio moda vanta marchi come Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga e Alexander McQueen, imprime una svolta non da poco a tutto il pianeta del fashion scegliendo solo indossatrici e indossatori maggiorenni e annunciando che a partire dal 2020 (quindi dalle sfilate autunno-inverno 2020/2021) farà in modo di non utilizzare più ragazzi e ragazze al di sotto dei 18 anni in passerella e negli shooting fotografici.
«La carta sui rapporti di lavoro e benessere dei modelli elaborati da Kering e Lvmh nel 2017 ha già portato a progressi nel settore del lusso, in particolare introducendo un'età minima di 16 anni per i modelli. Questo nuovo passo segna ulteriori progressi nel continuo impegno di Kering verso le donne», spiega il gruppo. «Come gruppo di lusso globale, siamo consapevoli dell'influenza esercitata sulle giovani generazioni, in particolare dalle immagini prodotte dalle nostre case. Crediamo di avere la responsabilità di proporre le migliori pratiche possibili nel settore del lusso e speriamo di creare un movimento che incoraggi gli altri a seguire l'esempio», ha spiegato François-Henri Pinault, presidente e ad di Kering.
Marie-Claire Daveu, che guida la sostenibilità del gruppo, ha sottolineato che nella visione di Kering «la maturità fisiologica e psicologica dei modelli di età superiore a 18 anni sembra più appropriata al ritmo e alle richieste che sono coinvolte in questa professione. Siamo anche consapevoli del modello che le immagini prodotte dalle nostre maison possono rappresentare per certi gruppi di persone».
Due anni fa Pinault e Bernard Arnault, patron di Lvmh, avevano redatto insieme la Carta dedicata ai rapporti lavorativi e al benessere di modelle e modelli, che introduceva l'età minima di 16 anni per salire in pedana e altri criteri di selezione, tra cui il possesso da parte dei giovanissimi lavoratori di un certificato medico di buona salute, rilasciato da non più di sei mesi, l'eliminazione della taglia 32 per le donne e della 34 per gli uomini nei casting, la possibilità di usufruire di uno spazio riservato per cambiarsi e l'accesso a piani nutrizionali adatti alle loro necessità alimentari.