Sembra una maledizione. L’accusa di oscenità continua a stendersi come una patina nera e grumosa sulla figura, pur titanica, di James Joyce anche 83 anni dopo la sua morte. Lo storico quotidiano dublinese The Irish Times, qualche giorno fa, ha pubblicato un articolo con un titolo sconcertante: «La comunità degli studiosi di Joyce alle prese con accuse di misoginia e molestie». Sottotitolo eloquente: «Le accuse di comportamento inappropriato agli eventi su James Joyce hanno costretto gli organizzatori a introdurre misure di salvaguardia per proteggere i partecipanti». La vicenda ha tratti surreali e in effetti l’idea che austeri consessi di letterati si rivelino sentine di vizio e perdizione popolate di professori porcelloni è in parte comica. Certe scene, a buon diritto, potrebbero stare in un romanzo di Joyce. Non a caso l’Irish Times si è interrogato: c’è forse qualcosa di particolare nell’opera del vecchio James che renda i suoi cultori tanto propensi alla molestia? «C’è qualcosa negli studi su Joyce che possa attrarre questo tipo di uomini? Le comunità accademiche che si occupano, ad esempio, di Samuel Beckett o William Butler Yeats hanno problemi simili?».
Le risposte che il Times ha ricevuto sono ancora più stranianti delle domande. Citiamo dall’articolo del quotidiano irlandese: «“È sicuramente un problema in tutto il mondo accademico, ma sospetto che ci siano alcune caratteristiche o tratti all’interno del mondo di Joyce che lo esacerbano”, ha detto Sam Slote, professore di inglese al Trinity College e uno dei principali studiosi di Joyce in Irlanda». E ancora: «“Joyce era un pervertito”, ha detto uno studioso che è stato preso di mira da abusi. I suoi scritti attirano un certo tipo di persone che trovano “titillante” condurre dibattiti sul seno di Molly Bloom».
Che sia vera o no questa versione dei fatti, il ricorso storico è abbastanza clamoroso. James Joyce fu bollato come pornografo e produttore di oscenità, i suoi romanzi furono censurati e osteggiati ancora prima che uscissero. Ancora prima che la recrudescenza di puritanesimo che oggi chiamiamo «cultura della cancellazione» esistesse, Joyce veniva preso di mira. Da qualche anno a questa parte alcune zelanti accademiche femministe sostengono che egli fosse misogino e patriarcale. Nei primi anni del Novecento, quando il romanziere cercava disperatamente di pubblicare i suoi capolavori, erano addirittura i tipografi e rifiutarsi di stamparli. La vicenda editoriale di opere come Dubliners e Ulysses è dettagliatamente ricostruita in un volume appena pubblicato da Eretica e curato da Andrea Carloni. Si intitola Non posso scrivere senza offendere le persone ed è una antologia di lettere inviate dallo scrittore ai suoi editori e amici in cui si discute della censura. Una mordacchia contro cui Joyce si batté come un forsennato, una battaglia snervante e sfinente, vinta a prezzo di sofferenze paralizzanti.
«Nel caso della raccolta di racconti I Dublinesi le difficoltà si presentarono molto prima della pubblicazione», spiega Andrea Carloni. «Furono necessari nove anni di numerose proposte a editori i quali - per quei pochi che non si rifiutarono fin da subito - pretendevano continue revisioni del manoscritto da parte dell’autore al fine evitare di incorrere in critiche di antipatriottismo o in un’accusa di oscenità a testo pubblicato. Nonostante Joyce si battesse a lungo contro qualsiasi alterazione al testo originario, col tempo fu costretto suo malgrado a cedere ad alcune richieste, finché finalmente il libro venne pubblicato dell’editore Grant Richards nel 1914, anno in cui Joyce iniziò a scrivere Ulisse».
È lo stesso Joyce, in una lettera all’agente letterario James Pinker datata 1917, a raccontare il suo travaglio: «Il libro mi è costato tra spese legali, di viaggio e postali circa 3000 franchi: mi è costato anche nove anni di vita. Ero in corrispondenza con sette avvocati, 120 giornali e diversi letterati a riguardo, i quali tutti, tranne il sig. Ezra Pound, si rifiutarono di aiutarmi. I piombi della fallita prima edizione inglese (1906) furono distrutti. La seconda edizione (Dublino 1910) fu interamente bruciata quasi in mia presenza. La terza edizione (Londra, 1914) è il testo così come l’ho scritto e come ho obbligato il mio editore a pubblicarlo dopo nove anni. [...] I Dublinesi fu rifiutato da 40 editori nel corso degli eventi sopra ricordati. Il mio romanzo Ritratto dell’artista da giovane è stato rifiutato da tutti gli editori».
L’Ulisse ebbe una sorte ancora più complicata. «Entrando in contatto con il poeta Ezra Pound e l’editrice Harriet Shaw Weaver, Joyce aveva iniziato rapidamente ad acquisire fama e credito come scrittore, per cui i suoi romanzi Ritratto dell’artista da giovane e Ulisse iniziarono a essere pubblicati senza revisioni a puntate all’interno di riviste letterarie», racconta Andrea Carloni. «Che già uno scrittore come Pound, per quanto ammiratore dell’opera di Joyce, si fosse mostrato critico verso la crudezza del linguaggio in alcuni brani di Ulisse, rendeva prevedibile il fatto che fra il 1919 e il 1920 le uscite della rivista The Little Review furono più volte sequestrate, finché nel 1921 negli Stati Uniti il testo finì sotto processo e condannato per oscenità, interrompendone la pubblicazione anche nel Regno Unito. Fu soltanto grazie al coraggio di Sylvia Beach e alla sua casa editrice parigina Shakespeare & Co. che il libro uscì in Francia nel 1922. Tuttavia, bisognerà attendere il 1933 perché Ulisse venisse infine liberato dall’accusa di oscenità per essere quindi diffuso negli Stati Uniti nel 1934 e due anni dopo anche nel Regno Unito». In Irlanda, invece, il volume iniziò a circolare liberamente solo a partire dagli anni Sessanta.
Che cosa contenevano di tanto scabroso questi libri? Niente, in realtà. Forse la scena più scandalosa è quella dell’episodio Nausica, in cui Leopold Bloom si masturba guardando Gerty MacDowell e il suo orgasmo è accompagnato dall’esplosione di fuochi artificiali. Certo, Joyce utilizzava un linguaggio ruvido. Ma forse quel che più spaventava soprattutto i suoi compatrioti era la descrizione che egli forniva delle bassezze nazionali. «La mia intenzione era quella di scrivere un capitolo della storia morale del mio Paese e per la scena ho scelto Dublino perché quella città mi sembrava il centro della paralisi», scrisse Joyce a Grant Richards a proposito dei Dublinesi. «L’ho scritto per la maggior parte in uno stile di scrupolosa miseria e con la convinzione che sia uomo molto audace chi osi alterare nel presentarlo, e ancor più deformare, tutto ciò che ha visto e sentito. Non posso fare più di questo. Non posso modificare ciò che ho scritto. Tutte queste obiezioni di cui oggi il tipografo è portavoce mi sono venute in mente mentre scrivevo il libro, sia riguardo agli argomenti dei racconti che al modo di trattarli. Se le avessi ascoltate non avrei scritto il libro. Sono giunto alla conclusione che non posso scrivere senza offendere le persone».
Qualche anno dopo, ancora in balia delle controversie sul testo, scriveva allo stesso destinatario: «Mi importa poco o nulla se ciò che scrivo sia osceno oppure no ma io, se conosco il significato delle parole, non ho scritto nulla di osceno ne I Dublinesi... Con la presente le invio un giornale di Dublino. È il principale giornale satirico delle nazioni celtiche, equivalente a Punch o Pasquino. Glielo invio affinché possa vedere quanto sono spiritosi gli irlandesi, come tutto il mondo sa. Lo stile del caricaturista le mostrerà quanto siano artistici: e vedrà lei stesso che gli irlandesi sono la razza più spirituale sulla faccia della Terra. Forse questo potrebbe riconciliarla con I Dublinesi. Non è colpa mia se l’odore di cenere, erbacce e frattaglie aleggia nelle mie storie. Credo seriamente che lei ritarderà il corso della civilizzazione in Irlanda impedendo al popolo irlandese di darsi una bella occhiata nel mio specchio ben lucidato». Chiaro, Joyce era piuttosto consapevole dei suoi mezzi e sostenuto da un ego robusto, altrimenti avrebbe mollato prima. Ma aveva ragione: un grande autore, un critico sociale, uno che sappia far satira, non può scrivere senza offendere qualcuno. È una grande lezione, questa, e nell’epoca attuale acquisisce ancora più valore. Oggi il risentimento domina, tutti insultano e contemporaneamente si sentono offesi da ciò che offensivo non è. Si ha paura del confronto, e dell’agone intellettuale. Si censura per timore del conflitto, in nome del bene e del quieto vivere. Lo stesso presunto bene che era disposto, agli inizi del Novecento, a dare alle fiamme alcune delle più grandi opere letterarie di ogni tempo. Occhio però: l’odissea di questi libri non è finita. La fatica impiegata per farle finalmente uscire viene sprecata nell’indifferenza. Sempre per quieto vivere e per evitarne la complessità, Joyce è pochissimo letto. Ed è un po’ come bruciarlo di nuovo.







