2019-07-14
Quando Pound «inventò» Joyce. «Ma non sprechi la sua violenza»
Un libro ricostruisce i rapporti tra i due giganti della letteratura. L'americano fece da talent scout all'allora sconosciuto irlandese, arrivando ad architettare assurdi stratagemmi per finanziarlo.C'è una curiosa e forse non casuale ironia della sorte nel fatto che Ezra Pound, il poeta «nemico dell'usura», si sia ritrovato a sottrarre al mondo delle banche due degli scrittori che più debbono alla sua proverbiale generosità da talent scout: se Thomas Stearns Eliot lavorò come impiegato presso la Lloyd's Bank, infatti, anche James Joyce, a Roma, fu per un certo periodo al servizio della Nast, Kolb & Schumacher Bank. Anche se nessuno dei due comprese mai davvero fino in fondo le intuizioni economiche poundiane, entrambi furono comunque beneficiari di questo «ministro senza portafoglio delle arti» (come lo definì in seguito Horace Gregory) e della sua idea che la bellezza, e non il profitto, costituisse l'asse che non vacilla attorno a cui far girare il cosmo. Sul rapporto tra Pound e Joyce (meno indagato di quello con Eliot) esce ora un volume per il tipi del Saggiatore: Lettere a James Joyce, a cura di Forrest Read, che raccoglie tutto il materiale relativo a questa lunga e a volte non lineare amicizia.Il primo contatto avviene quando l'americano Pound si trova in Inghilterra e l'irlandese Joyce in Italia. Era l'inverno del 1913 ed Ezra si trovava nel Sussex con William Butler Yeats, il quale gli fece il nome di questo sconosciuto autore suo compatriota. Joyce aveva lasciato l'isola verde nel 1904 e in quel momento aveva pubblicato solo qualche saggio e qualche recensione, alcune poesie e dei racconti a Dublino e Londra. Poi era sbarcato in Italia, doveva aveva lavoricchiato come insegnante di lingua e impiegato di banca tra Pola, Roma e Trieste. Non se la passava benissimo, in verità, tra problemi di salute, precarietà economica e una carriera che non decollava. Fu quindi benedetta quella lettera datata 15 dicembre 1913 in cui un emerito sconosciuto gli chiedeva del materiale da pubblicare a pagamento su alcune riviste. La prima lettera è relativamente formale, ma si tratta pur sempre di una missiva di Pound, che non può non terminare con una delle sue caratteristiche puntualizzazioni: «Sono un uomo di buona volontà, e non ho idea se potrò essere io di qualche aiuto a lei - o lei a me. Da quello che dice W.B.Y. ci sono un paio di cose che entrambi detestiamo, ma cominciare una conoscenza così mi pare molto problematico».Non sappiamo se Joyce fu mai utile a Pound, ma Pound fu certamente utilissimo a Joyce. Da lì, infatti, parte una fitta corrispondenza in cui il poeta americano organizza, propone, consiglia, ordina, corregge, invita, elogia, bacchetta, divaga, si lamenta, si entusiasma e tutto il consueto armamentario vulcanico familiare a chi conosca i rapporti epistolari di Pound.Nel gennaio 1914, Ezra si complimenta dopo aver letto i primi capitoli del Ritratto dell'artista da giovane: «Caro Joyce, la prosa non sarebbe il mio forte, ma secondo me il suo romanzo è davvero una gran cosa - e direi che lei lo sappia quanto lo so io». Di Gente di Dublino scrive anche una recensione sulla rivista The Egoist, e la riempie di cose come questa: «Tratta di questioni soggettive ma le presenta con contorni tanto definiti che si potrebbe trattare benissimo di locomotive o del progetto di un edificio». E ancora: «Se metto da parte un bello scritto in francese e prendo in mano un testo di Joyce non mi sento come se mi stessero conficcando la testa in un cuscino». Poi, con parole che non saranno piaciute a Yeats, scrive: «Che Joyce sia irlandese è sorprendente. Non se ne può più dell'immaginazione (o, come mi pare la chiamino ora, della “fantasia") irlandese, o “celtica" spalmata a piene mani. Joyce non spalma nulla, Joyce definisce. Lui non è un'istituzione per la promozione delle aziende contadine irlandesi. Adotta uno standard di stile internazionale e vi tiene fede». La generosità e il disinteresse dell'aiuto poundiano a questo semisconosciuto autore irlandese hanno dell'incredibile, anche se sono tratti tipici del poeta di Hailey (Eliot dovette intimargli di farla finita di raccogliere pubblicamente fondi al fine di permettergli di lasciare l'impiego in banca, dato che i suoi superiori, comprensibilmente, se ne erano adontati). Read nell'introduzione, spiega che nei momenti critici per l'amico, «Pound fu in grado di mettere insieme un sostegno finanziario dalle fonti più svariate, tra le quali il Fondo letterario reale, la Società degli autori, il Parlamento britannico, e l'avvocato newyorkese John Quinn. Per aiutare Joyce con una delle sue operazioni agli occhi, si spinse fino a provare a vendere autografi autentici di re Ferdinando e della regina Isabella (datati 1492)».Letteralmente maniacale sarà l'interesse di Pound per l'Ulisse, con un sottile gioco di equilibrismi tra l'autore, geloso della propria prosa sperimentale, e gli editori, preoccupati dalle accuse di oscenità che sentivano già pendere sul collo. Da qui una serie di consigli di questo tipo: «Certe cose mi sembrano semplicemente scritte male, in questa sezione. Male perché la violenza è sprecata. Lei usa parole più forti di quelle che le servirebbero e questa è arte scadente, così come ogni superlativo inutile è arte scadente. Il contrasto tra la poesia interiore di Bloom e ciò che lo circonda è eccellente, ma verrà fuori anche senza una descrizione tanto dettagliata delle feci che cadono».A John Quinn, avvocato di New York e patrono delle arti, che difese in tribunale tanto l'Ulisse che La terra desolata di Eliot (altro testo per il quale fu determinante l'intermediazione poundiana), l'autore dei Cantos scrisse: «A me sembra ancora che l'America non guarderà mai nulla dritto in faccia - nulla di animale, minerale, vegetale, politico, sociale, internazionale, religioso, filosofico, un bel nulla - finché non si abituerà ad affermazioni schiette. Si tratta di propaganda, se crede, ma a me pare una questione più ampia del se Joyce scriva o meno con un certo odeur de topo muschiato». A maggior gloria dell'attivismo da mecenate di Pound bisogna inoltre sottolineare che l'americano continuò a sostenere l'amico anche quando questi scriveva cose che non gli piacevano o rifiutava con maggiore o minore cortesia i suoi suggerimenti e le sue correzioni. Si trattava davvero di un'azione in difesa della cultura, non della ricerca di un discepolo, tanto meno di un clone. La difesa poundiana non era solo di natura letteraria. Quando Joyce, che amava complicarsi la vita, finì in una sorta di caso diplomatico dopo una lite al consolato britannico a Zurigo, Pound prese carta e penna e scrisse al console: «Gentile Signore, nel caso in cui non fosse troppo tardi, mi piacerebbe avvertirla che lei non potrebbe trovare un modo più sicuro di far convertire qualcuno al bolscevismo o alle più violente fazioni rivoluzionarie se non continuando, o permettendo che si continui, a perseguitare James Joyce a opera dei funzionari di Zurigo nella vostra sfera d'influenza». Era il 1919 e l'accenno al bolscevismo tradisce il crescente interesse di Pound per la politica. Joyce non condividerà mai l'entusiasmo di Pound per i regimi fascisti (che comunque, sia detto per inciso, non è certo spiegabile con le imprecise spiritosaggini espresse da Enrico Terrinoni nella prefazione al volume). Forse anche per questo, i rapporti tra i due, nel corso degli anni, si raffredderanno un po'. Stima e amicizia, tuttavia, non verranno mai meno. Quando, nel 1941, Joyce morirà in seguito alle complicazioni di un'operazione di ulcera duodenale, Pound ne scriverà un ricordo, commosso, ma alla sua maniera. «Il mondo», scriverà, «ha perso un grande compagno di cene e di dopocene, nonché un umorista in privato. Un umorista dotato di un forte disprezzo ma quasi totalmente privo di amarezza». Poi, qualche riga più sotto e senza apparente collegamento, aggiunse una frase che l'amico defunto non avrebbe mai sottoscritto: «Quanto al genio di Mussolini e di Hitler non sono io il solo a osservarlo». Joyce era appena andato nel paradiso dei giganti della cultura, Pound stava per imboccare il sentiero verso il suo personale inferno dei reprobi.