Giovanni Tizian e Stefano Vergine, autori del falso scoop dell’Espresso sul Metropol, ci hanno accusato di aver scritto «balle sesquipedali». Ma, come all’asilo, ci hanno insultato senza smentire nulla. Per questo conviene ricordare come abbiano realizzato l’inchiesta che avrebbe dovuto portare alle dimissioni di Matteo Salvini. La loro gola profonda, l’uomo che gli ha passato l’audio del Metropol, foto e notizie degli incontri estivi con personaggi russi, tra cui un agente del Fsb (ex Kgb) sotto copertura e un ideologo del sovranismo mondiale, Aleksandr Dugin, era in combutta con loro già dai primi appuntamenti. L’avvocato massone Gianluca Meranda, in quel momento sull’orlo del crac, partecipava ai tavoli di trattativa e registrava. Registrava sé stesso e l’amico margheritino Francesco Vannucci, bancario in pensione ed ex sindacalista Cisl di lungo corso. Da loro provengono le accuse più gravi contro la Lega. I due da almeno un anno e mezzo stavano cercando di fare un grosso affare con il petrolio russo o mediorientale. E nella primavera spendono il loro know how per agganciare e ingolosire non Matteo Salvini, ma il suo ex portavoce Gianluca Savoini, molto legato alla Russia. E come arrivano a Savoini? Seguendo un percorso tortuoso: lo avvicinano attraverso l’ex sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, che con il Carroccio stava flirtando nel Lazio. È lui a cercare un numero di cellulare di Savoini, chiedendolo, però, non a Salvini, ma alla sua fidanzata Elisa Isoardi che conosceva per altre strade.
Una volta realizzato il contatto, un brasseur d’affaires coerente avrebbe cercato di portare a casa l’accordo. E invece no. Meranda già dall’inizio delle trattative registra e fa foto per i cronisti, fa sapere a una amica leghista e sindacalista Ugl che chi attacca Salvini sull’Espresso, Tizian, è un suo «vecchio amico». Alla riunione del Metropol mancano ancora diversi mesi, ma Meranda sta già lavorando in funzione del venturo scandalo mediatico. Sta già collaborando a un libro e ad articoli di cui si vanterà con amici e parenti. È evidente che Savoini non ha capito in che trappola sia finito e sta pensando di chiudere un bell’affare. Il Gatto e la Volpe lo hanno cercato e convinto e lui, probabilmente, ripete ai vari tavoli la favoletta che gli è stata suggerita: fateci concludere questo affare e aiuterete il sovranismo italiano. Ma non sa che Meranda quelle chiacchiere le sta registrando per distruggere la Lega.
Ha un mandante? Ha deciso da solo di fare il giustiziere del partito più in crescita del momento? È la massoneria atea francese a cui risponde che gli ha affidato la missione? C’entra qualcosa il governo di Parigi? Quel che è certo è che quando i nostri servizi scoprono che al Metropol è seduto un agente dell’ex Kgb nessuno informa i vertici della Lega. Gli unici a essere messi a conoscenza dell’inquietante notizia sono i magistrati di Milano. Che però sul doppiogiochismo di Meranda sembrano chiudere non un occhio, ma entrambi. Per esempio sanno che l’avvocato massone si incontra almeno 14 volte con Tizian da quando partono le trattative per il Metropol a quando l’audio della riunione finisce su un sito americano. Nell’informativa più importante della Guardia di finanza, quella del novembre 2020, quel particolare non proprio trascurabile viene omesso. Qualcuno aveva chiesto agli investigatori di non riportare più quanto, invece, precedentemente segnalato nell’annotazione di luglio? Tutte domande per ora senza risposta.
Ma i ballisti saremmo noi. C’è da sperare che Tizian e Vergine in questa vicenda abbiano svolto solo il ruolo degli utili idioti e non altro.
Anche perché studiando il mistero Meranda oggi siamo in grado di svelarvi nuovi incredibili retroscena. Infatti all’avvocato massone si era rivolta per un grosso affare nientemeno che la banda di Piero Amara, l’altro grande faccendiere di quegli anni. E quindi nella nostra storia è come se entrassero insieme Batman e l’Uomo ragno, Venom e Joker.
Se i pubblici ministeri milanesi Sergio Spadaro, Gaetano Ruta e Donata Costa avessero guardato in casa propria prima di partire per la tangente andando a caccia dei fantomatici «soldi russi alla Lega» avrebbero forse evitato di impegnare, per un buon numero di anni, gli uomini della Guardia di finanza e di tenere sulla graticola qualche indagato formalmente iscritto nel registro e altri, tra i quali il ministro Salvini, indagati «all’orecchio» e comunque, di fatto, sulla stampa di sinistra. Ci riferiamo a quanto già emergeva negli atti del cosiddetto procedimento «Complotto» del 2017, assegnato al procuratore aggiunto Laura Pedio e al sostituto Paolo Storari, e cioè che dipendenti infedeli di Eni avevano provato attraverso Meranda a trovare i 25 milioni di euro necessari per acquistare uno stabilimento petrolchimico in Iran a prezzi stracciati, giudicato a ragione una miniera d’oro, poiché il Paese era sottoposto ad embargo da parte degli Stati Uniti d’America. Se i magistrati avessero condiviso qualche informazione tra di loro forse avrebbero capito che Meranda era un personaggio buono per tutte le stagioni e che i suoi affari finivano quasi sempre nel nulla.
Comunque anche nel procedimento Metropol, del 2019, c’è traccia del business che interessava ad Amara.
In un’informativa del 12 febbraio 2021 la Guardia di finanza riporta uno scambio di messaggi tra Meranda e Des Dorides.
Des Dorides: «Finanziamenti, essendo una banca, li fate?».
Meranda: «Che finanziamenti servono?».
Des Dorides: «Minimo 25 milioni per un impianto petrolchimico in Iran... rientro del capitale in 6 massimo 12 mesi... robetta semplice».
Meranda: «Si può fare. Chi è il borrower? È tranquillo?».
Des Dorides: «Super fidato. Controparte di Eni, nostro concessionario ufficiale per Iran». Grazie ad Amara va aggiunto.
Meranda: «È società iraniana?».
Des Dorides: «La società è italianissima… caro amico dalla Calabria saudita... veramente persona doc».
Rapporti fiduciari basati sull’origine territoriale quindi, la stessa di uno degli autori dell’inchiesta dell’Espresso e la stessa di un noto magistrato che Meranda, calabrese pure lui, contatta su richiesta del cronista ansioso di conoscere la toga.
Dalle successive comunicazioni intercorse tra Des Dorides e Meranda emerge che il beneficiario del finanziamento dovrebbe essere la società Napag, riconducibile a Francesco Mazzagatti, all’epoca trentaduenne di Polistena che aveva iniziato la carriera imprenditoriale vendendo succhi di frutta e aveva poi convertito la sua attività nell’intermediazione di oro nero. Per lui l’operazione persiana sarebbe stata di vitale importanza: «Io sono pronto. Ma Francesco s’ammazza se fallisce l’acquisizione. Povero», fa sapere Des Dorides a Meranda.
Da uno scambio di messaggi del 6 febbraio 2018 si fa riferimento alla possibilità che il giovane abbia parenti coinvolti in vicende di criminalità organizzata.
Meranda: «Senti, ma il signore dei 25 milioni? Ha risolto?».
Des Dorides: «Lo saprò tra qualche ora. È a Dubai per chiudere, ma se serve backup nel weekend lo faccio venire a Roma».
Meranda: «Ok. I suoi cugini Rocco e Pasquale sono miei buoni clienti».
Des Dorides: «Forse sono altri Mazzagatti».
Meranda: «Non credo... cugino di primo grado. I rispettivi padri sono fratelli. Il padre del tuo ha un’azienda nella Piana. L’ho conosciuto un paio di anni fa».
Il 14 febbraio 2018 riprendono l’argomento.
Des Dorides: «Lui (Francesco Mazzagatti, ndr.) è sicuro che non sono suoi cugini... saranno dei “fratelli”».
Meranda: «Avrà ragione lui. Riferirò a Rocco e Pasquale. Si saranno sbagliati senz’altro».
Des Dorides: «Se loro cugino è sposato con una donna emiratina hanno ragione loro».
Meranda: «Hanno ragione loro».
Meranda, come suo costume, si mette a registrare anche Des Dorides, sebbene gli faccia credere di essere molto riservato e affidabile nelle comunicazioni delicate.
Meranda: «Senti, scegliamo solo un canale whatsapp e “puliamo” l’altro telefono» dice nel maggio del 2019, quando l’affaire Metropol è già esploso. Des Dorides: «Whatsapp questo. L’altro no buono».
I finanzieri annotano che sul telefonino off limits resteranno solo poche conversazioni risalenti al 2017, mentre su quello buono «le comunicazioni disponibili recano “buchi temporali” dal 29 agosto 2018 al 29 ottobre 2018 e dal 6 dicembre 2018 al 4 aprile 2019». Mancano all’appello le settimane del Russia-gate.
Il 24 maggio 2019 Des Dorides comunica a Meranda che in giornata sarebbe stato intervistato dall’internal audit di Eni e nell’occasione Meranda sfoggia le sue doti da spione: «Registra con telefonino» suggerisce.
Des Dorides: «Ci provo. Voice memo no?».
Meranda: «Meglio Rec lite. Quando cominci, con naturalezza tiri fuori il tel, di’ che lo spegni e invece avvii registrazione e metti in modalità aereo, spegnendo il quadrante e mettendolo nel taschino esterno della giacca, col culo in su (il microfono sta lì».
La traccia audio è stata rinvenuta sull’iPhone X di Meranda.
Nell’occasione gli ispettori del Cane a sei zampe contestano a Des Dorides l’acquisto da parte di Ets di polietilene ad alta intensità di provenienza iraniana per 25 milioni di euro, merce fornita da Napag. Scrivono gli investigatori: «Le dichiarazioni rilasciate da Des Dorides in sede di audizione in Eni contrastano con il tenore delle sue conversazioni intercorse con Meranda all’epoca dei fatti. In particolare, Des Dorides, quantomeno dal gennaio 2018, era a conoscenza della volontà di Mazzagatti di acquisire un impianto petrolifero in Iran tanto da chiedere a Euro-Ib/Meranda un finanziamento di 25 milioni per concludere l’operazione». Ma alla fine il finanziamento non viene erogato e il dirigente di Ets in un altro messaggio del 21 marzo scrive: «Mi sa che ha trovato la banca per il deal iraniano. Seconda me avete perduto un bel gruzzolo». Come sempre Meranda ha fatto un buco nell’acqua e come sempre ha registrato i suoi interlocutori.
Nell’aprile del 2019 la somma cercata da Mazzagatti, Amara & C. viene garantita direttamente da Ets a Napag con il pagamento anticipato di una fattura da 31 milioni di dollari, che viene saldata mentre il faccendiere Amara si trova in galera. Un mese dopo la fattura viene annullata, Napag condannata a pagare una penale e, il 28 maggio, Des Dorides viene licenziato con effetto immediato per colpa grave, in particolare per «la mancanza di giustificazioni in relazione alla realizzazione dell’operazione con Napag del 24 aprile 2018».
Ma gli incroci pericolosi tra Des Dorides, Amara e Meranda, nonostante le ripetute denunce dell’Eni sull’affare iraniano, vengono ignorati dai pm di Roma e Milano (tranne che da Fava), essendo le toghe tutte troppo occupate a dare la caccia alla Lega e all’Eni.







