2023-06-04
Adesso che Damilano è fuggito a Rai 3 dello scoop farlocco non parla più
Quand’era direttore dell’«Espresso» sfornava editoriali sui legami tra Vladimir Putin e il Carroccio. Ora che si scopre che l’intrigo internazionale era opera di un suo cronista (e del massone Gianluca Meranda) ha perso l’uso della parola.Se un poliziotto decidesse di incastrare un politico che ritiene un mariuolo, provando a corromperlo o a corrompere un suo collaboratore allo scopo di provare un’accusa, finirebbe sul banco degli imputati, con la stessa accusa che vorrebbe addossare al politico. In Italia infatti, salvo rare eccezioni che riguardano il traffico di droga o il terrorismo, non sono ammessi i cosiddetti agenti infiltrati. Figuratevi dunque se a organizzare il trappolone fosse un cronista. Avessimo fatto qui alla Verità qualche cosa del genere, probabilmente a quest’ora saremmo tutti indagati e accusati di chissà quale reato. Invece, si scopre che a organizzare un intrigo internazionale che, prima delle elezioni europee del 2019, avrebbe dovuto incastrare Matteo Salvini accusandolo di farsi finanziare da Vladimir Putin, erano un avvocato molto legato alla massoneria in combutta con un giornalista d’assalto del gruppo Espresso, e curiosamente nessuno fa un plissé. Anzi, sul caso scoperchiato dal nostro Giacomo Amadori cala una strana congiura del silenzio, quasi che della faccenda non si debba parlare.Io ricordo gli editoriali dell’allora direttore del settimanale debenedettiano quando deflagrò lo scandalo. Marco Damilano, oggi emigrato su Rai 3 grazie al pronto soccorso dei compagni quando il giornale è stato venduto, denunciava il silenzio di Salvini sulla vicenda del Metropol. E i suoi inviati azzannavano il leader leghista ai polpacci per gli incontri di un uomo a lui vicino in un albergo di Mosca. Secondo le ricostruzioni, descritte come frutto di un lavoro investigativo-giornalistico, il collaboratore del segretario trattava con imprenditori una partita di petrolio che avrebbe dovuto fruttare miliardi e rimpinguare le casse del partito. Ma a quanto pare, la storia non era come l’aveva descritta L’Espresso e non era nata il giorno di quella riunione nella hall dell’albergo, ma molto prima, grazie al rapporto fra il mediatore massone e il giornalista, i quali avevano concordato anche il viaggio in Russia tanto da imbarcarsi sullo stesso aereo. Ad attenderli, non c’erano imprenditori interessati a fare affari con la Lega di Salvini, ma un agente dell’ex Kgb, servizi segreti che poi cercheranno di incastrare per l’ennesima volta il leader leghista per un altro viaggio a Mosca. Chi teneva i rapporti con lo 007 russo? Ma soprattutto, perché il legale che si era proposto come facilitatore dell’accordo, prima si messaggiava e si incontrava con il giornalista dell’Espresso? All’epoca, gli inviati del settimanale raccontavano di aver fiutato una pista e di averla seguita come segugi fino al Metropol, ma forse le cose non stanno così come ci sono state raccontate, visto che fra il cronista e l’avvocato Meranda i rapporti erano continui, fino al punto che quest’ultimo si è vantato di aver contribuito in maniera fondamentale all’uscita del libro scritto dal giornalista. Se i fatti contenuti in un’informativa della Guardia di finanza e allegati alla richiesta di archiviazione del caso su cui ha indagato la Procura sono veri - e non ho motivo di dubitare che lo siano - la vicenda del Metropol è tutta da riscrivere. E non per sostenere che Salvini e i suoi non hanno commesso reati: a questo hanno già pensato i pm che hanno chiuso la faccenda senza indugiare ulteriormente. No, l’aspetto che va chiarito è chi ha cercato di incastrare il segretario leghista e la sua squadra. Chi aveva interesse nel 2018, a pochi mesi dalle elezioni, a vestire i panni dell’agente infiltrato, al fianco di un avvocato massone e di un uomo dei servizi segreti di Mosca? Altro che denunciare i silenzi di Salvini, come facevano L’Espresso e il suo direttore cinque anni fa. Oggi siamo noi a denunciare l’afasia che ha colpito Damilano e compagni.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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