Che soddisfazione veder apparire sullo schermo i cinguettii del presidente del Consiglio. Giuseppe Conte ci informa che «per contenere la seconda ondata dell'epidemia da Covid-19 c'è bisogno del contributo di tutti. Rispettiamo le nuove disposizioni», dunque «seguiamo le raccomandazioni, facciamo del bene al nostro Paese». Leggi il tweet e ti viene in mente l'incipit di Trainspotting di Irvine Welsh: «Scegliete la vita […] Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta…». Poi ti fermi a ragionare e ti chiedi: ma se c'è bisogno del contributo di tutti, qual è il contributo di questo governo che pretende di farmi rispettare le sue materne «raccomandazioni», tra cui quella di tenere la mascherina anche dentro casa «se ci sono ospiti»?
Non serve un grande filosofo, basta l'Uomo ragno per spiegare che da «grandi poteri derivano grandi responsabilità». Tuttavia, persino un fumetto americano è più saggio rispetto ai rappresentanti dell'attuale esecutivo, che i poteri li hanno rivendicati e se li sono presi, ma le responsabilità preferiscono scaricarle sul primo che passa.
Credevamo, con eccessivo ottimismo, che il giochetto fosse ormai troppo abusato per ripeterlo. Avevamo già visto, nei giorni bui della chiusura totale, lo scaricabarile continuo, il rimpallo di responsabilità fra Roma e le giunte locali, il linciaggio politico dei governatori che volevano fare «di testa loro».
Poi, quando la situazione è migliorata e il numero dei contagi è sceso, il meccanismo si è leggermente evoluto, tramutandosi in uno stravagante miscuglio di vanterie e accuse. Da un lato non passava giorno senza che il presidente del Consiglio si lustrasse i galloni: «Siamo i migliori del mondo», ripeteva.
Mentre si oliavano i muscoli sui media, però, il signor Conte e i suoi compari non perdevano occasione per puntare l'indice ricurvo dell'inquisitore contro le categorie sociali sgradite. Prima è toccato ai giovinastri incoscienti che si ostinavano a fare «la movida», nemmeno fossimo negli anni Ottanta. Poi è apparso lo spettro dei «negazionisti», untori consapevoli e criminali. Insomma: i dati positivi erano merito del governo, le note stonate colpa degli italiani incoscienti.
E adesso? Beh, la storia si ripete, identica e offensiva. Il «governo migliore del mondo», il faro per l'Europa intera non trova di meglio da fare che imitare i francesi, inventandosi il coprifuoco alle 22 invece che alle 21 (è un modo per ribadire la superiorità morale?).
Ci troviamo al cospetto della - previdibilissima e prevista - «seconda ondata», e d'un tratto scopriamo che i geni anti Covid, troppo impegnati a stigmatizzare e terrorizzare la popolazione, non hanno preso le (poche) misure serie che avrebbero dovuto prendere. Sull'aumento di terapie intensive e subintensive il ritardo è colpevole e clamoroso, persino alcuni giornali di sinistra notano che l'estate è trascorsa invano. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, e il commissario Domenico Arcuri hanno dormito e ora ci ritroviamo senza i posti aggiuntivi promessi. Colti sul fatto, come reagiscono i fenomeni? Danno la colpa agli altri. Ecco Arcuri uscirsene con un comunicato in cui spiega che sono le Regioni a non aver distribuito i respiratori da lui prontamente inviati.
Perdonateci: ma che senso ha assumersi tutti i poteri se poi non li si utilizza per far funzionare la macchina pubblica alla perfezione? Mancano i posti, ed è colpa delle Regioni. Non ci sono i mezzi pubblici ed è colpa della Regioni e dei Comuni. Difettano i treni, ed è ancora colpa degli enti locali. Possibile che il governo non abbia mezza responsabilità?
Nel frattempo, l'esecutivo insiste a dirci che l'emergenza cresce di ora in ora. Però, di nuovo, non riesce a prendere una decisione e ad assumersene i rischi. Se la Campania chiude le scuole, il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, s'infuria con il governatore Vincenzo De Luca e gli fa notare che i ragazzi «si affollano nei centri commerciali».
D'un colpo siamo tornati al caos violento dei mesi scorsi. Attacchi, scorrettezze, consulenti del governo che rimbrottano il governo, commissari che non commissariano, ministri che non amministrano epperò litigano con chi invece dovrebbero aiutare e indirizzare.
Solo su un punto sono tutti concordi: infierire su famiglie e comuni cittadini, capri espiatori perfetti. L'insistenza su questo punto è tale che ormai chi è contagiato si fa carico, oltre che della malattia, di una inedita forma di colpevolezza. S'insinua il sospetto: se ti sei preso il Covid, qualcosa di male devi aver fatto. Persino sportivi ricchi e famosi sembrano aver introiettato questo assurdo modo di pensare. Federica Pellegrini è positiva e piange come se qualcuno l'avesse appositamente offesa. Valentino Rossi s'arrabbia come se volesse menare chi gli ha passato il virus.
Piccolo quiz: sapete chi è che, per manipolare meglio gli altri, fa leva sul senso di colpa? Chi è che, per sentirsi forte, scarica sugli altri colpe che sono sue? Risposta: il narcisista. A quanto pare, al governo ne abbiamo parecchi. E forse, tra un virologo esternante e l'altro, anche consultare uno psicologo non guasterebbe.
Immuni. Non parliamo dell'applicazione, ma della condizione in cui pare si trovino i membri dell'establishment, in virtù probabilmente di una variante del Covid ancora non scoperta che mette al riparo dal contagio i rappresentanti del governo e i filo governativi. Sì, insomma, quelli che hanno messo l'Italia in mascherina ma che poi fanno fatica a mettersela.
Immune deve sicuramente essere il premier Giuseppe Conte, produttore compulsivo di Dpcm emergenziali, ma, quanto a lui, poco propenso a mettere in pratica protocolli che potrebbero limitarne la carica piaciona. Ieri Il Tempo pubblicava in prima pagina una foto di Giuseppi scattata al ristorante da Benito al Bosco, a Velletri: sette persone, al chiuso e a distanza ravvicinata. Solo due avevano la mascherina calzata, due signore sul margine destro dello scatto. Il titolare del ristorante, Benito Morelli, la indossava penzolante da un orecchio, ma con naso e bocca scoperti. Al suo fianco, Giuseppe Conte con ciuffo arrembante e sorriso magico, come il Mandrake di Febbre da cavallo, senza ombra di protezione. Lo stesso per Olivia Paladino, la compagna del premier, raggiante e priva di mascherina, così come le altre persone ritratte nella foto. E la sicurezza? E le regole? E il senso di responsabilità? E i Dpcm? Ci doveva essere una postilla che non abbiamo visto. O forse, per l'appunto, il premier è immune al coronavirus.
La foto è stata postata su Facebook dal ristorante in data 7 ottobre e ieri mattina cancellata, presumibilmente dopo la prima pagina del quotidiano romano. A cui è poi arrivata anche una sorta di goffa smentita da Palazzo Chigi, che nulla ha smentito, in verità. L'entourage del premier ha fatto sapere che quello scatto risalirebbe al 17 settembre scorso, quindi prima delle ordinanze restrittive della Regione Lazio e del successivo decreto del governo. Una precisazione temporale che non si capisce bene cosa chiarisca, dato che anche prima dei recenti decreti nei ristoranti era consentito togliere la mascherina solo al tavolo, mentre andava indossata anche solo per andare in bagno, figurarsi per fare le foto con degli sconosciuti, al chiuso e a distanza ravvicinata. Tutte regole messe nero su bianco dallo stesso Conte, ma si sa, l'inflessibilità è più facile pretenderla che metterla in pratica.
Ma non è l'unico caso, come si diceva, perché il fronte dei pasdaran della protezione mostra vari esponenti decisamente più a loro agio nel fare la ramanzina agli altri che nel rispettare le regole in prima persona. Pensiamo solo al commissario straordinario per l'emergenza, Domenico Arcuri, pizzicato dalle telecamere con la mascherina calata solo sulla bocca, ma non sul naso. Errore da pivello, una di quelle cose che potrebbero portare al pubblico linciaggio di chi incappasse in qualche guardia rossa della profilassi su un treno, in un bar o, ormai, anche solo per strada. E proprio lui, mister «Ci penso io», si fa beccare con la mascherina messa a metà... Ma pensiamo anche ai giornalisti beccati in castagna da Francesco Borgonovo a Piazzapulita, tutti schierati contro i mefistofelici negazionisti, ma al contempo negatori in atto della più contestata delle nuove regole, quella che prevede mascherine al chiuso, sempre, studi televisivi compresi. Evidentemente anche loro sono immuni. Il coronavirus è contagioso solo fra i poveri cristi.
Errare è umano, perseverare è Giuseppe Conte. La seconda ondata del virus sembra ormai arrivata anche in Italia, ma rispetto a otto mesi fa, quando l'effetto sorpresa poteva giustificare approssimazione, lacune e carenze, oggi come oggi il governo non ha nessuna scusante per la situazione di totale impreparazione nella quale si trova a brancolare senza aver risolto nessuno dei problemi che si presentarono lo scorso febbraio.
Un dato importantissimo è quello relativo ai posti di terapia intensiva occupati rispetto a quelli liberi. «Non siamo ancora in una situazione di stress», avverte Davide Giacalone della Fondazione Einaudi, «ma le terapie intensive iniziano a essere sotto pressione». La dotazione di partenza, prima dell'emergenza, era di 5.404 posti letto, tra pubblico e privato. Bene (anzi molto male): al di là degli sforzi delle singole Regioni, che sono riuscite a recuperare circa 2.300 nuovi posti letto in terapia intensiva, dal governo sono arrivate solo promesse. Eppure, lo scorso maggio il governo ha stanziato poco più di 1 miliardo di euro per realizzare 3.500 nuovi posti letto di terapia intensiva e 4.200 di terapia sub intensiva. Fino a oggi, non se ne è visto neanche uno, e non poteva essere altrimenti, visto che il bando è stato pubblicato pochi giorni fa. «A fine ottobre», ha detto al Sole 24 Ore il commissario Domenico Arcuri, «sottoscriveremo i contratti e partiranno i lavori». E fino a oggi, visto che la seconda ondata era ampiamente prevista, che ha fatto il governo? Niente.
Passiamo alle mascherine: tutti ricordiamo il caos totale che caratterizzò la prima ondata. I dispositivi di protezione (compresi guanti e camici) erano introvabili, perfino i medici ne erano privi, per non parlare dei cittadini. La produzione in Italia era sparita, a causa della concorrenza del mercato cinese, e da Pechino era difficilissimo importare i dispositivi di protezione individuale necessari alla bisogna, con tutto il mondo alla ricerca di mascherine. Il governo promise una riconversione delle aziende italiane per diventare autosufficienti, ma basta consultare i dati ufficiali per verificare come siamo in realtà ancora quasi totalmente dipendenti dalle importazioni: dall'estero ne arrivano circa 100 milioni a settimana, che in un anno fa 5 miliardi di pezzi. «Le carenze che c'erano all'inizio dell'emergenza», ha sottolineato a Fanpage.it Silvestro Scotti, segretario generale della Fimmg, la Federazione italiana medici di famiglia, «la consegna dei dispositivi di protezione individuale, nonostante una legge dello Stato, non è attivata in maniera consona ai fabbisogni e in molte parti d'Italia è completamente disattesa».
Tutti noi abbiamo impresse nella memoria le immagini di medici, infermieri e operatori sanitari distrutti da turni infiniti, durante la prima ondata. Uno sforzo immane, che avrebbe potuto (dovuto) suggerire al governo di assumere quanto più personale possibile, in vista di un autunno che tutti prevedevano difficile. Invece, siamo ancora nei guai: «Da un punto di vista delle risorse», ha denunciato pochi giorni fa, a Radio Cusano Campus, il segretario nazionale della Fp Cgil medici, Andrea Filippi, «siamo purtroppo al punto di partenza, assunzioni non se ne sono viste, la carenza di medici specialisti rimane sempre la stessa. Le soluzioni, al di là del mettere a lavorare gli specializzandi, ancora non sono state individuate. Le carenze sono evidenti sia sul fronte degli infermieri che dei medici».
Parliamo dei tamponi, che secondo la totalità degli esperti rappresentano il mezzo di contrasto più efficace al dilagare dell'epidemia. Con otto mesi di tempo a disposizione per potenziare il servizio, assistiamo ancora a scene come quelle che si sono verificate a Roma e a Napoli, con intere famiglie costrette addirittura a trascorrere la notte in auto in attesa dell'agognato test. Non solo: i ritardi nell'effettuazione dei tamponi hanno ripercussioni molto pesanti sulla scuola, con docenti, studenti e personale costretti ad assentarsi in attesa del responso o, peggio ancora, ad andare al lavoro pur essendo stati a contatto con positivi, poiché le Asl non forniscono in tempi stretti i risultati dei test. A proposito di scuola: i banchi promessi da Arcuri sono stati consegnati solo in minima parte.
La app Immuni? Ritenuta dal governo fondamentale, ad oggi non serve praticamente a niente, visto che solo 8,1 milioni di italiani l'hanno scaricata, appena il 21% degli smartphone che ci sono nel nostro Paese.
Infine, secondo i calcoli di Confindustria, fino a oggi sono stati effettivamente attuati 64 provvedimenti per un totale di 76,8 miliardi di euro. Un quarto delle risorse, 23 miliardi, restano nei cassetti in attesa dei tempi della burocrazia italiana. Inoltre, secondo le previsioni, dei 26,6 miliardi stanziati all'Inps per pagare la Cassa integrazione a fine anno ne saranno stati spesi non più di 22. Non essendo vincolati da clausole di salvaguardia, i circa 4 miliardi che avanzeranno potrebbero essere stornati su altre voci, come la sanità. Il governo ha preferito impegnare 150 milioni di euro per i bonus bicicletta, piuttosto che destinare i soldi agli aumenti di stipendio, per fare un esempio, agli infermieri. Dai banchi alle bici ai monopattini, il solito governo a rotelle.
- Il ministro convoca il Cts di domenica per provare a recuperare il tempo perso. Mentre i giallorossi, come a marzo, lasciano uscire ipotesi di lockdown locali, proibizioni di spostamenti e chiusure dei ristoranti.
- Ennesimo record di tamponi (133.084) e 4.719 casi scoperti. Soltanto tre pazienti in più in terapia intensiva (390). La Lombardia cresce di oltre 1.000 positivi, 664 in Campania.
Lo speciale contiene due articoli.
Secondo la formula ironicamente e criticamente coniata dal giurista Franco Carinci, il governo pare attestato sulla linea «ora e sempre emergenza». Di più: eccezion fatta per le macabre conferenze delle 18 con il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, sembra tornare di moda tutto il repertorio di marzo e aprile scorsi. Si ricomincia dunque con le riunioni ultramediatizzate del governo, anche quando si tratta di incontri informali; si riparte con gli incontri nel weekend, tanto per dare il senso della straordinarietà e del panico, tra ministri e Comitato tecnico scientifico; mentre in tv tornano a imperversare i virologi, nuovi cavalieri dell'apocalisse.
Ieri pomeriggio si è svolta una riunione dei capidelegazione di maggioranza con Giuseppe Conte, replay dell'incontro previsto la sera precedente e poi rinviato per problemi di agenda. Oggi invece, con fanfara di accompagnamento mediatico avviata già ieri, si svolgerà un'altra riunione tra il ministro Roberto Speranza e il Comitato tecnico scientifico: in questo caso si discuterà anche di come aprire alla possibilità di test più rapidi (da effettuare presso medici di base e pediatri) dopo il collasso del sistema dei drive in, e di come ridurre (da 21 a 5) gli indicatori sull'andamento del contagio, per favorire correzioni di rotta più veloci.
Per il resto, in entrambe le riunioni all'ordine del giorno c'è stato e ci sarà il varo del nuovo Dpcm, previsto (a meno di anticipazioni) per metà settimana. Ma la sensazione è che, al di là del Dpcm, il governo tenti - con la regia mediatica di Palazzo Chigi - di dare il senso di una mobilitazione eccezionale, probabilmente sottovalutando i riverberi sul Pil, sul commercio, sulle attività di negozi, bar e ristoranti che questo martellamento televisivo sta già determinando.
Speranza si è attenuto al solito copione: «Credo che sia indispensabile tenere il massimo livello di attenzione. Io ho tenuto la stessa linea anche nei giorni in cui la curva sembrava molto più bassa. Abbiamo superato i mesi di marzo e aprile, ma il virus continua a circolare e la battaglia non è mai stata vinta in maniera definitiva». E ancora, partecipando a un evento della Cgil, il titolare della Salute non ha affatto smentito eventuali misure più drastiche: «Le valuteremo in queste ore. Abbiamo riunioni permanenti con il nostro gruppo scientifico con il quale ci confrontiamo costantemente. Per me bisogna avere la forza di prendere in carico questa fase nuova immediatamente. Abbiamo un piccolo vantaggio rispetto ad altri Paesi, ma non ci si devono fare illusioni».
Realisticamente, battage mediatico a parte, ci sono otto punti allo studio.
Primo: lockdown locali sul modello di Latina, quindi chiusure localizzate «chirurgiche e tempestive». Gli occhi sono puntati sulla Campania, con l'ipotesi di «zone rosse» territoriali che, ad esempio dopo 14 giorni, potrebbero essere rimosse o invece estese alle aree circostanti.
Secondo (ed è considerata la risposta estrema): ripristino del divieto di spostamento tra regioni. Anche se qualcuno ha già richiamato il disastro che fu determinato dal clamoroso autogol del governo nella notte tra il 7 e l'8 marzo (fuga di notizie alle 20, conferenza stampa alle 2 di notte): il risultato fu l'assalto ai treni verso il Sud alle stazioni di Milano.
Terzo: sancire il divieto formale di sostare in piedi fuori dai locali. Come dire: se non c'è posto, non si può restare assembrati. Insomma, si ricomincia con l'attacco alla «movida»: e francamente appare abbastanza surreale che un'indicazione del genere (circolare, non sostare) abbia bisogno di essere fissata in un testo normativo.
Quarto (sul modello campano): chiusura notturna di ristoranti e bar. Si tratterebbe, nonostante le sottovalutazioni di chi non conosce la realtà delle piccole imprese, di un modo di ammazzare centinaia di migliaia di attività. Non solo, sarebbe precluso il secondo turno dei ristoranti, ma si disincentiverebbe in modo devastante l'uscita a cena a qualunque orario.
Quinto: limiti più stretti per le feste private.
Sesto: stop o ulteriori restrizioni agli eventi di massa (spettacoli, manifestazioni sportive, fiere).
Settimo: ulteriore estensione dello smartworking, sulla base del presupposto che alcune sedi di lavoro potrebbero essere luoghi di circolazione più facile del virus. Ma anche qui la sensazione è che ci sia una sottovalutazione del rischio di paralisi economica di molti settori, a somiglianza della paralisi amministrativa già ampiamente prodottasi nella pubblica amministrazione.
E infine, ottavo (e qui vogliamo sperare si tratti di uno scherzo): nella logica di scoraggiare la circolazione, qualcuno parla di possibili limitazioni al trasporto pubblico locale. Una misura che avrebbe clamorosi effetti controproducenti: perché determinerebbe, nella parte di servizio rimasta attiva, altri assembramenti.
In ogni caso, il mantra ripetuto a microfoni spenti dai rappresentanti del governo è il solito: provare a evitare un lockdown nazionale. Ma l'impressione è che un puzzle di divieti e chiusure rischi di produrre - psicologicamente e materialmente - effetti quasi analoghi.
C'è una sola cosa che sembra sparita dai radar: la possibilità di protrarre oltre il 15 ottobre il blocco delle cartelle dell'Agenzia delle Entrate (circa 9 milioni in partenza). Ma quella «movida fiscale» al governo sembra piacere: e in quel caso, ovviamente a spese dei contribuenti, l'esecutivo giallorosso non vuole più sentir parlare di emergenza.
Contagi su, stabili le rianimazioni
Come ci si aspettava, i contagi di coronavirus crescono con l'avvicinarsi dell'autunno. La vera domanda da porsi è cosa si sia fatto in questi mesi per prepararsi a questa nuova ondata. Tutti gli esperti, da mesi, ricordano che la mascherina e il distanziamento fisico sono fondamentali, ma da soli non bastano. Per stanare il virus bisogna aumentare la capacità di fare test nell'ordine di centinaia di migliaia, investire in risorse umane per tracciare e gestire i casi sul territorio, oltre che attrezzare gli ospedali.
Anche ieri si è registrata una crescita nel numero dei positivi: 4.719 i nuovi casi, contro i 4.158 di venerdì su un totale di 133.084 tamponi (il giorno prima erano 129.471). Nel sito della Protezione civile il numero indicato è 5.724, ma come ha già spiegato in altri articoli La Verità, questo totale che tutti ripetono, mette insieme anche i dimessi/guariti (976) e i deceduti (29). I dati decisamente più veritieri e importanti sono quelli delle ospedalizzazioni: 250 contagiati con sintomi sono stati ricoverati in reparti Covid in un giorno, mentre sono praticamente stabili i pazienti nelle terapie intensive, dove ci sono tre persone in più. Nell'ultimo bollettino del ministero della Salute, risultano nel complesso attualmente positive 74.829 persone. Di queste 70.103 sono in isolamento domiciliare, mentre 4.336 sono ricoverate in ospedale in reparti Covid. Altre 390 sono invece in terapia intensiva.
La Lombardia ha superato ieri quota 1.000 casi, come non avveniva da maggio. «Quello che sta succedendo negli ultimi giorni», ha dichiarato l'assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera, «è una forte crescita dei positivi, legata presumibilmente al ritorno a scuola, alla vita sociale, dai primi di settembre, ma il numero delle terapie intensive è uguale a quello di ieri e il numero dei ricoverati è cresciuto di una ventina di persone». Un nuovo picco si è registrato in Toscana con 548 positivi, mentre il Veneto è stabile con 561. Tornano a crescere i positivi in Emilia-Romagna (383), Liguria (213) e Sicilia (285). Anche il Piemonte è vicino alla soglia dei 500 contagi al giorno con 499 infetti.
La Campania, fa segnare un aumento minore, con 664 nuovi positivi. Stabile il Lazio (384) con lo Spallanzani che, come ha sottolineato l'assessore alla Sanità, Alessio D'Amato, «è al 60% della capacità». I governatori del Lazio e della Campania, che hanno per primi decretato l'obbligo della mascherina anche all'aperto, minacciano lockdown selettivi. In effetti, al momento, sono queste le Regioni che sono più a rischio di una seconda ondata.
Desta qualche perplessità la dichiarazione di Walter Ricciardi, membro del comitato esecutivo dell'Oms e consulente del ministro della Salute. Su Sky Tg24, Ricciardi ha dichiarato che «è stato sottovalutato il fatto storico che tutte le pandemie hanno una seconda ondata più pericolosa della prima». In vista della pressione sul sistema sanitario nei prossimi mesi, con l'arrivo dell'influenza, «bisognava rafforzare il sistema di testing», ha continuato, «allargandolo a tutte le strutture, sia pubbliche che private che sono in grado di farlo, e poi con i pronto soccorso che in molti casi non hanno ancora fatto i percorsi differenziati». Ricciardi si è detto preoccupato perché alcune Regioni «non hanno aumentato quella capacità di testing che era presumibilmente necessaria e si è rivelata assolutamente necessaria». Sono le Regioni che anticipano le mosse del governo e minacciano il lockdown.







