Nonostante gli elogi dei media, Sergio Mattarella in un anno ha perso un milione di telespettatori. E il confronto con il discorso di fine 2018 mostra che, quando vuole, il capo di Stato affronta eccome anche i nodi politici.
Il capogruppo leghista alla Camera: «Non potevamo più andare avanti con un M5s che rinnega il suo passato. Dietro la tempesta di tasse e la gestione dell'Ilva c'è un disegno di decrescita. E l'Europa continua a ricattarci».
Sono andato a rivedermi una vecchia puntata di DiMartedì, il programma di Giovanni Floris in onda su La 7. Nel talk show di prima serata, il 28 febbraio dello scorso anno, Luigi Di Maio si presentò accompagnato da quattro aspiranti ministri. Uno era Pasquale Tridico, attuale presidente dell'Inps, un altro era Lorenzo Fioramonti, oggi ministro dell'Istruzione. Poi c'era Alessandra Pesce, sottosegretaria alle politiche agricole, e infine tra i quattro spuntò il professor Giuseppe Conte, docente all'università di Firenze e candidato a guidare la Funzione pubblica. Il futuro capo del governo non disse grandi cose, (...)
La Lega insiste per il ritorno di fiamma: il leader pentastellato può fare il premier. In cambio il rimpasto e Giuseppe Conte in castigo.
Silvio Berlusconi riapre la caccia ai «responsabili». Il Cav è al lavoro per rimettere in piedi la maggioranza di centrodestra in Parlamento, senza passare dalle urne. Per far tornare i numeri però bisogna convincere i grillini che odiano il Pd a cambiare casacca. È dura, ma i dissidenti possono dare una mano.
Se vuole rimanere in sella, la maggioranza dovrà evitare le trappole dell'Aula: dal decreto Sicurezza bis alla sfiducia contro Matteo Salvini, dalla riforma costituzionale alla flat tax. Altrimenti il Colle ne costruirà un'altra.