Mentre il Viminale ha acceso un faro sugli ultimi soccorsi in zona Sar maltese della Mare Jonio, la nave che Mediterranea saving humans ha affidato al timone del commodoro Luca Casarini, l’ex leader delle Tute bianche e dei No global che si è riscoperto soccorritore marittimo, per verificare i contatti con Guardia costiera ed Mrcc di Roma, Laura Marmorale, presidente dell’associazione, sfida il governo difendendo la Geo Barents, colpita dal Decreto Piantedosi con un fermo da 60 giorni in porto e una sanzione da 3.330 euro per la mancate comunicazioni agli organismi preposti per la sicurezza in mare. «È la vendetta del ministro dell’Interno per l’eccezionale contributo dato dalle navi della flotta civile alla salvezza di vite umane negli ultimi quattro giorni», afferma la pasionaria di Mediterranea, che rivendica: «Le navi della società civile hanno svolto un ruolo decisivo nel soccorso in Mare a sud di Lampedusa». La sola Mare Jonio, con tre soccorsi e in un’unica spedizione, di migranti ne ha portati a terra 182. Poi Marmorale si lascia scappare un passaggio delicato. Questo: «Spesso in stretta cooperazione con la Guardia costiera italiana e l’Mrcc di Roma». La legge, però, non prevede che le operazioni di soccorso vengano coordinate dalle autorità italiane «spesso». Piantedosi, infatti, come ha anticipato ieri la Verità, ha convocato una riunione urgente per oggi alla quale parteciperanno, tra gli altri, esponenti di vertice della Guardia costiera. Nel frattempo il Viminale sta raccogliendo la documentazione dal centro di coordinamento dei soccorsi per verificare se tutte e tre le operazioni in mare abbiano seguito l’iter indicato dal Decreto Piantedosi. C’è un punto, però, nella narrazione delle Ong, piena di «salviamo vite», «non siamo cattive come ci dipinge il governo» e «non siamo taxi del mare», che confligge in modo netto con la realtà. Perché, spesso, mescolati assieme alle vite da salvare si infiltrano scafisti trafficanti di esseri umani, pregiudicati, radicalizzati e stranieri già espulsi. È l’altra faccia della medaglia dell’accoglienza. Quella che le Ong snobbano, offrendo un passaggio anche a chi non fugge da guerre o persecuzioni. Ieri, infatti, gli investigatori della Polizia di Stato e della Guardia di finanza hanno arrestato un tunisino di 31 anni, Imad Hfaid, per aver violato il divieto di ingresso nel territorio italiano. Nell’ottobre 2022 era stato espulso dal prefetto di Trapani ma era quasi riuscito a tornare in Italia. Come? Mischiandosi tra i migranti salvati dalla Geo Barents. Il tunisino a poche miglia dalla riva si è lanciato dalla nave diretta a Salerno, sperando di riuscire ad arrivare a riva e a far perdere le sue tracce. Ma nell’area marittima del comune di Cetara è stato individuato da un’unità a diporto che lo ha recuperato, allertato la Guardia costiera e consegnato alle autorità. Il tunisino in fase di identificazione è poi stato riconosciuto anche dal personale di Medici senza frontiere che era presente sulla Geo Barents come uno dei migranti presenti a bordo fino alle ore immediatamente precedenti allo sbarco. Ma non è finita: Hfaid è aveva con sé una borsa con contanti, carte di credito, telefono cellulare e altri effetti personali, tutti custoditi in sacchetti di plastica per tenerli all’asciutto. La prova che aveva pianificato quel tipo di fuga. È stato condotto al Centro per le espulsioni di Bari. L’ulteriore aspetto critico delle attività dei taxi del mare, però, è legato alle triangolazioni che permettono i soccorsi. A volte particolarmente celeri, come i tre messi a segno dalla Mare Jonio. Barca in pericolo, Alarm phone, nave di soccorso con supporto aereo. Nelle ultime operazioni la Mare Jonio era affiancata dal Colibrì di Pilotes volontaires. Il tutto però dovrebbe essere coordinato dalle autorità competenti nella zona Sar. Aspetto per nulla secondario al quale, però, le navi delle Ong sono refrattarie, come dimostrano i continui fermi amministrativi e le sanzioni. Dopo una sola missione, invece, torna al molo la barca a vela della Fondazione Migrantes finanziata dalla Conferenza episcopale italiana con la benedizione di papa Francesco. Stando ai promotori il viaggio era finalizzato a raccogliere dati e informazioni sull’azione di monitoraggio, ricerca e soccorso dei migranti nel Mediterraneo. Il pontefice aveva voluto personalmente incoraggiare la missione della Mare Jonio, ufficializzando il sostegno della Chiesa cattolica che era saltato fuori dall’inchiesta di Ragusa e dagli scoop della Verità. La Mare Jonio, dopo aver ospitato lunedì pomeriggio il sindaco di Pozzallo Roberto Ammatuna si è spostata a Trapani per fare rifornimento di carburante e vettovagliamento. La partenza per la diciannovesima missione nel Mediterraneo Centrale è sempre più vicina. Viminale permettendo. Intanto ieri il Tribunale di Palermo, contravvenendo al decreto Cutro, ha annullato il trattenimento di 4 tunisini che nei giorni scorsi erano stati oggetto di una procedura accelerata di frontiera da parte del questore di Agrigento. Il giudice ha sottolineato che questa disposizione va usata «soltanto in circostanza eccezionali».
L’applicazione del Codice di condotta per le Ong dovrà ancora attendere: la Geo Barents, taxi del mare di Medici senza frontiere, dopo l’istruttoria della polizia di Stato ha lasciato il porto della Spezia per l’ennesima missione nel Mediterraneo centrale.
Al momento non è stata notificata al comandante della nave alcuna sanzione e ieri in giornata è arrivato il via libera alla partenza dalla Capitaneria di porto. Il comandante e il capomissione, sentiti in Questura, hanno spiegato come si sono svolti i due soccorsi successivi alla concessione del porto da parte del governo italiano. Stando al nuovo decreto, all’assegnazione del porto doveva seguire l’immediata navigazione per l’attracco. La Geo Barents però, dopo un alert di Alarm Phone, ha invertito la rotta ed eseguito altre due operazioni in mare. Il comandante ha sostenuto di aver agito in ossequio al preciso obbligo di salvare la vita in mare, ritenuto prevalente su tutte le ulteriori norme. Il comandante ha riferito di aver tentato di avvertire le autorità italiane del secondo soccorso, senza però ricevere alcuna risposta. A quel punto, non avendo la certezza che un’altra nave potesse intervenire, la Geo Barents ha raggiunto il natante segnalato da Alarm Phone come in difficoltà. E poco dopo si è trovato un altro barchino sulla rotta. Il via libera della Capitaneria di porto alla Geo Barents fa supporre che almeno il fermo della navigazione per due mesi non dovrebbe essere applicato. Resta da capire se sulla Ong arriverà la tegola della multa (tra i 10 e i 50.000 euro), ma in questura al momento sono molto abbottonati. Mentre dall’Ue ritengono che la velocità dei ricollocamenti stia aumentando. «Ogni settimana» la Commissione riceve degli «aggiornamenti sullo stato della ridistribuzione dei migranti» nell’ambito del meccanismo volontario di solidarietà. Lo ha spiegato ieri il commissario europeo agli Affari Interni Ylva Johansson, sottolineando che l’Ue sta «lavorando per rendere» il meccanismo «più efficiente e veloce». Segno che il pressing del governo Meloni sta svegliando l’Europa. Parigi inoltre continua a partecipare al meccanismo nonostante gli annunci stizziti per il pugno nello stomaco della Ocean Viking che, a novembre, attraccò a Tolone. Altro tema caldo è quello dei rimpatri che, secondo Johansson, «sono un importante disincentivo per prevenire gli arrivi irregolari». Il commissario ritiene che «quando chi non ha diritto alla protezione internazionale ritorna nel Paese d’origine il flusso illegale diminuisce in modo significativo». Poi i dati: «In media ci sono 300.000 decisioni sui rimpatri l’anno, ma solo 70.000 vengono effettivamente eseguiti e questo è davvero preoccupante».
Johansson è consapevole della portata della questione: «L’anno scorso c’è stato un aumento costante di arrivi illegali, specialmente lungo le rotte del Mediterraneo centrale e orientale e di quella balcanica». E finalmente sgombra il campo da ogni equivoco: «L’aumento non è spinto da guerra o persecuzione». Infatti, i Paesi da cui provengono gli immigrati sono Turchia, Georgia, India, Cuba, Egitto, Tunisia, Marocco, Bangladesh e Pakistan, «tutti», ha precisato Johansson, «con un basso tasso di riconoscimento della protezione internazionale». E, a conti fatti, è saltato fuori un dettaglio preoccupante: «A fronte dei circa 330.000 arrivi registrati le richieste di asilo presentate corrispondono a circa 1 milione, ovvero un numero tre volte superiore agli arrivi, il che dimostra come molti dei richiedenti asilo arrivino in modo legale in Ue». Una presa d’atto che testimonia come il vento stia cambiando. Anche perché ci sono altri Paesi sotto pressione: Olanda e Belgio. «Lo scorso anno», ha detto ancora Johansson, «solo il 39 per cento delle domande di asilo ha ottenuto una decisione positiva in primo grado». L’Europa comincia quindi ad aprire gli occhi sugli approdi degli irregolari. E Johansson auspica dei progressi al prossimo Consiglio straordinario dei leader europei, che è in programma per il 9 e il 10 febbraio. E insieme agli irregolari vengono importanti anche i radicalizzati.
Ieri il gip di Ancona ha arrestato tre tunisini per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sono scattate 44 perquisizioni. Il tutto è partito con uno sbarco di clandestini a Mazara del Vallo e si è scoperto che tra gli stranieri intenzionati ad arrivare in Europa c’erano anche persone ritenute dagli investigatori delle Digos di Roma e di Macerata contigue a circuiti di combattenti jihadisti. Si tratta infatti di uno sviluppo investigativo dell’attività sull’attentato terroristico del 19 dicembre 2016 a Berlino, compiuto dal tunisino Anis Amri, che era entrato in Italia come clandestino per poi arrivare in Germania con falsi documenti di identità italiani. Amri morì ucciso in un conflitto a fuoco a Sesto San Giovanni pochi giorni dopo l’attentato. Dalla rete dei contatti italiani dell’attentatore saltò fuori un gruppo dedito alla falsificazione dei documenti in Campania. E ora le indagini hanno portato a Macerata, dove si sospetta che un Caf procacciasse i documenti per superare gli ostacoli di Shengen.
«Tutto ciò conferma, ancora una volta», ha commentato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, «come da una immigrazione incontrollata possano derivare anche gravi rischi legati a minacce terroristiche internazionali, e rafforza l’urgenza di agire per governare e regolamentare i flussi migratori, proseguendo in una strategia di azione che questo governo ha intrapreso con determinazione fin dal suo insediamento».
Mentre la Ocean Viking, che porterà oggi in Toscana i suoi 95 passeggeri, sta navigando verso il porto di Carrara, a La Spezia, dal momento dell’attracco alla Calata Artom della Geo Barents, taxi del mare di Medici senza frontiere, sono scattati i controlli di polizia di Stato, guardia di finanza e capitaneria di porto: il comandante rischia una multa da 10 a 50.000 euro e il fermo per due mesi della nave. Gli operatori di polizia giudiziaria stimano in un paio di giorni le attività di verifica. A bordo sono state acquisite le certificazioni rilasciate dallo Stato di bandiera (la Norvegia), i fascicoli che contengono i requisiti di idoneità tecnico-nautica. Ma anche i giornali di bordo, dove il comandante deve aver annotato tutte le informazioni necessarie per ricostruire in modo dettagliato le operazioni di soccorso, che verranno comparate con le notizie acquisite dal Centro di coordinamento per il soccorso in mare. In sostanza bisognerà verificare come sono nate le due ulteriori operazioni in mare avviate dopo che il governo aveva assegnato il porto di sbarco, se sono state comunicate al Centro di coordinamento e se hanno fatto ritardare lo sbarco o messo in pericolo i passeggeri. Comandante ed equipaggio, inoltre, verranno ascoltati. Al termine delle verifiche le forze di polizia prepareranno un verbale da notificare al comandante della nave. La Prefettura entrerà in gioco solo successivamente.
«Si pronuncerà sull’eventuale ricorso presentato contro il verbale di accertamento», ha detto ieri il prefetto Maria Luisa Inversini (in passato ha lavorato per nove anni nel settore della protezione internazionale), che ha spiegato: «La lettura della norma (il decreto che ha introdotto il codice di condotta per le Ong, ndr) vuole che sia l’ente accertatore a comminare la sanzione».
Mentre il capomissione di Medici senza frontiere Juan Matias Gil ha tentato un diversivo mediatico che mira dritto alla pancia dei buonisti: «Colpire noi con queste misure significa colpire queste persone. È stato un viaggio in condizioni molto difficili, con dieci bambini piccoli a bordo, tutti spaventati». Appena sceso sulla banchina, rivolto alla prima telecamera utile ha detto: «Dobbiamo vedere come si applicano queste regole. Noi non abbiamo fatto niente di sbagliato, questo chiaramente non vuol dire che non riceveremo una notifica, ma abbiamo fatto quello che doveva essere fatto».
Oltre ai 32 membri dell’equipaggio sono cominciate le operazioni di sbarco per i 237 passeggeri (di 22 nazionalità diverse e con diversi casi di contagio da Covid): tra loro 29 donne e 87 minori (74 quelli non accompagnati), compreso un bimbo di non più di un anno d’età. I primi a mettere piede a terra sono stati una donna con un ginocchio rotto, i fragili, i più piccoli e le mamme. Ad attenderli, sulla banchina concessa da La Spezia Container terminal, con il supporto logistico della Protezione Civile, c’erano medici, infermieri, personale della polizia di frontiera, Croce rossa e attivisti della Caritas.
E Aboubakar Soumahoro, incurante delle polemiche sulle coop dei suoi familiari che si è portato dietro. Poco prima dell’attracco, con il suo solito stile mediatico, ha twittato: «Adesso al porto di La Spezia dove i naufraghi salvati dalla nave umanitaria Geo Barents stanno per sbarcare li attenderò per verificare le loro condizioni. Salvare vite umane è un dovere». Per le Ong Soumahoro vorrebbe un salvacondotto: «Non possono essere criminalizzate». Al molo c’era anche Andrea Orlando, che ha definito il decreto «una mostruosità giuridica, che viola i trattati internazionali, ostacola l’obbligo di salvare vite e ha come unico scopo quello di impedire altre operazioni di soccorso». E dal Pd ha provato a salire in cattedra anche il senatore siciliano Antonio Nicita: «Per come sono scritte le norme impediscono ai prefetti un’applicazione giuridica certa che non si presti a abuso da un lato o alla violazione del diritto internazionale dall’altro».
Mentre per la strategia messa in campo dal governo stanno cominciando a respirare proprio i centri d’accoglienza siciliani, passando dalla zona rossa a quella gialla, con il 9 per cento di sbarcati (la Sicilia era arrivata anche all’11 quando al Viminale c’era Luciana Lamorgese), ovvero 9.373 ospiti. «È giusto che ciascuno faccia la propria parte, anche per sgravare i porti del Sud Italia. LaLiguria non si tirerà indietro». Ha affermato il governatore ligure Giovanni Toti.
«È chiaro che dopo quasi sei giorni sopra una nave, quando uno scende dal punto di vista umano è toccante», ha spiegato il sindaco della città ligure Pierluigi Peracchini, «ma è anche molto triste vedere nel 2023 ancora persone che devono vagare per il Mediterraneo. Questo ci deve far riflettere a 360 gradi». E da Medici senza frontiere già programmano il prossimo viaggio: «Appena ultimato questo soccorso torneremo a operare (sempre che la nave non venga sequestrata, ndr). Le conseguenze del decreto ci preoccupano, ma noi continueremo a fare quello che facciamo», ha detto ancora Gil. Poi ha annunciato: «Noi non abbiamo altra scelta, continuano a partire persone e continuano a morire in mare». Il punto è proprio questo. «Ci lamentiamo del fatto che c’è questa coincidenza astrale, la presenza delle navi delle Ong, unitamente alle condizioni climatiche, fanno ripartire i gommoni dalla Libia», ha ripetuto negli ultimi giorni il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. I taxi del mare, secondo il governo, attirano i migranti. E a più partenze, nonostante la presenza delle Ong nel Mediterraneo, corrispondono sempre più morti in mare.
In questi giorni tocca alla Geo Barents e alla Ocean Viking proseguire l’azione politica extraparlamentare che le Ong conducono da fin troppo tempo tramite le proprie navi deputate al recupero di migranti nel Mediterraneo. L’obiettivo dichiarato è quello di contrastare il governo italiano, in particolare dopo la stretta imposta dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Nella narrazione dei taxisti del mare, l’esecutivo di destra appare come una congrega di crudeli malfattori intenzionata a causare la morte per mare di migliaia di persone. E tocca ammettere che, fino ad oggi, questa lettura ideologica (e totalmente falsa) della realtà è stata accolta dalla gran parte dei mezzi di comunicazione e degli organismi politici sovranazionali. Tuttavia, a livello europeo, si avvertono per la prima volta venti di cambiamento, e il fatto non è per nulla irrilevante, anzi.
In queste giorni i ministri degli Interni degli Stati membri dell’Ue si sono riuniti a Stoccolma per il primo incontro condotto sotto la presidenza svedese. Sul tavolo, tra le altre pratiche, c’è anche la nuova strategia comune per i rimpatri. La commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, ha spiegato senza mezzi termini che è in corso una nuova crisi migratoria: «C’è stato un enorme aumento degli arrivi irregolari di migranti», ha detto. «L’anno scorso abbiamo ricevuto circa 300.000 migranti irregolari e 924.000 domande di asilo nell’Unione europea. Significa che abbiamo tre volte più richieste di asilo rispetto agli arrivi e queste stanno sovraccaricando le capacità di accoglienza. Molte di loro non hanno bisogno di protezione internazionale».
Si tratta di parole, certo, ma intanto la commissaria ha riconosciuto che il problema esiste, e soprattutto che molti irregolari non sono persone in pericolo meritevoli di accoglienza. Chissà, forse a spingere la Johansson su questo terreno leggermente in controtendenza rispetto al passato è la posizione piuttosto determinata del governo svedese riguardo agli stranieri in ingresso. Di recente, il primo ministro Ulf Kristersson, moderato di centrodestra, ha dichiarato che «L’immigrazione in Svezia è stata insostenibile».
A stretto giro, il ministro dell’Immigrazione, Maria Malmer Stenergard, ha annunciato il lancio di una strategia informativa volta a contrastare le partenze. L’obiettivo è quello di collaborare con i media e le istituzioni di provenienza per far sì che diffondano un messaggio chiaro: non lasciate casa vostra. «Se i migranti ricevono informazioni su quali regole si applicano qui», ha spiegato la Stenergard, «ridurremo il rischio di sofferenza per queste persone e potremo concentrarci maggiormente su coloro che hanno effettivamente bisogno di protezione».
A ben vedere, non è un approccio molto diverso - almeno quanto a visione - da quello del governo italiano: meno partenze, meno morti. E che il concetto cominci a circolare anche a livello comunitario non è piccola cosa. A tale proposito, risultano decisamente impressionanti le dichiarazioni rilasciate a Politico da Manfred Weber, leader del Partito popolare europeo. «Siamo sonnambuli in una nuova crisi migratoria», ha detto Weber. «Le capacità di accoglienza dei migranti attraverso le rotte balcaniche e mediterranee sono esaurite. Da quando l’Ue non è riuscita ad adottare una politica globale dopo l’ultima crisi migratoria del 2015, la questione è diventata un tabù. Ora sta tornando come una sorta di vendetta».
Sono uscite pesanti, che si accompagnano a dichiarazioni di fuoco nei riguardi delle Ong. «Serve un codice di condotta per le Ong attive nella ricerca e soccorso. Inoltre, Paesi come Francia e Germania che le sostengono finanziariamente dovrebbero assumersi maggiori responsabilità per risolvere la massiccia sfida migratoria nel sud dell’Europa». Inutile girarci intorno: è un ceffone clamoroso a tutti i sostenitori della politica delle porte aperte e, di nuovo, è evidente l’assonanza con la linea del nostro governo.
Sul piano diplomatico, si tratta di un primo successo di Giorgia Meloni, che ha incontrato Weber all’inizio di gennaio. Il tedesco, a dirla tutta, si è mostrato perfino più duro dei conservatori italiani, tanto da appoggiare pubblicamente una proposta del cancelliere austriaco Karl Nehammer, il quale ha chiesto all’Ue di finanziare una barriera da 2 miliardi di euro lungo il confine bulgaro-turco per fermare i flussi proventi da quella rotta. «A nessuno piace costruire recinzioni, ma dove è necessario, deve essere fatto», ha detto Weber. «La Commissione Ue deve rinunciare alla sua resistenza a fornire fondi per questo». Tornando alla questione Ong, va rilevato poi come probabilmente stia pagando anche l’approccio tutto sommato morbido di Piantedosi, che non sta impedendo gli sbarchi ma da settimane lavora alacremente per fare pressione a livello comunitario. A quanto pare, al netto dei numerosi e evidenti ostacoli, una piattaforma comune è in fase di costruzione.
Giusto ieri il ministro dell’Interno ha insistito su una strategia condivisa per i rimpatri, elaborando un modello di «rimpatrio forzato accompagnato». Sarebbe «un’operazione di ritorno che sia associata a progettualità di reintegrazione, anche in caso di rimpatri forzati, può infatti agevolare la collaborazione dello straniero, stimolare i Paesi terzi di provenienza a rafforzare la cooperazione e concorrere a contrastare le cause profonde dell’immigrazione». A quanto risulta, le destre italiane non sono il coacervo dei cattivoni d’Europa. E se persino il Ppe scarica le Ong, forse c’è davvero la possibilità che, presto o tardi, i torpedoni migratori siano ridotti a più miti consigli.
A porto assegnato ha invertito la rotta per una seconda operazione a largo delle coste libiche segnalata da Alarm Phone e nel tragitto ne ha anche effettuato una terza. La Geo Barents di Medici senza frontiere, senza l’autorizzazione del governo italiano, necessaria dall’entrata in vigore del codice di condotta per le Ong approvato a fine dicembre, ora porta a bordo 237 passeggeri, rispetto ai 69 per i quali era stata autorizzata. Il codice di condotta in realtà non vieta in modo esplicito di compiere più operazioni di soccorso, ma precisa che le attività in mare non devono «impedire di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco». In questo caso La Spezia (assegnato martedì sera dal governo), a cinque giorni di navigazione dal punto in cui si trovava la Geo Barents in quel momento. Ma per Medici senza frontiere tutto si sarebbe svolto «in conformità con il diritto internazionale marittimo». Per la prima volta una Ong sfida, quindi, il nuovo codice di condotta. E anche il governo. Dal Viminale fanno sapere che quando la Geo Barents sarà arrivata nel porto assegnato si valuterà se abbia rispettato o meno le prescrizioni del decreto legge. Intanto, ieri sera la nave Ong ha chiesto al governo « di assegnarci un porto più vicino per poter far sbarcare i sopravvissuti. Perché non Palermo o Pozzallo?».
Nel frattempo sono in corso le verifiche sui contatti con il Centro di coordinamento di ricerca e soccorso in mare per accertare se la Ong abbia seguito in modo corretto tutte le indicazioni. «Alla Geo Barents abbiamo indicato il porto di La Spezia solo per una questione di rotazione dei porti», ha spiegato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Il presidente dell’Autorità portuale del Mar Ligure orientale Mario Sommariva, che ieri mattina ha partecipato alla riunione in Prefettura sul coordinamento dello sbarco, ha spiegato che la nave approderà alla calata Artom, nell’area mercantile del porto. Gli sbarcati invece verranno accolti all’ex Terminal 1 di Largo Fiorillo, dove rimarranno in attesa della loro destinazione. «Dovrebbe arrivare entro sabato», fa sapere Pierluigi Peracchini, sindaco della città. A bordo ci sono anche 49 minori.
«È una situazione non banale», ha spiegato Peracchini, «che stiamo seguendo con grande attenzione, minuto per minuto, perché non abbiamo risorse per affrontare tematiche così importanti soprattutto dal punto di vista umano». «I porti della Liguria sono a disposizione del governo», ha detto subito il governatore della Liguria Giovanni Toti, aggiungendo che «è giusto dare un po' di respiro ai porti più oberati dal flusso migratorio nel Sud del Paese». D’altra parte la Liguria ospita solo 4.999 migranti nei suoi centri d’accoglienza, ovvero il 5 per cento di tutti gli sbarcati in Italia.
Classifica guidata dalla Lombardia, da sempre in zona rossa, con il 12 per cento e 12.580 ospitati, e dall’Emilia Romagna, al 10 per cento e 10.604 sbarcati. Effettivamente la Sicilia comincia a respirare, passando dalla zona rossa a quella gialla, con il 9 per cento di sbarcati, ovvero 9.373 ospiti. Nelle scorse settimane il governo ha indicato come porti di sbarco per i taxi del mare diverse città del Centro e del Nord Italia, fra le quali Livorno, Ravenna, e Ancona.
Scelte che hanno scatenato le lagne delle Ong, secondo le quali a un viaggio più lungo corrisponde una sofferenza maggiore delle persone soccorse, già provate da giorni di navigazione. Aspetti che vengono messi da parte, però, quando c’è da fare inversione di rotta per maggiorare i carichi. In quel caso, pur di non lasciare ad altre navi o alle autorità i soccorsi, che spesso non sono neanche a grande distanza, si sceglie arbitrariamente di prolungare il viaggio. Le ragioni sono state ricostruite nell’inchiesta di Trapani sulla nave Iuventa, come svelato dalla Verità, in un capitoletto nel quale gli investigatori si occupano del «movente economico» che, stando alle valutazioni degli inquirenti, sarebbe legato «all’immagine esterna mostrata nei confronti dell’opinione pubblica e conseguentemente alle donazioni, che costituiscono la principale fonte di approvvigionamento». E, a proposito della Jugend Rettet, finita sotto inchiesta con alcuni attivisti di Save the children e, coincidenza, di Medici senza frontiere, «secondo il chiaro convincimento di alcune delle figure apicali sottoposte a indagine, sarebbe posto in rapporto di proporzione diretta rispetto al numero di migranti recuperati e alla visibilità mediatica data all’evento». Proprio Tommaso Fabbri di Medici senza frontiere, infatti, intercettato, parlando a telefono con un altro attivista fa riferimento alla «raccolta di storie interessanti da raccontare alla gente dopo gli sbarchi».
«Noi», ha precisato Piantedosi, «ci lamentiamo del fatto che c’è questa coincidenza astrale: la presenza delle navi delle Ong, unitamente alle condizioni climatiche, fanno ripartire i gommoni dalla Libia, anche le imbarcazioni più fragili, non le barche più strutturate. Noi ci lamentiamo di questo, loro sì lamentano della lunga percorrenza». Poi ha aggiunto: «Il salvataggio e il naufragio sono qualcosa di occasionale e non di ricerca sistematica che induce alle partenze». E probabilmente anche alle donazioni.







