A distanza di quasi 9 mesi, non ci si stupisce più. Le bombe sui civili non suscitano più sgomento. «Questa guerra non ha fatto altro che degenerare: è diventata più crudele, violenta, si sono persi tutti i freni inibitori», ragiona con la Verità Fulvio Scaglione, già corrispondente da Mosca e per 16 anni vicedirettore di Famiglia Cristiana, una delle voci che con più insistenza chiedono di fermare le armi, ancor prima di pensare a come intavolare le trattative di pace.
Scaglione, Russia e Ucraina pensano ancora di vincere la guerra sul campo?
«Nessuna delle due parti riuscirà a vincere questa guerra, almeno non negli obiettivi che proclamano di voler conseguire: Zelensky non riuscirà a ristabilire i confini antecedenti al 2014, Putin non sarà in grado di spingersi fino al fiume Dnepr tenendo i territori conquistati. Si rischia di andare avanti potenzialmente all’infinito, in un conflitto che la Russia alimenta da un lato e l’Occidente dall’altro. Che senso ha continuare con questa inutile strage?».
Di questo passo, il sentiero della pace diventa sempre più stretto?
«Per imboccare il sentiero della pace, c’è bisogno di discrezione e silenzio. Le trattative, se ci sono, devono essere tenute sotto traccia. In questo momento, parlare di pace è un esercizio ottimistico e forse un po’ enfatico, però abbiamo visto dei segnali piuttosto precisi».
Ovvero, quali?
«Innanzitutto quelli provenienti dagli Stati Uniti: sono stati i servizi segreti americani a rivelare al New York Times la mano ucraina dell’assassinio di Darya Dugina e dell’attacco al ponte di Kerch, che collega la Crimea alla Russia».
Da Washington è filtrata una certa irritazione.
«Sia Biden sia il Segretario di Stato, Antony Blinken, hanno espresso preoccupazione, è vero. L’ipotesi di una degenerazione verso l’uso di armi tattiche nucleari comporterebbe un’escalation enorme per tutti. Il comportamento di Zelensky, probabilmente, non è più consono alle esigenze degli Stati Uniti: come si vede, persegue lo scontro fino alla completa liberazione dell’Ucraina, un obiettivo impossibile da raggiungere».
In occasione della Giornata dei difensori, Zelensky ha ribadito che il Paese è «più forte che mai» e che uscirà vittorioso. Come si spiega la decisione di vietare i negoziati con Mosca per decreto?
«Zelensky è un presidente di guerra, simbolo della resistenza di un Paese intero. Ha costruito il suo sistema di potere attorno a un gruppo di fedelissimi, epurando qualsiasi voce scomoda. Guida una Nazione che vive di fatto con i finanziamenti occidentali. Non ha alternative alla guerra: quando l’Ucraina uscirà da questa situazione, bisognerà riprendere a governare, ma non sono sicuro che la scelta ricadrà su di lui».
Nelle ultime settimane, ci si è iniziati a interrogare sul sostegno da garantire all’Ucraina. In molti si chiedono: fino a che punto l’Occidente potrà spingersi?
«I dubbi nascono dal fatto che sarà una guerra lunga, da combattere sul territorio europeo e che causerà enormi danni al Continente, oltre a quelli che già stiamo affrontando. Non a caso, oltre agli Stati Uniti, altri Paesi hanno espresso qualche perplessità: il Belgio, per esempio, che si è astenuto sul nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia; l’Ungheria, che ha una posizione più sfumata. E poi c’è Erdogan, che fa Erdogan, ma resta l’unico leader internazionale a parlare sia con Zelensky che con Putin».
Il fronte occidentale non è più coeso come all’inizio del conflitto?
«Sei mesi fa si diceva che i russi avevano finito i missili e poi abbiamo visto quello che è successo. L’ipotesi che Mosca potesse crollare nel giro di qualche mese, schiacciata dal peso delle sanzioni, è sfumata. Questa guerra andrà avanti ancora per molto tempo, è bene cominciare a domandarsi cosa fare. Continuare a sottolineare che è tutta colpa di Putin è ormai diventato un rito consolatorio: che cosa otteniamo ripetendo in continuazione chi è il responsabile? Nelle guerre ci sarà sempre uno che è più colpevole di un altro».
Ad Astana, Putin ha spiegato che «non ci sarà più bisogno di attacchi massicci», ma nonostante questo i raid proseguono senza sosta.
«Putin subisce la pressione dei “falchi”, che vorrebbero non un’operazione militare speciale, come la chiamano a Mosca, ma una guerra vera, senza limiti né restrizioni. Dopo l’ondata di missili sganciati sulle città ucraine, in risposta all’attacco al ponte di Kerch, il leader ceceno Kadyrov - uno dei i dei più intransigenti sul conflitto insieme a Yevgeniy Prigozhin - ha detto: “Adesso sono soddisfatto, va bene così”. Questa non è una fase propizia per le trattative, almeno non per quelle ufficiali. Di tanto in tanto sentiamo delle aperture da parte dei protagonisti, con delle frasi che fanno pensare».
Vladimir Putin sostiene che la Russia è sempre stata aperta ai negoziati, ma le autorità ucraine avrebbero perso la voglia di dialogare dopo il ritiro delle truppe russe da Kiev. E poi l’incontro con Biden, del quale il presidente russo «non sente il bisogno».
«Non si capisce bene se queste siano solo tattiche di propaganda o aperture reali».
Come si esce da questa situazione?
«Usando il potere di pressione che l’Occidente, e l’Europa in particolare, hanno nei confronti dei due contendenti, per ipotizzare, almeno in una prima fase, un cessate il fuoco».
Se vuoi la pace, prepara la pace: l’Europa sta facendo abbastanza?
«Sono molto stupito che in Europa l’unica iniziativa che apparentemente viene presa riguardi la fornitura di armi all’Ucraina. È giusto che l’Ucraina abbia i mezzi per difendersi dall’invasione, però mi aspetterei che i maggiori leader europei provassero a ipotizzare un piano, ad avanzare una proposta, un’idea. Non dico per costruire la pace, ma per arrivare almeno a una sospensione del conflitto, per interrompere i massacri. Non c’è nessuno: non c’è Scholz, non c’è Draghi, non c’è più Macron, che in una prima fase è sembrato il più attivo su questo fronte».
Qual è il motivo di questa inconsistenza?
«Credo che la classe politica europea, intesa come Ue, sia piuttosto modesta. Si sono fatti travolgere dagli eventi: finché si è trattato di discutere sulle sanzioni o di decidere quante e quali armi mandare in Ucraina, sono andati sul sicuro. Per andare oltre, però, ci vogliono altre tempre, altre personalità. All’interno del fronte europeo continentale, c’è stato un ribaltamento delle sfere di influenza: dall’asse franco-tedesco, si è passati a quello anglo-polacco, favorevole a una guerra a oltranza e che oggi conduce le danze».
I Paesi fondatori dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, cosa dovrebbero fare?
«I paesi tradizionalmente europei ed europeisti, come Francia, Germania e Italia, dovrebbero avere un interesse anche personale nel perseguire la fine della guerra. Più il conflitto va avanti, più il loro peso verrà ridimensionato. Basta vedere come è ridotta la Germania, che viene presa a ceffoni un giorno sì e l’altro pure dalla Polonia. Sono i paesi dell’Est e i Baltici che più influiscono sull’assetto dell’Unione Europea, e non solo sul fronte politico: la Polonia, per esempio, sta aspirando a diventare il vero hub energetico dell’Unione, un posto privilegiato per i rifornimenti che prima aveva la Germania».
Si stanno moltiplicando manifestazioni, cortei e sit-in in favore della pace. Eppure, oggi c’è chi ritiene che queste occasioni siano più utili a rimarcare perimetri politici piuttosto che sortire effetti concreti e reali.
«Anche io ho questa impressione. Con tutti i loro limiti, le manifestazioni sono delle iniziative nobili, che spero possano moltiplicarsi. Tuttavia, non vanno oltre il valore della testimonianza. Ricordo le manifestazioni del 2003 contro l’invasione in Iraq, al cui confronto quelle di oggi sono uno scherzetto, una riunione tra amici. Allora sfilavano masse imponenti di persone in tutte le più grandi città del mondo, ma l’invasione angloamericana ci fu comunque, senza problemi. Ciò vale anche oggi: si dà giustamente molta enfasi alle manifestazioni di piazza che ci sono in Russia, che segnalano grande coraggio da parte di chi le porta avanti, ma non hanno alcuna influenza sulla situazione politica. Incide molto di più se si arrabbia Kadyrov o se si altera Prigozhin, che con il gruppo Wagner tiene in piedi un pezzo di fronte. Ben vengano le manifestazioni popolari contro la guerra, perché si fermi l’inutile strage. Ma conterà di più l’iniziativa della grande politica internazionale: è qui che, secondo me, l’Europa dovrebbe farsi valere. Se non si muove l’Europa, gli Stati Uniti non si muoveranno, la Cina men che meno. Se non intervengono i grandi Paesi europei, chi deve intervenire?».