2023-09-18
Le ombre di corruzione sull’«eroe» Zelensky
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Il siluramento del ministro della Difesa per corruzione è la punta dell’iceberg: il popolo si chiede dove finiscano i soldi occidentali Mentre presidente e oligarchi tengono le loro ricchezze all’estero.Fulvio Scaglione, giornalista esperto dell’area: «L’operazione pulizia non è ciò che sembra. Sui fondi erogati dagli Usa controlli quasi assenti».Prima della guerra, l’Ucraina veniva comunemente raccontata come il paradiso delle tangenti. Adesso invece si parla di (inesistenti) passi avanti verso la trasparenza.Lo speciale contiene tre articoli.Eroe della resistenza o principe della corruzione? La maggioranza non ha dubbi: secondo un sondaggio condotto dal Centro Razumkov e dall’Istituto internazionale di sociologia di Kiev, pubblicato la scorsa settimana, il 78% degli ucraini ritiene che il presidente Volodymyr Zelensky sia direttamente responsabile della corruzione nel governo e nell’esercito. Per il 55% della popolazione, inoltre, i Paesi occidentali hanno il diritto di mettere in discussione gli aiuti militari a Kiev, finché ci sono casi di corruzione nelle forze armate. Corruzione che, va ricordato, ostacola il processo d’integrazione nell’Ue (e nella Nato), che pure i leader occidentali continuano cinicamente a caldeggiare. La corruzione, insomma, secondo il 47% degli ucraini rappresenta il principale ostacolo del Paese. Come racconta il giornalista Fulvio Scaglione nell’intervista in queste pagine, il presidente ucraino sta gestendo abilmente il dossier trasparenza e le pur frammentarie notizie sulla corruzione a Kiev raccontano una storia diversa. A gennaio 2023, quattro viceministri, cinque governatori regionali e un assessore chiave dello stesso presidente si sono dimessi per uno scandalo sulle macchine di lusso. Il viceministro per le Infrastrutture Vasyl Lozynsky è stato bloccato dalla polizia anticorruzione mentre incassava una tangente da 350.000 dollari. Lo scorso 3 settembre, Zelensky ha licenziato il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov. «Dopo 550 giorni di guerra, abbiamo bisogno di nuovi approcci», ha giustificato il presidente presentando la sostituzione come un avvicendamento strategico. In realtà, il ministero di Reznikov è stato colpito da diversi scandali di corruzione, a cominciare da quello denunciato dal giornale Zerkalo Nedeli, che ha rivelato che il ministero aveva firmato contratti alimentari a prezzi due o tre volte superiori. L’inchiesta è costata le dimissioni del vice di Reznikov, oggi è il turno del ministro: degli uomini che Zelensky aveva piazzato ai vertici della Difesa, ne è rimasto soltanto uno.I guai di Zelensky, però, risalgono a ben prima del conflitto. È proprio alla vigilia della guerra che escono i Pandora Papers, milioni di documenti raccolti dall’International Consortium of Investigative Journalists e pubblicati a partire dal 3 ottobre 2021. Nella lista dei conti segreti offshore di alti funzionari e leader mondiali figurano il presidente Zelensky insieme con i suoi due soci: il capo dei servizi segreti Ivan Bakanov (ex capo del partito di Zelensky e manager delle sue società) e l’assistente del presidente Serhii Shefir, regista e produttore cinematografico autonominatosi addetto a «l’immagine morale del presidente Zelensky». Dei 91 Paesi e territori cui sono collegati i conti, è proprio l’Ucraina di Zelensky ad ospitare, secondo i Pandora Papers, più partecipazioni offshore rispetto a tutti gli altri Paesi del mondo, inclusa la Russia. L’Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp), che ha contribuito all’indagine, scopre inoltre che poco prima di essere eletto presidente, Zelensky ha «donato le partecipazioni che aveva nella società offshore Maltex Multicapital Corp., registrata nelle Isole Vergini britanniche, al socio e assistente Shefir». I documenti riportati dall’Occrp riferiscono anche di un accordo stipulato per consentire di continuare a pagare dividendi a una società che appartiene alla moglie del presidente, Olena Zelenska. Anche il documentario investigativo Offshore 95 di Olena Loginova e Yakov Lyubchych, prodotto dall’agenzia giornalistica investigativa Slidstvo-info e boicottato dai servizi segreti ucraini (Sbu) ha fatto luce sui files dei Pandora Papers, trovando 14 società attribuite a Zelensky e alla sua cerchia, registrate dall’avvocato ucraino Yurii Azarov, che il 23 marzo 2019 (otto giorni prima delle elezioni) aveva firmato il documento per trasferire le azioni Maltex tra i leader della società di Zelensky, Kvartal 95: l’avvocato oggi è introvabile. Le società della rete Kvartal 95 sono state poi usate per comprare tre proprietà di lusso a Londra, presentate all’opinione pubblica come umili paradisi per gli ucraini perseguitati. Senza mai negarne l’esistenza, Zelensky - che alla vigilia del voto aveva accusato lo sfidante Poroshenko di aver «aumentato di 82 volte le sue ricchezze» - tenta maldestramente di giustificare l’uso dei conti offshore evocando lo spettro dell’invasione russa, prima che si concretizzasse. Il suo consigliere dichiara che i conti segreti erano necessari per «proteggere» i redditi del gruppo dalle «azioni aggressive» del regime «corrotto» dell’ex presidente Viktor Yanukovich, destituito dopo la rivoluzione colorata del 2014 appoggiata dagli Usa. Gli sforzi dello staff non convincono l’opinione pubblica ucraina: a fine 2021 la popolarità di Zelensky è in picchiata e il recente sondaggio mostra che la situazione, nonostante la guerra e la legge marziale, è immutata.Un capitolo a parte è riservato al miliardario ucraino Ihor Kolomoyskyi, patrimonio netto di 1 miliardo di dollari nel 2022. Noto per mettere a suo agio gli ospiti dando da mangiare a uno squalo vivo che tiene nell’acquario del suo ufficio di Dnepropetrovsk, è il principale finanziatore della campagna di Zelensky ma anche sostenitore di diverse milizie filonaziste come i battaglioni Aidar e Azov. Ha co-fondato ed è stato fino al 2016 il proprietario di PrivatBank che, in qualità di maggiore banca ucraina, ha raccolto almeno la metà degli aiuti internazionali a Kiev concessi dal Fmi dal 2014, parte dei quali, secondo le autorità Usa, dirottati su conti offshore. Kolomoyskyi nel 2015 detiene anche una partecipazione di controllo in Burisma, la compagnia del gas ucraino. Sarà lui a mettere in contatto il suo uomo dentro Burisma, Vadym Pozharskyi, con Joe Biden e suo figlio Hunter. Quest’ultimo organizza per Pozharskyi una riunione a Washington col padre Joe ad aprile del 2015. «Non ho mai parlato del lavoro in Ucraina con mio figlio», dichiarerà il presidente, ma le email ritrovate rivelano il contrario. Kolomoyskyi è anche il produttore della serie tv Servo del Popolo, in onda dal 2015 al 2019 sul suo canale 1+1, che ha sancito la popolarità dell’allora comico Zelensky. Le inchieste riferiscono che il miliardario ha acquisito i programmi di Zelensky stipulando con la società del presidente Kvaral 95 un contratto annuale di 20 milioni.Nel frattempo Kolomoyskyi è finito nella lista nera di Washington: è stato incriminato nel 2020 per frode bancaria e privato di visto per gli Usa dal 2021. La scorsa settimana è stato arrestato per frode fiscale e riciclaggio: la detenzione, a quanto pare, durerà soltanto due mesi ed è probabile che il magnate utilizzerà i suoi due altri passaporti, israeliano e cipriota, per organizzarsi all’estero, dove ha già portato in salvo gran parte dei suoi averi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ombre-corruzione-zelensky-2665542468.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-leader-si-serve-di-scandali-e-inchieste-per-colpire-i-nemici" data-post-id="2665542468" data-published-at="1694971605" data-use-pagination="False"> «Il leader si serve di scandali e inchieste per colpire i nemici» «Di Zelensky non ce n’è uno ma ce ne sono diversi». Fulvio Scaglione, giornalista e già vice direttore del settimanale Famiglia Cristiana, per cui è stato anche corrispondente da Mosca seguendo la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, sintetizza con una frase la spregiudicata gestione del dossier trasparenza da parte del presidente ucraino, presentatosi sul proscenio internazionale come «leader anticorruzione». «Fondamentalmente c’è lo Zelensky prima della guerra e lo Zelensky dopo la guerra». Doveva essere il campione della trasparenza… «Sì, ma alla vigilia dell’invasione russa si è ritrovato con un indice di gradimento bassissimo e non godeva di buona stampa nemmeno in Occidente. Era stato acclamato presidente nel 2019 promettendo di trovare un’intesa con la Russia e di combattere la corruzione: l’intesa con la Russia non l’ha trovata - anzi, la tensione è salita alle stelle - e la corruzione non è stata assolutamente intaccata». Il primo governo Zelensky era più trasparente? «Quando è diventato presidente, aveva formato un governo di giovanissimi riformatori che però dopo pochi mesi ha licenziato in massa, proprio perché le riforme hanno trovato l’opposizione degli oligarchi». Stiamo parlando del suo finanziatore Ihor Kolomoyskyi, proprietario della prima banca ucraina ed ex governatore? «Sì e di Rinat Achmetov, dirigente sportivo e magnate ucraino, presidente dell’acciaieria Azovstal e della società di calcio Šachtar Donec’k, o anche di Viktor Pinchuk. All’inizio della sua presidenza, questi oligarchi gli hanno intimato, in buona sostanza, di andarci piano con la lotta alla corruzione. Tutta la prima presidenza Zelensky è stata un fiasco». Poi è arrivata la guerra. «Sì, ed è cambiato tutto, su due fronti. Quello esterno, perché Zelensky abilmente non è scappato dall’Ucraina, si è presentato come leader di un Paese in guerra ed è stato adottato dall’Occidente come simbolo della lotta contro l’invasore russo. Ma soprattutto, sul fronte interno, la guerra ha offerto a Volodymyr Zelenski l’arma fondamentale del suo potere, la legge marziale: da quel momento il presidente ucraino ha ribaltato i rapporti di forza con gli oligarchi. Proprio Kolomoyskyi in questi giorni è stato nuovamente arrestato per frode e riciclaggio. Anche gli altri sono stati in qualche modo rimessi in riga, a cominciare da Achmetov, che fa infinite donazioni all’esercito». Gli oligarchi, insomma, di fronte alla legge marziale si sono allineati. «Più che allineati, sono più attenti, aspettando gli eventi: cercano di non finire nei guai. D’altra parte, già da molto tempo hanno messo i loro beni in salvo all’estero». Zelensky non è riuscito a eliminare la corruzione? «Assolutamente no. Il flusso di denaro dell’Occidente - 100 miliardi di dollari soltanto dagli Stati Uniti, con controlli quasi inesistenti - arriva in una Ucraina già molto corrotta e scatena mille appetiti». Ultimamente è stato sostituito il ministro della Difesa. «Il ministero più sacro della difesa della patria è stato massacrato da scandali legati alla corruzione e i vertici sono stati licenziati praticamente tutti». Dove sono finiti i soldi? «In parte dove dovevano andare, in parte evidentemente no». Come siamo arrivati a questa situazione? «Nel 2019 Zelensky era diventato presidente con il 73,2% dei voti. Subito dopo, ha convocato le elezioni anticipate e il suo partito, Servo del Popolo, ha ottenuto la maggioranza assoluta, quindi il controllo totale del Parlamento. L’anno dopo, però, ci sono state le elezioni amministrative e ha perso ovunque». Una sconfitta clamorosa… «A Kiev la candidata di Servo del Popolo è arrivata addirittura quinta, eppure oggi è una degli attuali vicepremier». Zelensky ha perso popolarità perché ha cercato di lottare contro i corrotti? «Non esattamente (sorride, ndr): sulla carta sono operazioni di pulizia ma in realtà sono servite a Zelenski per sostituire il personale politico che a livello locale non controllava». Dunque la magistratura è stata usata per distruggere gli avversari politici… suona familiare. «Sì, tant’è che sono stati colpiti i dirigenti locali e regionali delle grandi città, tutto personale politico non del suo partito. Nei giorni scorsi sono stati incarcerati il responsabile dei trasporti medici di Kiev e il suo vice perché rubavano su pezzi di ricambio e manutenzione. Erano stati messi lì dal sindaco di Kiev, che è un avversario del presidente, il quale, annunciando di aver avviato l’operazione di trasparenza, è riuscito a silurare gli uomini dei suoi avversari». La stampa occidentale scrive che il governo lotta contro la corruzione. «Non direi: in questo Paese chiunque possa mettere le mani su un po’ di soldi, lo fa. La corruzione è rimasta, su questo non c’è dubbio. Ed è rimasta anche all’interno di alcuni degli ambienti che fanno riferimento politico a Zelensky: nel ministero della Difesa erano tutti uomini suoi». Quindi la corruzione non è sparita: ha semplicemente trovato altre strade… «Il potere di Zelensky in questo momento, più che con gli ambienti della politica, si regge soprattutto sulla forte alleanza con le forze armate e con i servizi di sicurezza, anche perché sono loro i primi destinatari dell’incredibile flusso di denaro occidentale. È uno scambio: io, Zelensky, figura accreditata presso l’Occidente, ti procuro le armi e i denari e tu difendi il Paese e anche me». L’Occidente assiste senza intervenire. «In questo momento l’obiettivo dei Paesi occidentali è dare una lezione alla Russia. I nostri politici sono perfettamente al corrente della corruzione che dilaga nel Paese e sanno benissimo qual è la natura dell’Ucraina, sostanzialmente ingovernabile già prima di Zelensky, ma sacrificano tutto per tagliare le unghie all’orso russo. La priorità è battere la Russia, ammesso che sia possibile». La corruzione del Paese non interessa a nessuno, men che meno agli Usa di Joe Biden, che ha avuto interessi in Ucraina. «Agli Stati Uniti non importa quale sia il sistema con cui gli ucraini vengono governati. Quello che interessa è che con il 5% del loro enorme budget militare possano idealmente esaurire la forza militare della Russia e sfinirla. Che poi gli ucraini siano governati da un cattivo presidente anziché da uno bravo, non credo importi a nessuno». Zelensky quindi è il garante degli interessi dell’élite militare del Paese «Tutti capiscono che senza Zelensky sarebbe difficile avere gli stessi soldi e gli stessi aiuti dall’Occidente. Certo, laddove si dovesse arrivare a una composizione, una trattativa o una tregua, le cose potrebbero cambiare». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ombre-corruzione-zelensky-2665542468.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-grande-stampa-chiude-gli-occhi" data-post-id="2665542468" data-published-at="1694971605" data-use-pagination="False"> La grande stampa chiude gli occhi Oltre a quella combattuta ogni giorno sul campo sacrificando giovani vite, c’è un’altra guerra che sta impegnando l’Ucraina: quella della propaganda. Pianificata oltreoceano con il fondamentale contributo del giornalismo cosiddetto autorevole, è scattata in contemporanea con le manovre belliche sul territorio. L’operazione più complessa che gli Stati Uniti stanno portando avanti consiste infatti nel riuscire a far passare l’Ucraina di Volodymyr Zelensky come un Paese che sta sconfiggendo la corruzione, problema che attanaglia il Paese da anni. «Benvenuti nel Paese più corrotto d’Europa» titolava il quotidiano britannico The Guardian nel lontano 2015, anno in cui Joe Biden e suo figlio Hunter intrattenevano una fruttuosa attività di lobbying con il colosso dell’energia Burisma, controllato dal miliardario finanziatore della campagna di Zelensky, Ihor Kolomoyskyi. Biden, allora vicepresidente di Barak Obama, era incaricato, ironia della sorte, di supervisionare il processo di lotta alla corruzione nel Paese e farà ben tredici visite di Stato a Kiev. Il Paese descritto dal Guardian, che dal 2014 riceve dal Fondo monetario internazionale miliardi di dollari iniettati come aiuti d’emergenza, era una democrazia disfunzionale che danneggiava settori cruciali come i servizi di base e la sanità. Dopo lo scoppio della guerra e i ripetuti viaggi in Ucraina del direttore della Cia, William Burns, tutto cambia: l’operazione «trasparenza ucraina» fa irruzione sulla stampa, mobilitando i colossi dell’informazione Usa. Se già mesi fa il Washington Post esaltava il giornalismo d’inchiesta locale, ancora mercoledì scorso, il New York Times ha affidato a Bret Stephens, editorialista conservatore che ha incorniciato il decreto con il quale la Russia lo ha bandito a vita, l’incarico di decantare gli sforzi di Kiev in favore della trasparenza. Il problema è che almeno metà degli americani pensa, non a torto, che Biden stia inviando i soldi dei contribuenti agli oligarchi corrotti, come ha sottolineato anche l’ex giornalista di Fox News, Tucker Carlson. Quello che scorre dall’Occidente fino a Kiev è un fiume di denaro, quantificato in 277 miliardi di dollari da febbraio 2022. Stephens ha evocato l’esperienza fallimentare in Afghanistan, dove la corruzione dilagava non solo tra gli afghani ma anche tra gli appaltatori statunitensi che avrebbero dovuto costruire scuole e infrastrutture per conto dello zio Sam. Allora, ha ricordato Stephens, fu impossibile vigilare sui progetti a causa dei pericoli per la sicurezza dei funzionari. Ma il problema si ripropone tale e quale oggi in Ucraina: «Ci sono severi limiti al numero di funzionari americani sul campo» ,ha rilevato l’ambasciatrice americana a Kiev Bridget Brink, «e una serie di vincoli di sicurezza sui loro movimenti. È anche difficile trovare appaltatori disposti a lavorare in regioni ad alto rischio o organizzare incontri con funzionari governativi». Ciononostante, la «disponibilità degli ucraini a usare gli aiuti saggiamente e onestamente» basta e avanza, secondo Stephens, per essere ottimisti. L’editorialista del Nyt basa la propria convinzione sul wishful thinking che la nuova generazione «indipendente» stia finalmente prendendo le redini del Paese. Ma, come ha rilevato l’Accademia nazionale delle scienze di Kiev, l’Ucraina sta andando incontro a un drammatico depopolamento, dovuto in parte all’emigrazione (il 37,4%), in parte alla riduzione dei tassi di fertilità causata dalla guerra che, prevedono gli esperti, porterà a una drastica diminuzione della popolazione entro il 2035.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.