Lo scontro sulle armi interno al Partito democratico si è trasformato in una battaglia tra fazioni. Da un lato i sostenitori di Elly Schlein, dall’altro tutti quelli che mal sopportano la linea sempre più di sinistra dettata dal segretario dem. «Serve in un chiarimento politico le forme e i modi li valuteremo», si è limitata a dire ieri la leader. D’altronde se non fosse stato per gli indipendenti il voto in Europarlamento si sarebbe trasformato in un voto di sfiducia contro di lei e c’è chi a questo punto comincia a chiedere che si convochi un congresso.
«Il nostro partito è una organizzazione con organismi democratici. È ovvio che a questo punto è necessario un chiarimento politico», commenta il capogruppo dem Francesco Boccia. «Intanto lavoreremo perché il Pd in vista del Consiglio europeo della prossima settimana esprima una posizione unitaria. Poi la segretaria e il partito decideranno come affrontare la discussione». Già, il Consiglio Ue. I dem si preparano al test dell’Aula con una certa preoccupazione sul comportamento che terranno i riformisti (che potrebbero essere tentati da una mozione della maggioranza dai toni fortemente europeisti). La speranza interna è che si possa arrivare a un testo largamente condiviso. L’europarlamentare Giorgio Gori, tra coloro che hanno votato sì alla risoluzione sul riarmo, ha chiarito: «La segretaria ha dato una chiara indicazione di voto, nonostante il gran lavoro che qui era stato fatto per migliorare la risoluzione nella direzione della Difesa comune. Potevamo ricompattarci, non è successo. Resto convinto che un partito che aspira a governare non possa prescindere da un raccordo forte con le altre forze democratiche europee. Invece siamo finiti isolati nel nostro stesso gruppo». E sull’ipotesi di un congresso risponde così: «Non so se un congresso, ma serve una discussione seria e non frettolosa. Fin qui è mancata. Auspico che ci sia». Con Gori anche Irene Tinagli ha votato sì andando contro l’indicazione del suo segretario: «Schlein ha fatto bene a sollevare delle criticità ma c’era l’occasione per rivendicare il nostro ruolo critico ma costruttivo sul tema». Ad astenersi invece l’ex sindaco di Firenze Dario Nardella «per disciplina di partito e per scongiurare una spaccatura dalle ricadute imprevedibili». Non convinto dunque della scelta fatta, tanto che sottolinea: «Spero che questa spaccatura offra un elemento di riflessione anche a lei. Credo che debba farne tesoro per favorire una ricomposizione. Non bisogna aver paura delle divisioni, anzi: ben venga la discussione, ma alla fine dobbiamo uscire con una linea chiara e condivisa». Tra i non convinti, ma comunque astenuti, anche l’indipendente Marco Tarquinio: «La nostra astensione sul voto di ieri era il modo per sostenere la linea di Schlein che ha detto sì alla difesa comune europea, no al riarmo dei singoli Stati. Questa è esattamente la mia posizione e anche quella di Cecilia Strada. Abbiamo deciso di non votare contro la risoluzione sul Libro Bianco, anche se io avrei votato contro».
Messa così insomma quella di Schlein assomiglia ad una débâcle totale. Non usa mezzi termini il deputato dem Matteo Orfini: «Non è stata una bella giornata, inutile negarlo. Anche perché in realtà le posizioni non erano nemmeno così diverse», che è un po’ come dire che trovare la sintesi in fondo non sembrava così impossibile e che quindi non trovarla è stata una mancanza del segretario. Ma Orfini si spinge più in là e suggerisce l’ipotesi che ci sia stata una sorta di ammutinamento cercato e trovato nel voto di questa risoluzione: «Penso che nella divisione abbiano pesato anche elementi di posizionamento interno, che hanno trasformato quel voto in qualcosa di diverso».
Alessandro Alfieri, senatore e coordinatore di Energia popolare, la minoranza Pd, si schiera con la linea del segretario. «Io non penso che serva un congresso. Serve, invece, registrare un metodo di confronto quando ci sono questioni più critiche, in cui tutti possono portare il proprio punto di vista dandoci i tempi necessari».
Con la leader, in Aula e fuori, Matteo Ricci, astenuto anche lui, che dice: «C’è una segretaria in carica che va aiutata, non è il momento di pensare a un congresso. Credo che ora tutti noi dobbiamo, in maniera unitaria e al tempo stesso plurale, cercare di aiutare a trovare la direzione giusta in questa fase». Insomma a Schlein secondo Ricci serve l’aiutino da casa. Aiutino, anche se timido, che arriva da Roma, con il sindaco Roberto Gualtieri che entra nel dibattito spiegando: «Io ho sempre avuto una forte disciplina di partito quindi difficilmente avrei votato diversamente dell’indicazione della segretaria».
Per Rosy Bindi «la segretaria è stata molto chiara» e aggiunge: «Approfittare di un argomento così importante come la difesa europea e la pace per chiedere un congresso è una cosa che non porta bene, da anni, al Pd. Ed è meschino che lo si pratichi intorno ad un tema così importante come la pace».
Per il vice presidente della commissione difesa Piero Fassino «non è vero che ci sono due partiti del Pd. Ci sono due orientamenti diversi su un tema cruciale come quello della posizione internazionale, fondamentale per la credibilità e l’identità di un partito. Io credo fosse opportuno che ieri la delegazione del Pd votasse compatta come tutto il partito socialista, invece una parte ha votato a favore della risoluzione mentre alcuni si sono astenuti. È vero, come si è detto, che il piano per il riarmo è incompleto, ma proprio per questo andava votato. Questo è soltanto un primo passo lungo il percorso che porta a una struttura di difesa comune».






