Così recitano i manifesti di Pro Vita & Famiglia nel giorno della Festa della Donna, uno slogan volutamente politicamente scorretto e neo-femminista che vuole scatenare una seria riflessione sul ruolo delle donne oggi. In una nota Francesca Romana Poleggi, membro del direttivo della Onlus che ha organizzato il Congresso delle Famiglie di Verona, ha voluto sottolineare l'importanza «della vera battaglia delle donne per le donne: poter crescere un figlio senza rinunciare al lavoro oppure da casalinghe, perché c'è uno Stato che ha cura dei nuclei familiari e li tutela. Non siamo bestiole rare che hanno bisogno di essere festeggiate: non abbiamo bisogno dell'8 marzo per andare a cena fuori con le amiche». Poleggi ha poi denunciato: «Ci hanno fatto credere che la contraccezione, il divorzio e l'aborto servissero a renderci più libere ed emancipate, ma non ci hanno mai detto degli effetti collaterali. Diciamo no, grazie: essere emancipate non vuol dire svilire la nostra dignità». Maria Rachele Ruiu, mamma del secondo figlio da pochi giorni e anche lei membro del direttivo Pro Vita & Famiglia, ha precisato ancora: «Non siamo generose se affittiamo il nostro utero per far crescere un bambino da consegnare ad altri, né se vendiamo il nostro corpo per gli altri. Questa non è libertà, sono abusi inaccettabili: è la nuova schiavitù e lo dico alle femministe di 'Non una di Meno' che difendono l'utero in affitto e sex working e di fatto vorrebbero censurare le tantissime donne che la pensano diversamente da loro». Per Ruiu «gli uomini non sono nemici, ma i nostri migliori alleati, anche nella giustissima lotta contro le violenze. La nostra difesa e libertà non possono passare da un indottrinamento ideologico schizofrenico che da una parte ci mette in continua contrapposizione con loro, dall'altra ingiuria chi afferma che solo le donne possono partorire (o avere le mestruazioni)». Pro Vita & Famiglia, nel giorno dell'8 Marzo, mette in guardia da «chi vuole liberare le donne dallo stereotipo della moglie devota e della madre affettuosa, salvo poi sbatterle mezze nude in tv, al cinema, sui giornali, come pezzi di carne in vendita» e ribadisce «il diritto delle donne di essere liberate da questa propaganda e di coltivare un'alleanza leale e paritetica con gli uomini».
L'8 marzo è una fake news. È una fake news che ci sia stato un incendio che uccise delle operaie. È una fake news che siamo più buone degli uomini e sempre vittime. È una fake news che nel mondo occidentale fossero serve e solo serve. Eravamo noi donne, i re e i sacerdoti a portare la sottana, noi, i re e i papi a portare i gioielli, l'uomo si inginocchiava davanti a noi per chiederci in sposa, non il contrario. Nel mondo tradizionale occidentale le donne subivano molte ingiustizie, ma comunque meno degli uomini che subivano l'ingiustizia della guerra, della miniera e della fonderia. Ora anche a noi è stato conquistato il diritto di morire di malattie professionali.
È una fake news che le donne siano gruppo etnico: gli ebrei sono un gruppo etnico, gli armeni sono un gruppo etnico. Se un ebreo dice: noi siamo sempre stati perseguitati, sta dicendo che le persone uccise durante la peste del 1300 in quanto accusate di averla causata, avevano con loro parecchi cromosomi in comune.
Noi non siamo un gruppo etnico, siamo la parte femminile della specie umana, una parte femminile che ha senso solo se esiste la parte maschile, e viceversa. La spettacolare diversità del corpo femminile rispetto quello maschile, la spettacolare diversità della mente maschile rispetto a quella femminile permette l'attrazione e quindi permette la vita.
Il movimento femminista ha avuto due fasi: il movimento di emancipazione, che voleva diritti politici nel momento in cui erano diventati possibili, e il movimento di liberazione femminile basato sull'odio. Sull'odio degli uomini, per il cristianesimo e la civiltà occidentale, ma soprattutto sull'odio per le donne.
La nostra struttura fisica e psicologica è basata sulla maternità. La nostra maternità deve essere centro del mondo. Il movimento di liberazione femminile odia le donne, e le vuole quindi uguali agli uomini, perché ha la inconscia ma granitica convinzione che le donne, così come sono, sono inferiori. Il movimento di liberazione femminile odia la maternità quasi quanto odia i padri. Odia la sessualità indirizzata alla maternità, e si spertica a reclamizzare un erotismo ridicolo, meglio se con tizi di cui non ti frega niente, ma meglio ancora se fai da te, non avendo capito che se una donna fa l'amore con il suo uomo, con l'uomo che per lei ucciderebbe il drago, fabbrica fiumi di ossitocina; se fa da sola o con un anonimo l'orgasmo è ossuto e stitico e non vale niente. Il movimento di liberazione femminile odia il matrimonio non avendo capito che la parola matrimonio deriva da madre e serve per proteggere le madri. Il movimento di liberazione femminile è riuscito a imporre alle donne una sessualità usa e getta di tipo maschile. Per una donna la promiscuità sessuale è un'auto aggressione, perché il nostro sistema limbico, la parte arcaica del cervello, se lo ricorda che dall'atto sessuale può nascere una gravidanza, e che la promiscuità sessuale, propagandata dalle lezioni di educazione sessuale non più come un diritto ma come un dovere, è un pericolo.
Il movimento di liberazione femminile ci ha procurato il massimo dei nostri diritti: far uccidere nel nostro ventre il nostro bambino. Un diritto meraviglioso che si accompagna alla totale assenza di aiuti seri in caso di gravidanza, salvo quelli sbagliati (sconti sul latte in polvere e asili nido). Un bambino deve stare con sua madre il primo anno di vita, e se possibile essere allattato da lei. Questi sono diritti che garantiscono salute fisica e psichica, e che solo una società che odia profondamente le donne calpesta. Se qualcuno osa criticare l'aborto volontario, in Francia è inquisito. Se avessi scritto queste righe in Francia sarei stata condannata. Il diritto della donna di suicidarsi in differita col denaro pubblico uccidendo il suo bambino è sacra e inviolabile, perché questa società odia la donna e quindi odia il bambino. Un sistema di assistenti sociali appassionatamente femministe ha creato alle donne, come ai loro uomini, il diritto di vedere i propri figli presi in consegna dello Stato e sbattuti non si sa bene dove.
Il movimento di liberazione femminile ha annullato le differenze: due maschi ricchi possono sfruttare e distruggere la salute di donne povere per comprare i loro ovuli per sfruttare la gravidanza e il dolore del parto di altre donne povere, perché chiunque affermi la verità che il bambino ha bisogno della madre, è accusato di sessismo. Il movimento di liberazione femminile ha annullato le differenze: i maschi possono infischiarsene dei figli che hanno concepito, tanto le donne sono abbastanza in gamba da abortire o tirarsi su la prole da sole. Il movimento di liberazione femminile ha abolito le differenze. Ha creato un esercito di donne sole. Il successo maggiore è la Svezia. In Svezia più del 50% degli uomini e più del 50% delle donne vivono soli.
Il movimento di liberazione femminile però con grandissimo rispetto delle etnie altrui, mentre prendeva a calci l'etnia propria, ha sempre rispettato il diritto della donna islamica a portare il burqa e ad essere lapidata. Il movimento di liberazione femminile crede di essere un movimento spontaneo. Non è così. È stato costruito perché occorreva immettere nella civiltà occidentale un enorme quantitativo di manodopera a basso costo, così da mettere i lavoratori in competizione gli uni con gli altri e abbattere i diritti di tutti. Ringraziamo commosse il movimento di liberazione femminile.
Quest'anno facciamo un 8 marzo diverso. Facciamo una festa di uomini che amano le donne e di donne che amano gli uomini, perché grazie a questo amore diventano padri (e quindi la loro virilità diventa sacra e completa) e madri (e questo rende la loro femminilità sacra e completa). Che nove mesi dopo l'8 marzo si abbia un picco di nascite! Perché gli uomini sono nati per amare le donne e le donne sono nate per amare gli uomini, dato che solo da questo nascono i bambini, cioè il futuro.
Tutto il resto, veramente, sono boiate e fake news
Ma qualcuno sa spiegarmi che senso ha lo sciopero dei treni per la festa delle donne? Qualcuno sa dirmi che senso ha chiudere la metropolitana in nome della parità di genere? Ma che significa? Significa che restano giù dalla metropolitana sia i lavoratori sia le lavoratrici? Che si realizza la parità di genere degli appiedati? Per l'amor del cielo: lungi da noi voler sminuire l'importanza della questione femminile, non vorremmo essere bruciati sul rogo del senonoraquando o nonunadimeno. Siamo perfettamente allineati, mimosati e perfino genuflessi. Ma con rispetto domandiamo: perché diavolo, per difendere le donne, bisogna chiudere loro le porte dell'autobus in faccia?
Non riusciamo a farcene una ragione, abbiate pazienza. Dev'essere colpa nostra. Ma lo «sciopero femminista» ci pare una boiata pazzesca. Per non dire dello «sciopero transfemminista globale» organizzato dal sindacato di base (a seguire cena a prezzi popolari e party finale con dj set trash). Abbiamo letto e riletto con attenzione tutte le rivendicazioni, alcune condivisibili, altre meno, ma non è questo il punto. È che non riusciamo proprio a capire la consecutio logica: «Difendiamo i diritti delle donne. Sciopera anche il comparto aeroportuale», scrivono per esempio sui volantini. E lì ci sfugge qualcosa. Perché chiudere il comparto aeroportuale dovrebbe aiutare le donne? In che modo? E poi: tutte le donne? Davvero? Anche quelle che volevano prendere l'aereo?
E poi fossero solo gli aeroporti. Macché. Per difendere le donne ieri sono stati fermati treni, metropolitane, bus, traghetti, ospedali, scuole, taxi, persino la raccolta dei rifiuti dell'Ama di Roma, come se per altro avesse bisogno di fermarsi ancora. E io me li immagino gli organizzatori, animati dalle migliori intenzioni, darsi di gomito mentre proclamano lo sciopero: «Così imparano quei Barbalù di uomini a discriminare le donne». Dimenticando, però, un piccolo particolare: sui treni e sulle metropolitane ci salgono pure le donne, sugli autobus pure, così come le donne entrano nelle scuole e persino negli ospedali, purtroppo. Voi capite il paradosso: dicono di voler difendere il corpo delle donne. E intanto smettono per un giorno di curarlo.
Al Policlinico di Roma, per dire, hanno incrociato in molti le braccia per partecipare all'appuntamento clou della giornata, quello organizzato dai tre maggiori sindacati, Cgil Cisl e Uil. Tema quanto mai impegnativo: «La contrattazione di genere protagonista del cambiamento». Ora io non sono del tutto convinto che la «contrattazione di genere» abbia un senso né tanto meno che essa possa davvero diventare protagonista di alcunché e tantomeno del cambiamento. Ma se anche fosse: perché, per affermarla, bisogna chiudere le porte degli ospedali? O delle scuole? O del metrò? Che cambiamento ci può essere se si comincia con il più antico dei riti italiani, cioè uno sciopero del settore pubblico, e guarda caso proprio di venerdì?
In effetti, notate la coincidenza: ormai gli scioperi si fanno soltanto nel settore pubblico (dove per altro gli unici danneggiati non sono i datori di lavoro ma i cittadini utenti) e soltanto di venerdì (soprattutto quando arrivano i primi venti di primavera a ispirare il week end lungo). Sono anni, forse decenni ormai, che non si vede più uno sciopero (per dire) nell'industria metalmeccanica, magari di mercoledì. Niente: solo trasporti, sanità e scuola. Solo di venerdì. Il nobile istituto di antica tradizione operaia è evidentemente in uno stato di crisi comatoso. E allora cerca di rifarsi un'immagine con una bella pennellata rosa. Resta tutto come prima (week end lungo compreso), ma la vergogna viene nascosta sotto la mimosa.
La cosa strana, però, non è tanto questo patetico tentativo di rianimare con un po' di Me too in salsa italiana lo sciopero, ferrovecchio dell'Ottocento, che sarebbe ormai da mandare al museo come il grammofono e il telefono a manovella. La cosa strana è che nessuno fa una piega. E che da un editoriale a un telegiornale, da un'intervista a un servizio Tv, si fa passare questa scemenza totale, lo sciopero femminista, come se fosse una cosa normale.
Come se davvero si potessero difendere i diritti delle donne che lavorano, lasciando le donne che lavorano senza l'autobus. E senza nemmeno una donna che osi rompere la patina melliflua del politicamente corretto per dire: «Ehi, davvero volevate difendermi? E per difendermi mi avete lasciato per ore alla stazione di Treviglio Ovest aspettando un treno che non c'era?».
Oggi per la Festa della donna, al posto del solito, banale mazzo di mimose, vorrei offrirvi un elogio della femmina, matriarca e donnuta e un'esortazione a conquistare quel ruolo. Dopo decenni di femminismo e donne che lavorano, che escono, che vivono più fuori che dentro, lesbiche in piazza e di cubiste in esposizione, facciamo uno spietato bilancio. State veramente meglio, vi sentite più realizzate, siete più felici o più alienate, più dipendenti, più frustrate? È necessaria una rivoluzione copernicana per riconquistare la casa perduta e la dignità femminile che vi abitava. Senza nulla togliere a tutto il resto.
La donna è regina
della casa, l'uomo
è suddito e ospite
Come la storia del matriarcato insegna, dalla civiltà mediterranea al passato più vicino, e come insegnavano anche le nostre nonne e madri, le donne erano le sovrane e non le domestiche dei loro figli e mariti, come poi sono diventate, dimezzandosi tra casa e lavoro; e col passare degli anni lo statuto di madri e custodi delle tradizioni domestiche, dei beni di casa e dell'estremo rifugio dell'uomo, dava loro un potere e perfino un carisma negato ai maschi. Da vecchie diventavano quasi ieratiche, venerate come sagge tirannosaure o come sante e veggenti, grembi atavici da cui discendeva la famiglia, sedute su troni regali a tessere il passato e il futuro dei loro cari.
La donna è mandante, l'uomo è il suo garzone
L'importanza strategica di telecomandare mariti, compagni e figli da casa. Chi l'ha detto che chi sta a casa o nelle retrovie conta meno di chi sta fuori e si agita? È in casa che si decidono le strategie, è in casa che si hanno le chiavi della propria vita e dei famigliari, e chi comanda a casa, comanda fuori. Elogio della casa come fortezza inespugnabile e come quartier generale in cui studiare guerre, assalti e conquiste, o in cui preparare ritirate, fughe e rifugi ascetici. Senza dire che chi domina la casa ha sempre due possibilità, di restare o di uscire; mentre chi non ha casa, ne ha una sola.
La donna è pilastro, l'uomo è passeggero
Nella società della mobilità e del lavoro flessibile e precario, acquista straordinaria importanza la casa, che sembrava invece destinata ad essere disertata per via dello statuto di nomadi della società globale. Invece a casa oggi c'è il computer che ci apre al mondo, c'è il lavoro a distanza, c'è la tecnologia più avanzata e la santissima trinità del moderno: telefono, internet e tv. Si comunica da casa più che per strada. Chi domina la casa, domina la comunicazione. Il focolare domestico ha bisogno non di un angelo o una vestale ma di più...
La donna è multipla, l'uomo è monocorde
La donna ha, rispetto all'uomo, innegabili risorse biologiche in più. Oltre a vivere più a lungo e a resistere di più a molte malattie, dispone di un patrimonio erotico e biologico molto più ricco. Può avere molteplici orgasmi e coltivare multipli rapporti, anche paralleli e consecutivi, mentre un uomo ha risorse sessuali più limitate; può fingere orgasmi mentre l'uomo è vincolato a esibire lìerezione. Insomma la donna può giocare su più tavoli e perfino alternarsi nel ruolo di donna e di uomo, mentre l'uomo non può giocare su due tavoli e con due ruoli, a malapena gli riesce uno.
La donna lega, l'uomo slega
La donna ha una carta genetica in più, la maternità di cui la paternità è solo una pallida e lontana imitazione. L'abissale differenza tra inseminazione e gravidanza, tra pater e parto, tra ruolo paterno e allattamento. La dipendenza dei figli dalle donne è fisica e metafisica, carnale e biologica, alimentare e nutriente; quella dai padri può essere al più intellettuale e morale, o economica. Un padre è wireless, mentre una madre ha sempre un cordone ombelicale invisibile verso la sua famiglia. Non vivetela come una catena e una carenza ma come una risorsa e una ricchezza.
Gioioso è il femminile, torvo è il femminismo
Il femminismo ha portato si, alcune emancipazioni importanti e alcune conquiste innegabili ma nel complesso si è concluso con un'abdicazione della femminilità e una sterile imitazione del modello maschile. La donna è diventata l'imitazione isterica e scadente del maschio. Da qui la necessità di riprendersi la femminilità in tutta la sua gagliarda pienezza, per il bene vostro, nostro e di terzi. Aboliamo l'8 marzo e lasciamo le mimose nei campi: sono più belle a casa loro e non danno il mal di testa, come invece nelle fioriere di casa.
Matriarche, non veline
La donna disinibita ed esibizionista, in tv e nella pubblicità, nella vita d'ogni giorno e al lavoro, è diventata ancora più donna oggetto della donna sottomessa del passato, perché il suo sex appeal è usato per vendere merci, per sedurre in vista d'altro, fino a figurare nuove forme commerciali di prostituzione. La donna diventa strumento per il mercato, intervallo di ricreazione, geisha per trattative industriali e commerciali, perfino surrogato della masturbazione. Le donne velate dell'islam sono donne sottomesse ma le donne veline dell'occidente sono solo pruriti e non persone, gadget e non intelligenze. Dietro un velo si può celare un volto vero e un'intelligenza viva; dietro due labbra siliconate e un viso liftato, il volto diventa una fiction e l'intelligenza è emigrata clandestina.
Per finire: la donna
è immobile
Liberiamoci dal falso pregiudizio da opera lirica che la donna è mobile, qual piuma al vento. La donna è l'asse che non vacilla, per dirla con Lao tse, il punto fermo negli assetti famigliari e sociali. Il suo punto di forza era l'unità della famiglia; oggi guadagna di più, anche dalle separazioni, ma vale di meno. E poi vale anche nello sport: chi gioca in casa è favorito. Passate dalla sovranità domestica alla sovranità domotica. Ma non dimenticate l'etimo, donna deriva da domina e da domus, cioè da signora e casa; riprendetevi la signoria e il suo castello.
(Ragazze, calma, abbiamo scherzato, anche se nello scherzo c'è una dose di verità...).







