
L'unica parità di genere raggiunta con la mobilitazione di ieri è stata quella di appiedare maschi e femmine. Queste proteste con motivazioni surreali, sempre e solo di venerdì, sono un'offesa alle vere lotte del passato.Ma qualcuno sa spiegarmi che senso ha lo sciopero dei treni per la festa delle donne? Qualcuno sa dirmi che senso ha chiudere la metropolitana in nome della parità di genere? Ma che significa? Significa che restano giù dalla metropolitana sia i lavoratori sia le lavoratrici? Che si realizza la parità di genere degli appiedati? Per l'amor del cielo: lungi da noi voler sminuire l'importanza della questione femminile, non vorremmo essere bruciati sul rogo del senonoraquando o nonunadimeno. Siamo perfettamente allineati, mimosati e perfino genuflessi. Ma con rispetto domandiamo: perché diavolo, per difendere le donne, bisogna chiudere loro le porte dell'autobus in faccia?Non riusciamo a farcene una ragione, abbiate pazienza. Dev'essere colpa nostra. Ma lo «sciopero femminista» ci pare una boiata pazzesca. Per non dire dello «sciopero transfemminista globale» organizzato dal sindacato di base (a seguire cena a prezzi popolari e party finale con dj set trash). Abbiamo letto e riletto con attenzione tutte le rivendicazioni, alcune condivisibili, altre meno, ma non è questo il punto. È che non riusciamo proprio a capire la consecutio logica: «Difendiamo i diritti delle donne. Sciopera anche il comparto aeroportuale», scrivono per esempio sui volantini. E lì ci sfugge qualcosa. Perché chiudere il comparto aeroportuale dovrebbe aiutare le donne? In che modo? E poi: tutte le donne? Davvero? Anche quelle che volevano prendere l'aereo?E poi fossero solo gli aeroporti. Macché. Per difendere le donne ieri sono stati fermati treni, metropolitane, bus, traghetti, ospedali, scuole, taxi, persino la raccolta dei rifiuti dell'Ama di Roma, come se per altro avesse bisogno di fermarsi ancora. E io me li immagino gli organizzatori, animati dalle migliori intenzioni, darsi di gomito mentre proclamano lo sciopero: «Così imparano quei Barbalù di uomini a discriminare le donne». Dimenticando, però, un piccolo particolare: sui treni e sulle metropolitane ci salgono pure le donne, sugli autobus pure, così come le donne entrano nelle scuole e persino negli ospedali, purtroppo. Voi capite il paradosso: dicono di voler difendere il corpo delle donne. E intanto smettono per un giorno di curarlo.Al Policlinico di Roma, per dire, hanno incrociato in molti le braccia per partecipare all'appuntamento clou della giornata, quello organizzato dai tre maggiori sindacati, Cgil Cisl e Uil. Tema quanto mai impegnativo: «La contrattazione di genere protagonista del cambiamento». Ora io non sono del tutto convinto che la «contrattazione di genere» abbia un senso né tanto meno che essa possa davvero diventare protagonista di alcunché e tantomeno del cambiamento. Ma se anche fosse: perché, per affermarla, bisogna chiudere le porte degli ospedali? O delle scuole? O del metrò? Che cambiamento ci può essere se si comincia con il più antico dei riti italiani, cioè uno sciopero del settore pubblico, e guarda caso proprio di venerdì?In effetti, notate la coincidenza: ormai gli scioperi si fanno soltanto nel settore pubblico (dove per altro gli unici danneggiati non sono i datori di lavoro ma i cittadini utenti) e soltanto di venerdì (soprattutto quando arrivano i primi venti di primavera a ispirare il week end lungo). Sono anni, forse decenni ormai, che non si vede più uno sciopero (per dire) nell'industria metalmeccanica, magari di mercoledì. Niente: solo trasporti, sanità e scuola. Solo di venerdì. Il nobile istituto di antica tradizione operaia è evidentemente in uno stato di crisi comatoso. E allora cerca di rifarsi un'immagine con una bella pennellata rosa. Resta tutto come prima (week end lungo compreso), ma la vergogna viene nascosta sotto la mimosa.La cosa strana, però, non è tanto questo patetico tentativo di rianimare con un po' di Me too in salsa italiana lo sciopero, ferrovecchio dell'Ottocento, che sarebbe ormai da mandare al museo come il grammofono e il telefono a manovella. La cosa strana è che nessuno fa una piega. E che da un editoriale a un telegiornale, da un'intervista a un servizio Tv, si fa passare questa scemenza totale, lo sciopero femminista, come se fosse una cosa normale. Come se davvero si potessero difendere i diritti delle donne che lavorano, lasciando le donne che lavorano senza l'autobus. E senza nemmeno una donna che osi rompere la patina melliflua del politicamente corretto per dire: «Ehi, davvero volevate difendermi? E per difendermi mi avete lasciato per ore alla stazione di Treviglio Ovest aspettando un treno che non c'era?».
Siska De Ruysscher
La morte assistita, in certi Stati come il Belgio, è già diventata una «soluzione» all’incapacità di trattare patologie guaribili. Tipo la depressione di cui soffre Siska, 26 anni, che invece riceverà l’iniezione letale. E il Canada pretende i parenti-spettatori.
Getty Images
- La Commissione chiede alla Cina di posticipare il nuovo sistema di licenze per l’export di terre rare e tratta con Nexperia, il produttore che sta mettendo in crisi le case d’auto. Allarme di Urso: è emergenza, agire subito.
- Il commissario Ue al Commercio vede Lollobrigida e apre all’inserimento di controlli e reciprocità nel trattato di libero scambio col Sudamerica. Coldiretti per ora non si fida.
Lo speciale contiene due articoli.
iStock
Per «Repubblica» non esiste distinguo: qualunque comportamento un uomo adotti basta che il femminile lo percepisca come sconveniente per farlo finire in croce.






