Federico Iadicicco: «Bene la legge sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese»
In occasione di Apotheke, la scuola di formazione di Anpit in collaborazione con il centro studi Articolo 46, abbiamo intervistato il presidente dell’associazione Federico Iadicicco per approfondire i temi trattati durante l’evento.
Quali sono i temi affrontati in questi tre giorni a Taormina?
«La nostra scuola di formazione si concentra su aspetti tecnici e normativi che riguardano direttamente le imprese e i lavoratori. In questi tre giorni, approfondiamo le principali novità legislative degli ultimi anni, con un focus specifico sul Job act e sulle sue implicazioni pratiche, gli sviluppi recenti della giurisprudenza in materia di lavoro e il prossimo referendum che potrebbe influenzare il panorama contrattuale. Un altro tema è quello degli appalti pubblici, analizzati attraverso il prisma della rappresentatività sindacale e del principio di equivalenza. Si parla di ricambio generazionale, un nodo cruciale per il futuro delle Pmi italiane, spesso trascurato. La leadership aziendale e la compliance integrata completeranno il quadro dei temi trattati, offrendo strumenti concreti per gestire responsabilità sociali e normative. Sarà presentato anche il nuovo numero della rivista Apotheke, dedicato al tema della crescita felice».
In tema di dazi e rapporti tra Ue e imprese, quali proposte avanzate?
«La questione dei dazi ha riacceso un dibattito fondamentale sul modello economico europeo. Per decenni, l’Europa ha puntato sull’export come motore di crescita, ottenendo surplus commerciali ma sacrificando i salari, soprattutto in Paesi come l’Italia. La manifattura italiana, pur essendo ancora la seconda in Europa, è scesa sotto il 20% del Pil. Questo declino non è inevitabile: servono investimenti mirati nei settori chiave del made in Italy. Tuttavia, dobbiamo anche confrontarci con norme europee spesso restrittive, che limitano la competitività. La nostra proposta è duplice: rilanciare la manifattura attraverso incentivi fiscali e sostegno all’innovazione; promuovere un dialogo con l’Ue per rivedere regole che penalizzano le imprese senza garantire reali benefici ambientali o sociali».
Parliamo della legge sulla partecipazione. Cosa emerge dal vostro dossier?
«Il nostro studio ha rivelato un consenso diffuso tra le aziende associate sull’importanza di introdurre forme di partecipazione dei lavoratori. Tuttavia, le modalità variano a seconda delle dimensioni aziendali. Nelle grandi e medie imprese, prevale l’interesse per un coinvolgimento strutturale: i rappresentanti dei lavoratori potrebbero entrare negli organi societari, contribuendo alle decisioni strategiche, e accedere a quote sociali. Questo approccio favorisce una governance più inclusiva e trasparente. Nelle piccole e microimprese, invece, la priorità è legare la partecipazione ai risultati economici. In Anpit, abbiamo affiancato molte di queste realtà nello sviluppo di percorsi partecipativi, dimostrando che anche in contesti piccoli è possibile creare sinergie tra imprenditori e dipendenti».
In merito al salario minimo qual è la vostra posizione?
«Il dibattito sul salario minimo è stato strumentalizzato, riducendosi a uno scontro tra visioni sindacali contrapposte. Noi crediamo che il tema vada affrontato con pragmatismo. In un Paese con una pluralità di contratti collettivi, imporre un modello unico rischia di soffocare la rappresentanza delle piccole imprese e dei territori. Il vero obiettivo dovrebbe essere collegare i salari alla produttività. Per farlo, servono strumenti come la contrattazione aziendale e schemi di partecipazione agli utili, incentivando il coinvolgimento attivo. Parallelamente, è essenziale rilanciare settori ad alta produttività, come la manifattura avanzata».
Qual è la vostra opinione sulla geopolitica internazionale, specie dopo l’appello del Papa per la pace?
«La pace è un valore non negoziabile, soprattutto di fronte a conflitti come quello in Ucraina e alle tensioni a Gaza. In Ucraina, sosteniamo un accordo che rispetti la sovranità del Paese, ma riconosca anche le complessità emerse in anni di scontri. L’Ue e gli Usa devono impegnarsi in mediazioni concrete, evitando di alimentare escalation militari. A Gaza, la soluzione non può essere l’occupazione permanente: va garantita la sicurezza di Israele, ma anche il diritto dei palestinesi a un futuro dignitoso».






