Quando re Luigi XVI fu informato dei primi tumulti nei pressi della Bastiglia, chiese candido: «È una rivolta?», «No, sire, una rivoluzione», gli risposero, anticipando il solco indelebile che avrebbe spazzato via progressivamente l’ancient regime. Ecco. Per la Juventus, per ora, è l’esatto contrario. Nessuna rivoluzione in vista, nessuna presa della Bastiglia con un gioco baldanzoso. Allegri resta Allegri, allenatore difensivista, a suo agio nel praticare la vittoria di corto muso. E però nello 0-1 strappato dai bianconeri nel derby della Mole c’è un sussulto d’orgoglio che potrebbe far ben sperare gli ottimisti. Dopo una Champions League da film horror - sconfitta dai modesti avversari del Maccabi Haifa - la Signora si è risvegliata nella partita sentita da entrambe le tifoserie, trampolino di lancio per ripartire in un campionato a oggi assai claudicante quanto a punti racimolati. La formazione schierata dal mister toscano vede il potente Vlahovic affiancato dal bizzoso Kean in attacco, un centrocampo nutrito con McKennie, Locatelli, Rabiot e con Cuadrado e Kostic a scattare in fascia, difesa a tre targata Danilo, Bremer (poi sostituito da Bonucci) e Alex Sandro a protezione di Szczesny. Proprio a Vlahovic si deve la rete rapinosa al settantaquattresimo minuto. Tiro di destro, pallone in gol dopo una spizzata di Danilo e una certezza: Dusan rimane il calciatore più ispirato in rosa, ha il piglio del trascinatore, è giovane, vede la porta, insomma, la Juventus dovrebbe puntare su di lui per ipotecare un futuro rassicurante. Il Toro è guidato dalla vecchia volpe Juric, tecnico scafato, a suo agio nel gestire i gruppi di medio cabotaggio. Ma stavolta ha peccato di ingenuità in diverse occasioni. Vlasic unica punta è assistito da Miranchuk e Radonjic, sulla mediana si piazzano Aina, Lukic, Linetty e Lazaro. Un primo tempo da Corazzata Potemkin, con la noia pronta a signoreggiare sul pubblico pagante, eccezion fatta per qualche incursione di puro puntiglio bianconero, imbrigliata in una manovra macchinosa. Al minuto 35, la Juventus si avvicina al vantaggio con tre tiri consecutivi: Vlahovic, Locatelli e Rabiot impegnano Milinkovic-Savic, portiere granata fratello del centrocampista laziale che infiocchetta i sogni di Agnelli e compagni per il mercato di gennaio. Due minuti dopo ci prova Cuadrado con una gran botta di destro e la palla fuori di poco. Da notare come, nella prima mezz’ora di gioco, Radonjic del Toro avesse azzardato il colpaccio penetrando in un buco difensivo degli avversari, non riuscendo a concretizzare. La verità è che va di moda il vintage e il calcio di Allegri, al momento, ne è un esempio tra i meno appetibili. Poche idee, tentativi velleitari, scarsa propensione a valorizzare una rosa dai piedi buoni, non granché amalgamata. Insomma, sembra una sfida tra due compagini di centro classifica. Con un’attenuante: il mister toscano è uno specialista nell’agguantare punti soprattutto durante il girone di ritorno. La ripresa vede gli juventini ricaricati. Minuto 51: rimpallo in area granata, tiro di Locatelli, ancora Milinkovic-Savic sugli scudi con una parata da felino. Il Torino non sta a guardare e prova a rispondere a tono. Vlasic sfugge al controllo dei marcatori, si incunea e lascia partire una bordata mancina. Il pallone mette alla prova i riflessi dell’estremo difensore Szczesny. Il botta e risposta certifica un secondo tempo in cui le due formazioni tentano di giustificare ai tifosi presenza e supporto. Ci riescono. Kostic azzarda un traversone, Kean tenta l’aggancio, ma sbaglia in maniera piuttosto grossolana. L’ha ciccata, direbbero davanti ai televisori dei bar. E dire che la porta era pressoché sguarnita. Al minuto 73 si capovolge il fronte. La sfera giunge sui piedi di Miranchuk, che si ritrova da solo, con tutto il tempo e la porta davanti, ma la spara altissima. Pochi secondi più tardi e ci si ritrova ancora nell’area dei padroni di casa. Danilo confeziona un cross a regola d’arte, Vlahovic centra il pallone di testa e sfiora il gol. Il vantaggio è nell’aria e non tarda a comparire. Ci pensa ancora il serbo, deus ex machina di una squadra con parecchi margini di miglioramento, soprattutto quando avrà recuperato Chiesa e Di Maria. Inizia la girandola di sostituzioni: Milik rimpiazza lo sprecone Kean nei ranghi bianconeri, Pellegri entra al posto di Radonjic nel Toro, Karamoh viene chiamato da Juric a sostituire Linetty e Zima prende il posto di Djdij. C’è spazio anche per una passerella dell’argentino Paredes, messo in campo per qualche minuto a far rifiatare l’eroe della giornata Vlahovic. Il match durante il recupero è scandito da ordinaria amministrazione, con il Torino incapace di tentare la giocata del pareggio, che non sarebbe affatto andato stretto. Vince la squadra dalla rosa migliore, pungolata dal desiderio di rifarsi una reputazione dopo due partite poco brillanti, perde quella più ingenua, capace, mormoravano i maligni sui social, di far resuscitare i morti (dunque gli juventini). Ora, dopo 10 incontri, i punti per i bianconeri sono 16. Significa settimo posto temporaneo, a tre lunghezze dalla Roma di Jose Mourinho, che giocherà domani a Genova contro la Sampdoria. I granata rimangono fermi a 11 punti, piena linea mediana della Serie A, esprimendo fino a oggi il calcio consentito dal proprio organico. Piccola nota di colore: in otto degli ultimi nove derby disputati, il Toro ha incassato gol dopo il settantesimo minuto.
Qui non basta un lampo di CR7 a risolvere tutto perché il pallone è fermo nella melma, sporco pure lui. Ieri sera Report si è occupato ancora della Juventus, dei ricatti ultras, dei rapporti con il sottobosco della tifoseria che porta alla 'ndrangheta, realtà affiorata nell'inchiesta «Alto Piemonte». Gli autori dell'inchiesta avevano intenzione di finirla lì; lo spaccato mandato in onda otto giorni fa era già di per sé illuminante sugli ambigui comportamenti di uno dei club più prestigiosi del mondo davanti alle richieste muscolari della curva e alle pretese del mondo di mezzo.
A riattizzare l'incendio ci ha pensato il presidente bianconero, Andrea Agnelli, che all'indomani del servizio su Rai 3 ha rassicurato gli azionisti preoccupati con parole definitive: «Alessandro D'Angelo (dirigente, capo della security della società, ndr) non ha aiutato a introdurre nello stadio gli striscioni canaglia su Superga, come già li avevo definiti. Lo prova la sentenza della Corte federale d'appello. Ogni altra affermazione è falsa e infondata». Ma a Report, Sigfrido Ranucci e Federico Ruffo non ce l'hanno fatta a passare per bugiardi e hanno deciso di riaprire il caso con la seconda puntata dal titolo «Com'è andata a finire: una Signora alleanza».
Hanno recuperato altre intercettazioni e illuminato gli angoli. Hanno dimostrato che il responsabile della sicurezza non solo aveva rapporti con i capi ultras - com'è legittimo, per controllarne i movimenti e tamponarne le follie -, ma era interlocutore privilegiato e si muoveva per favorire certe pratiche. Ha spiegato Ruffo: «D'Angelo è così sotto scacco che non può trattare. Il responsabile della sicurezza deve solo trovare il modo di aggirarla, la sicurezza». L'esempio dominante è sempre il derby del 23 febbraio 2014, quando i Drughi pretendono che lui faccia entrare gli striscioni vietati, quel «Solo uno schianto» e «Quando volo penso al Toro», il cui significato offensivo e derisorio va ben oltre una sentenza della giustizia sportiva e tocca i nervi della memoria. Soprattutto se ad avallarne l'esposizione è il club della stessa città che guarda la basilica di Superga sulla collina.
D'Angelo ha bisogno dei tifosi che minacciano lo sciopero, tratta al telefono con il figlio del boss Rocco Dominello: «Non mi venire allo stadio a far star zitta la curva al derby e devo sentire i bovini cantare (i tifosi del Toro, ndr). Mi stanno sul cazzo in una maniera...». Gli ultras mettono sull'altro piatto i due striscioni: tifiamo se entrano quelli. D'Angelo prova a resistere («No, ti prego, non Superga»), poi cede. Sa che la Juventus dovrà pagare una multa, ma è disposto ad aiutarli e a pagarla. Rischi di deferimento zero, si tratta di accordi fra non tesserati.
È nota l'intercettazione del security manager con Raffaello Bucci, ex ultras assunto dal club per curare i rapporti con quel mondo e le forze dell'ordine, suicidatosi dopo aver testimoniato in tribunale sulle infiltrazioni della criminalità organizzata. Bucci: «Quanta multa vuoi prendere?». D'Angelo: «Fino a 50.000 euro». Bucci: «Non ce la fai, cumpa'». Meno noto che gli zaini dentro i quali vengono introdotti gli striscioni che inneggiano alla morte di 31 persone innocenti sono due e finiscono a destinazione con un escamotage. Spiega Federico Ruffo in trasmissione: «Gli unici furgoni a non essere controllati sono quelli di panini e bibite, li usano come cavallo di Troia». Lo conferma Roberto Pasquettaz, responsabile catering dello Juventus stadium.
Nei giorni successivi D'Angelo è preoccupato perché le telecamere a circuito chiuso dello stadio «mi hanno beccato domenica con lo zaino». Intercettazione in diretta: «Sì, ma ho riso perché sono andato su dal presidente. Mi ha detto: Ale, sei un ciuccio, ti hanno beccato». Nelle nuove registrazioni di Report si apre un filone poco esplorato, che parte da una frase di Bucci a D'Angelo sull'ipotesi di multa: «Ascoltami, tu mi hai detto 50. Arriviamo a 200.000 perché lo striscione è il meno». Si torna in studio dove Ranucci pone ai telespettatori una domanda: «Cosa c'è di così grave in quegli zaini da causare una multa da 200.000 euro? Forse la verità è all'interno di quel filmato a circuito chiuso registrato dalla Juventus che non è mai stato depositato nella sua versione integrale agli atti. Né Andrea Agnelli ha mai denunciato questo fatto».
A completare la serata c'è un colpo di scena, l'intervista di Ruffo a Gabriella Bernardis, ex compagna di Raffaello Bucci. La donna va dritta al punto e smentisce ancora la versione di Agnelli. «Raffaello mi disse: tanto con Alessandro (D'Angelo, ndr) riesco a fare tutto, lui mi aiuta a fare entrare tutto. Riusciamo a far entrare anche quello striscione lì. Come al solito».
Ogni società ha da sempre problemi nel gestire il sottobosco degli ultras, ma questo cambia poco lo scenario torinese, dove rimangono aperti due quesiti. Primo: perché D'Angelo occupa ancora il posto di security manager dopo che il suo ruolo è diventato insostenibile? Secondo: come reagirà la Torino granata? Tirato per i capelli dai tifosi, il presidente Urbano Cairo ha chiesto ad Andrea Agnelli nuove e più convinte scuse. «Mi ha detto di essersi già scusato all'epoca, anche se ritiene di non avere colpe. Ma credo che un evento del genere meriti doppie scuse. Anzi dieci volte le scuse». Il patron ha sulla scrivania una lettera nella quale è invitato a non far entrare i dirigenti della Juventus in tribuna d'onore il 15 dicembre, giorno del derby allo stadio Grande Torino, intitolato proprio a quella squadra. Luogo supremo della memoria insultata.





